Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 01-02-2011) 23-03-2011, n. 11529 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza 30.9.08 il Tribunale di Milano condannava a pene varie A.S., B.T., D.C.N., F. G., M.G., S.A., Su.Ma. e Se.Pa., ciascuno di loro per il reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 e, i soli F. e Se., anche per quello di cui all’art. 74 stesso D.P.R..

Con sentenza 16.10.09 la Corte d’Appello di Milano, in parziale riforma della pronuncia di prime cure, ritenuta la continuazione per il F. con i fatti giudicati con sentenza irrevocabile emessa dal Tribunale di Milano il 19.4.07 e per il M. con quelli giudicati con la sentenza irrevocabile della Corte d’Appello di Firenze del 19.4.04, rideterminava la pena a titolo di continuazione a carico del F. in anni 7 di reclusione e nei confronti del M. in anni 1 di reclusione ed Euro 5.000,00 di multa; riduceva la pena a carico del Se. ad anni 21 di reclusione e nei confronti del B. ad anni 8 e mesi 6 di reclusione ed Euro 29.500,00 di multa (previa esclusione della recidiva). Dichiarava il S. e il B. interdetti in perpetuo dai pubblici uffici e in stato di interdizione legale durante la pena e confermava le restanti statuizioni di primo grado, ivi comprese le condanne emesse nei confronti degli altri appellanti.

I summenzionati imputati ricorrevano contro la sentenza, di cui chiedevano l’annullamento per i motivi qui di seguito riassunti nei limiti prescritti dall’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1.

L’ A. deduceva:

a) erroneamente il GUP aveva rigettato la richiesta di rinvio dell’udienza del 29.11.06 presentata per legittimo impedimento dal difensore del prevenuto – avv. Baj – nonostante il suo concomitante impegno professionale innanzi al GUP del Tribunale di Bergamo, che suddetto professionista aveva prontamente rappresentato via fax al giudice milanese non appena il suo sostituto all’udienza del 28.11.06 (avv. Mascia Baruffaldi) gli aveva comunicato che l’udienza preliminare era stata rinviata al giorno seguente; a tale riguardo non si era tenuto conto del fatto che mentre l’ A. era a piede libero, l’altro imputato assistito dall’avv. B. innanzi al GUP del Tribunale di Bergamo era detenuto e che il sostituto processuale presente all’udienza del 28.11.06 presso il GUP del Tribunale di Milano (allorquando si era disposto il differimento al giorno seguente) non poteva conoscere gli impegni dell’avv. Baj e rappresentarli tempestivamente; da ultimo, l’istanza di rinvio era stata trasmessa dopo appena due ore dalla chiusura del verbale dell’udienza del 28.11.06, sicchè non poteva certo considerarsi tardiva;

b) assoluta indeterminatezza del capo di imputazione 68 dell’editto accusatorio circa tempi e luoghi del reato di traffico di sostanze stupefacenti ascrittogli con riferimento alle piazze di Genova e Milano e alle date del 20 e del 28.11.01, nonchè all’attività di consegna e trasporto della sostanza stupefacente, non chiarendosi per quale condotta (trasporto, consegna, intermediazione) l’ A. fosse stato condannato e comunque dovendosi escludere che egli avesse svolto qualcuna di tali attività, come risultante dalle intercettazioni telefoniche e dal verbale di interrogatorio di tale Fa. (imputato di reato connesso) su cui l’impugnata sentenza non aveva motivato; nè l’eccepita nullità poteva considerarsi sanata dall’omessa impugnazione nel merito della ritenuta penale responsabilità;

c) insussistenza dell’aggravante del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 6 (già giudicata minusvalente rispetto alle concesse attenuanti generiche) perchè, dovendosi ritenere che all’ A. fosse stata contestata una condotta da intermediario, la necessaria compresenza di tre soggetti (le due parti e l’intermediario, nel caso di specie il F., il Fa. e l’ A. medesimo) escludeva l’aggravante del concorso di tre o più persone, come da giurisprudenza di questa S.C.;

d) mancato riconoscimento dell’attenuante del cit. art. 73, comma 5, visto il ruolo marginale svolto dall’ A.; per l’effetto, il reato risultava estinto per prescrizione e comunque la gravata pronuncia aveva omesso di svolgere qualsivoglia indagine sulla non corretta applicazione dell’art. 133 c.p. da parte del Tribunale.

Il B. si doleva del fatto che:

e) la sua penale responsabilità era stata dichiarata soltanto in base a poche intercettazioni di colloqui telefonici in cui aveva millantato la possibilità – presente o futura – di procacciarsi sostanze stupefacenti;

f) erroneamente gli era stata negata l’attenuante del cit. art. 73, comma 5, sebbene in dibattimento non fosse emerso nulla circa quantità e qualità della sostanza stupefacente che si presumeva essere arrivata dalla Spagna, mai sottoposta ad alcun sequestro;

g) insussistenza dell’aggravante del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 6, che necessariamente presupponeva che la pluralità di concorrenti fosse riferita ad una delle condotte necessarie all’integrazione del reato (offerta, eventuale intermediazione, acquisto), mentre nel caso di specie dallo stesso capo di imputazione 62 ascritto al B. emergeva che la vendita della sostanza stupefacente era appannaggio esclusivo di due soli soggetti, il B. medesimo e il S..

Il D.C., premessa l’approssimazione con cui erano state svolte le indagini e rimarcato il proprio corretto comportamento, atteso che si era spontaneamente presentato alle autorità inquirenti non appena aveva saputo di essere indagato, lamentava:

h) premesso che la penale responsabilità era stata ravvisata in base ad intercettazioni telefoniche, agli esiti di due servizi di OCP (osservazione, controllo, pedinamento) e ad un riconoscimento, quanto alle prime non vi era alcuna prova che l’interlocutore delle telefonate fosse il ricorrente, che pur si era dichiarato disponibile a sottoporsi ad una perizia fonica; nè era stato possibile risalire all’utenza telefonica in questione, restando comunque certo che le conversazioni intercettate non avevano coinvolto il numero di telefono intestato al D.C., contrariamente a quanto apoditticamente asserito dall’impugnata sentenza; per di più, il loro tenore era del tutto generico; nei servizi di OCP il ricorrente non era mai stato riconosciuto, a tal fine non potendosi risalire dalla targa di un’autovettura (di cui gli inquirenti non avevano saputo nemmeno indicare il colore preciso) e da una vecchia fototessera all’identità del D.C.; inoltre, non era stati valutati gli elementi a suo discarico, vale a dire non solo il corretto contegno processuale, ma anche il fatto che non era plausibile che proprio il ricorrente, carrozziere, avrebbe ben potuto utilizzare un’auto diversa dalla propria per andare a ritirare sostanze stupefacenti; inoltre egli abitava molto vicino al coimputato Se.Pa., sicchè per lui sarebbe stato più comodo parlargli di persona e non per telefono; ancora, il D. C. era stato l’unico a qualificarsi con il proprio nome e ad utilizzare la propria autovettura, aveva un solo remoto precedente penale per minacce, aveva redditi e tenore di vita incompatibili con le accuse mossegli; non era per nulla plausibile che potesse dare ordini a personaggi di alto spessore criminale come il F. e il Se.; nessuno aveva visto l’eroina in questione nè la relativa quantità, non desumibile dalla mera presenza di un trolley.

Il F., che ricorreva sia personalmente sia pel tramite del proprio difensore, deduceva:

i) l’incompetenza territoriale del Tribunale di Milano, essendo invece competente l’autorità giudiziaria di Reggio Calabria, ove il F. era imputato dell’omicidio C., rispetto al quale era ravvisabile il vincolo di continuazione e/o connessione teleologica con il capo 74 del presente processo, relativo ad una violazione della legge sugli stupefacenti realizzata con l’intermediazione del suddetto C.; nè l’eccezione era preclusa dal giudicato formatosi sul rigetto di tale eccezione (in altra pronuncia di questa S.C.) in un analogo processo presso l’autorità giudiziaria milanese, che però non riguardava i rapporti tra il F. e il C. di cui al cit. capo 74 dell’editto accusatorio; per altro, le risultanze processuali smentivano la ritenuta occasionalità dell’omicidio C., che trovava la propria genesi, causa e ragione nella struttura del sodalizio criminale; tale motivo di ricorso veniva altresì fatto valere dall’impugnazione a firma del difensore del F. anche in termini di vizio di motivazione, avendo la Corte territoriale del tutto ignorato l’ordinanza del Tribunale del riesame di Reggio Calabria (allegata ad una memoria difensiva presentata nell’interesse del ricorrente) da cui emergeva che il C. era stato assassinato proprio ed esclusivamente perchè il F. si era convinto che costui, tradendo la fiducia sua e degli altri sodali, lo avesse frodato – d’intesa con dei cittadini colombiani – all’atto dell’acquisto di un ingente quantitativo di cocaina, poi rivelatasi sostanza del tutto diversa; nè in contrario avviso poteva valere la mancata contestazione dell’aggravante teleologica, vista la diversità dei due processi (l’uno innanzi all’autorità giudiziaria milanese, l’altro presso quella reggina);

j) violazione dell’art. 649 c.p.p., poichè la Corte territoriale aveva applicato la continuazione fra i due delitti associativi anzichè dichiarare non doversi procedere in ordine al secondo: a riguardo, erroneamente l’identità dell’associazione era stata esclusa per diversità dei suoi componenti (che, in realtà, erano in parte coincidenti) e dei relativi canali di approvvigionamento, trascurandosi, invece, la fluidità della struttura delle associazioni previste dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74 e l’unicità dell’arma presente e rilevante in entrambi i processi;

k) difetto e/o contraddittorietà della motivazione in ordine ai reati fine di cui ai capi 55, 73, 74 e 82, essendo le argomentazioni dei giudici del gravame apodittiche e basate su ipotesi suggestive, petizioni di principio e ragionamenti autoreferenziali, non potendosi dedurre il coinvolgimento del ricorrente dal comportamento di terzi.

Il M. si doleva:

1) della mancata concessione delle attenuanti dell’art. 62 bis c.p. e della omessa esclusione dell’aggravante del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80, comma 2, il che aveva comportato una disparità di trattamento rispetto a quanto invece statuito, sempre riguardo al capo 63 della rubrica, nei confronti dei concorrenti L. C. e T.G., separatamente giudicati con sentenza n. 933/07 R.G. Sent. del GUP del Tribunale di Milano, disparità di trattamento su cui la Corte territoriale aveva omesso di motivare.

Il S. deduceva:

m) vizio di motivazione nella parte in cui la gravata pronuncia aveva confermato la penale responsabilità del ricorrente in base alle intercettazioni telefoniche e alle dichiarazioni rese ex art. 210 c.p.p. dall’imputato in procedimento connesso L.C., elementi inidonei a giustificare la condanna, come già esposto nei motivi d’appello;

n) mancata applicazione della continuazione invocata nei motivi di gravame;

o) omessa concessione delle attenuanti dell’art. 62 bis c.p., vista l’esigenza di adeguare la pena al fatto e considerato lo stato di indigenza che aveva spinto il S. a commettere il reato ascrittogli.

Il Su. protestava:

p) vizio di motivazione in rapporto alla conferma della penale responsabilità per il delitto di cui al capo 34, non potendosi attribuire al ricorrente la disponibilità del box in cui era custodita la sostanza stupefacente; la cessione non era stata monitorata e dalle intercettazioni telefoniche non emergeva nulla che potesse far ravvisare un ruolo del Su. nella vicenda, anche perchè dalle intercettazioni telefoniche risultava soltanto che il ricorrente aveva preso un appuntamento con i coimputati G. e T. (separatamente giudicati); nè vi erano appigli per identificare nel Su. il "(OMISSIS)" di cui all’appuntamento per la cessione della cocaina;

q) errata applicazione dell’aggravante del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 6, che necessariamente presupponeva che i tre o più concorrenti ricoprissero il medesimo ruolo, mentre nel caso di specie il Su. era indicato come unico venditore della sostanza stupefacente;

r) omessa motivazione sulla richiesta di concessione delle attenuanti generiche e di riduzione della pena ai minimi edittali, benefici cui non ostava l’incolpevole latitanza del ricorrente che, non avendo dimora in Italia, non aveva appreso dell’ordine di custodia cautelare spiccato nei suoi confronti.

Il Se. lamentava:

s) l’incompetenza territoriale del Tribunale di Milano, essendo invece competente l’autorità giudiziaria di Reggio Calabria, per connessione ex art. 12 c.p.p. con il processo per l’omicidio C. (a nulla rilevando la mancata contestazione dell’aggravante teleologica riguardo ai reati per cui è processo), omicidio commesso non occasionalmente, ma proprio in connessione con il reato associativo di cui all’art. 74 cit., rientrando nel relativo programma criminoso l’eventuale eliminazione di "personaggi scomodi";

t) inutilizzabilità, per violazione dell’art. 268 c.p.p., comma 3, di numerosi decreti autorizzativi emanati dal PM nelle condizioni di cui all’art. 267 c.p.p., comma 2, mancando agli atti del procedimento il provvedimento motivato giustificativo della deroga alla regola generale di cui all’art. 268 c.p.p., comma 3, attestante l’inidoneità o l’insufficienza degli impianti installati presso la Procura della Repubblica, essendo quella usata nella specie dal PM una vuota formula di stile; inoltre, anche nei decreti di proroga mancava qualsiasi motivazione in relazione all’inidoneità o all’insufficienza degli impianti; del pari illegittimi erano tutti i summenzionati decreti per carenza di motivazione in ordine alle eccezionali ragioni di urgenza previste ai fini di un legittimo spostamento delle operazioni di intercettazione ai sensi dell’art. 268 c.p.p., comma 3; u) erronea esclusione della denunciata inosservanza dell’art. 649 c.p.p.: la Corte territoriale avrebbe dovuto emettere declaratoria di non doversi procedere stante l’identità tra l’associazione oggi contestata e quella oggetto di precedente sentenza in cui il Se. era stato assolto, non ostando a tale identità la diversità dei componenti (che, in realtà, erano rimasti gli stessi, ancorchè con ruoli differenti) e dei canali di approvvigionamento delle sostanze stupefacenti, avuto riguardo alla contiguità temporale dei fatti, alla genericità del patto associativo, nonchè all’unicità dell’arma presente e rilevante in entrambi i processi.

1- Il motivo che precede sub a) è manifestamente infondato.

Si muova dal fondamentale arret costituito da Cass. S.U. n. 4708 del 27.3.92, dep. 24.4.92 (seguito da nutrita conforme giurisprudenza, fra cui, ancora da parte delle S.U., v. sentenza n. 29529 del 25.6.09, dep. 17.7.09), alla luce del quale, affinchè l’impegno professionale del difensore in altro procedimento possa essere assunto quale legittimo impedimento, è necessario che il difensore medesimo chieda il rinvio non appena conosciuta la contemporaneità dei diversi impegni, senza limitarsi a comunicare e documentare l’esistenza di un concomitante dovere professionale in altro processo; è inoltre necessario che ne chiarisca la prevalenza, che risulti che in detto procedimento non vi è un altro codifensore che possa validamente difendere l’imputato, che gli è impossibile avvalersi di un sostituto ai sensi dell’art. 102 c.p.p. sia nel processo cui intende partecipare sia in quello di cui chiede il rinvio, restando poi riservato al giudice il bilanciare, motivatamente, da un lato le esigenze di difesa dell’imputato e, dall’altro, quelle di rapida celebrazione del processo.

Altra giurisprudenza aggiunge la specificazione, rispetto ai principi già fissati dalle Sezioni Unite di questa Corte, che il mero criterio cronologico della conoscenza prioritaria dell’impegno professionale ritenuto prevalente dal difensore è irrilevante (cfr.

Cass. Sez. 5^ n. 43062 dell’11.10.2007, dep. 21.11.2007) o, comunque, non esaustivo (cfr. Cass. Sez. 5^ n. 35037 del 9.7.2007, dep. 18.9.2007; Cass. Sez. 5^ n. 10304 del 20.8.98, dep. 30.9.98; Cass. n. 3605/95).

Orbene, come giustamente notato in sede di merito, il sostituto processuale dell’avv. Baj presente all’udienza preliminare del 28.11.06 (avv. Baruffaldi), in quanto tale destinatario dell’art. 102 c.p.p., in forza del quale il sostituto esercita i diritti e assume i doveri del difensore sostituito, era presente al momento di fissazione dell’ulteriore udienza per il giorno successivo e, dunque, ne avrebbe dovuto fare presente il concomitante e già noto impedimento. In contrario non viene in rilievo la distinzione – ventilata dal ricorrente – tra attività processuale ed extraprocessuale concernente l’organizzazione di studio, perchè il dovere di segnalare subito eventuali impedimenti per la data di rinvio decisa dal giudice, al fine di ottenerne un’altra, ha proprio un carattere processuale. A nulla rileva un eventuale mancato coordinamento fra sostituto e sostituito, che hanno l’onere di provvedervi.

A ciò si aggiunga che la motivazione della prevalenza del processo pendente innanzi al GUP del Tribunale di Milano dimostra un corretto bilanciamento degli interessi in gioco, vista la maggiore urgenza propria del processo con pluralità di imputati rispetto a quello pendente innanzi al GUP del Tribunale di Bergamo.

L’obiezione dell’ A., secondo cui si sarebbe potuta stralciare la sua posizione per poi – eventualmente – riunirla in sede dibattimentale alle altre, costituisce soltanto una differente valutazione del merito della verifica dell’impedimento dedotto, non spendibile innanzi a questa S.C..

2- Del pari manifestamente infondato è il motivo che precede sub b), noto essendo (in virtù di costante giurisprudenza di questa Corte Suprema, da cui non si ravvisa motivo di discostarsi) che, in presenza di una condotta dell’imputato tale da richiedere un approfondimento dibattimentale per la definitiva qualificazione dei fatti contestati, è legittima la contestazione alternativa "trasporto", "consegna", "intermediazione" nel traffico di sostanze stupefacenti), intesa sia nel senso di più reati, sia di fatti alternativi: tale metodo risponde a un’esigenza della difesa, posto che l’imputato è messo in condizione di conoscere esattamente le linee direttrici sulle quali si svilupperà il dibattito processuale (cfr., ad es., Cass. Sez. 1^ n. 2112 del 2.11.07, dep. 15.1.08, rv.

238636; Cass. n. 10109/07, rv. 236107; Cass. n. 38245/04, rv.

230373).

Quanto alle coordinate topico-temporali (con riferimento alle piazze di Genova e Milano e alle date del 20 e del 28.11.01), esse sono necessariamente correlate all’ipotizzata attività di trasporto, per sua natura da svolgersi fra località diverse e, potenzialmente, in più giorni.

Le restanti doglianze svolte nel motivo mirano soltanto ad una nuova lettura delle risultanze processuali mediante un diretto approccio ad esse (incompatibile con il giudizio di legittimità) e trascurano che, essendosi in presenza di doppia pronuncia conforme, le motivazioni delle due sentenze di merito vanno ad integrarsi reciprocamente, saldandosi in un unico complesso argomentativo (cfr.

Cass. Sez. 2^ n. 5606 del 10.1.2007, dep. 8.2.2007; Cass. Sez. 1^ n. 8868 del 26.6.2000, dep. 8.8.2000; v. altresì, nello stesso senso, le sentenze n. 10163/02, rv. 221116; n. 8868/2000, rv. 216906; n. 2136/99, rv. 213766; n. 5112/94, rv. 198487; n. 4700/94, rv. 197497;

n. 4562/94, rv. 197335 e numerose altre).

Dall’integrazione delle motivazioni emerge che l’articolata ricostruzione dell’attività dell’ A. ritenuta dal primo giudice e confermata in appello (anche e soprattutto in rapporto alle intercettazioni del colloqui telefonici con il Fa. e ai servizi di OCP) da correttamente conto delle conclusioni cui sono pervenuti i giudici del merito. Nè essi sono tenuti a menzionare e prendere in esame dettagliatamente tutti gli atti processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale, spieghino in modo logico e adeguato le ragioni che hanno determinato il loro convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo, nel qual caso devono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (cfr, ex aliis, Cass. Sez. 4^ n. 1149 del 24.10.2005, dep. 13.1.2006; Cass. Sez. 4^ n. 36757 del 4.6.2004, dep. 17.9.2004).

3- Sono manifestamente infondati anche i motivi che precedono sub c), g), q) – fatti valere, rispettivamente dall’ A., dal B. e dal Su. – da trattarsi congiuntamente perchè analoghi.

Preliminarmente va puntualizzato, riguardo al solo A., che la ritenuta minusvalenza dell’aggravante di cui all’art. 73, comma 6, cit. D.P.R. rispetto alle attenuanti generiche già concessegli in prime cure non esclude l’interesse ad impugnare, poichè (anche a voler tralasciare l’ipotetico rilievo dell’aggravante ai fini della concessione di determinati benefici futuri) il giudizio di comparazione spiega i suoi effetti soltanto sulla determinazione della pena, lasciando inalterata la valutazione deteriore del fatto e della personalità dell’imputato rilevanti ex art. 133 c.p.; in tal senso, dunque, reputa questa Corte Suprema di aderire all’orientamento espresso da Cass. Sez. 5^ n. 37095/09 e da Cass. Sez. 6^ n. 2261/2000 (contra, cfr. Cass. Sez. 1^ n. 16398/08 e Cass. Sez. 1^ n. 716/98).

Ciò premesso, è pur vero che per l’aggravante del concorso di tre o più persone di cui all’art. 73 cit., comma 6 in materia di sostanze stupefacenti occorre che ciascuno dei soggetti coinvolti agisca nell’ambito di una delle condotte previste per l’integrazione del reato (offerta, eventuale intermediazione, acquisto, detenzione o altre), non potendosi fare richiamo alla pluralità di esse, attribuendone indistintamente la riferibilità a tutti, a prescindere dal ruolo specifico di ognuno. Diversamente, trattandosi di reato a concorso necessario costituito dallo scambio tra almeno due persone che si realizza sovente attraverso l’intermediazione di terzi, l’aggravante sarebbe pressochè implicita nella stessa ipotesi semplice (giurisprudenza costante: cfr., da ultimo, Cass. Sez. 6^ n. 20798 del 10.2.10, dep. 3.6.10).

Nondimeno, esaminando congiuntamente i capi d’accusa e la motivazione delle pronunce di primo e secondo grado, non può dirsi che i giudici del merito non si siano attenuti a tale pacifico principio giurisprudenziale, nel senso che è stata effettivamente ritenuta una pluralità di persone in identici ruoli: nello specifico dell’ A., infine, si noti che egli non è stato ritenuto mero intermediario, ma compartecipe di attività di trasporto di sostanza stupefacente insieme con il Fa. e il C..

Sostenere il contrario in base allo stralcio di alcuni passaggi dell’esame dibattimentale dell’odierno ricorrente o di uno dei coimputati importa una delibazione in punto di fatto preclusa in questa sede.

4 – I motivi che precedono sub d) e sub f) – formulati rispettivamente dall’ A. e dal B. – si collocano al di fuori del novero di quelli spendibili ex art. 606 c.p.p. perchè invocano soltanto un differente apprezzamento della gravità delle condotte ascritte agli imputati rispetto a quello eseguito dai giudici del gravame, che con motivazione immune da vizi logico- giuridici hanno escluso l’attenuante in virtù della rilevante o comunque non trascurabile quantità di sostanza stupefacente trattata da entrambi, desumibile – per l’ A. – dal complessivo corrispettivo (pari a L. 20 milioni) e per il B. dal fatto che si trattava di cocaina "solida", da spaccare, negoziata in più tranches.

Nè il reato sarebbe risultato estinto per prescrizione in caso di riconoscimento dell’attenuante in discorso, irrilevante ai sensi del nuovo testo dell’art. 157 c.p., come sostituito ex lege n. 251 del 2005.

Da ultimo, del tutto generica – e quindi in violazione dell’art. 581 c.p.p., lett. c) – risulta la violazione dell’art. 133 c.p. dedotta dall’ A..

5- Ancora esterne all’area dell’art. 606 c.p.p. sono le doglianze che precedono sub e), h), m), p), tutte sostanzialmente intese a sollecitare una differente delibazione in punto di fatto delle risultanze processuali che i giudici del merito hanno valutato con motivazione immune da censure.

Invero, quanto al B. non risponde al vero che ne sia stata dichiarata la penale responsabilità in base a sue mere millanterie telefoniche, essendo stato egli attinto anche dalla chiamata in correità proveniente da L.C. (sentito ex art. 210 c.p.p. in qualità di imputato in procedimento connesso), le cui dichiarazioni sono state riscontrate dalle intercettazioni telefoniche.

Lo stesso dicasi per il S., il cui motivo di ricorso è – altresì – generico e non autosufficiente nella parte in cui rinvia sic et simplicter ai motivi d’appello.

Riguardo al D.C., l’impugnata sentenza, condividendo le conclusioni cui era pervenuto il Tribunale, ha posto in risalto che l’identificazione del ricorrente è avvenuta combinando fra loro molteplici elementi, tratti da intercettazioni telefoniche e servizi di OCP, relativi alla sua utenza telefonica, al suo riconoscimento come la persona che si era incontrata con " G. il (OMISSIS)" (soprannome di tale D.S.), all’auto a lui intestata (una FIAT Bravo tg. (OMISSIS)), elementi tali da ricostruirne i movimenti e l’acquisto di sostanze stupefacenti.

Le obiezioni a riguardo mosse dal D.C. investono solo gli apprezzamenti in punto di fatto operati dalla gravata pronuncia, proponendone alternative valutazioni.

Nè ha alcun rilievo l’asserita disponibilità del D.C. a sottoporsi a perizia fonica, disponibilità che poi non si è tradotta nemmeno in un motivo d’appello inteso ad ottenere ex art. 603 c.p.p. una rinnovazione dibattimentale.

Nè può lamentarsi il mancato espletamento, a monte, di tale perizia: la giurisprudenza è costante nell’escluderne la necessità quando l’attribuzione delle voci non appaia dubbia secondo una valutazione spettante al giudice del merito, insindacabile innanzi a questa S.C..

In relazione al Su., i giudici di primo e secondo grado ne hanno correttamente motivato la penale responsabilità per il delitto rubricato al capo 34 non soltanto in forza del suo appuntamento con il T. e il G. (separatamente giudicati), constatato dalle forze dell’ordine in sede di OCP a seguito di intercettazioni telefoniche, ma anche in virtù dell’arresto in flagranza dei due corrieri della droga ( Co. e N.) trovati in possesso di kg. 1,2 di cocaina, consegna di cui il Su. viene ritenuto colpevole non già per la disponibilità del box (di cui si parla nel motivo di ricorso), ma perchè vi si era consumata la traditio della sostanza stupefacente da parte sua.

Sul tenore delle intercettazioni telefoniche è appena il caso di ricordare che, per costante giurisprudenza (da cui non si ravvisa ragione di discostarsi), l’interpretazione del linguaggio – pur criptico o cifrato, adoperato nel corso di colloqui intercettati – resta questione di mero fatto, sottratta al giudizio di legittimità se la valutazione compiuta dai giudici del merito risulta logica in rapporto alle massime di esperienza utilizzate (cfr., ad es., Cass. Sez. 6^ n. 17619 dell’8.1.2008, dep. 30.4.2008; Cass. Sez. 6^ n. 15396 dell’11.12.2007, dep. 11.4.2008; Cass. Sez. 6^ n. 35680 del 10.6.2005, dep. 4.10.2005; Cass. Sez. 4^ n. 117 del 28.10.2005, dep. 5.1.2006; Casse. Sez. 5^ n. 3643 del 14.7.97, dep. 19.9.2007).

A questa Corte Suprema spetta soltanto il sindacato sulle massime di esperienza adottate nella valutazione degli indizi di cui all’art. 192 c.p.p., comma 2, nonchè la verifica sulla correttezza logico- giuridica del ragionamento seguito e delle argomentazioni sostenute per qualificare l’elemento indiziario come grave, preciso e concordante, senza che ciò possa tradursi in un nuovo accertamento, ovvero nella ripetizione dell’esperienza conoscitiva del giudice del merito (cfr, ad es., Cass. Sez. 6^ n. 20474 del 15.11.02, dep. 8.5.03).

A sua volta il controllo in sede di legittimità delle massime di esperienza non può spingersi fino a sindacarne la scelta, che è compito del giudice di merito, dovendosi limitare questa S.C. a verificare che egli non abbia confuso con massime di esperienza quelle che sono, invece, delle mere congetture.

Le massime di esperienza sono definizioni o giudizi ipotetici di contenuto generale, indipendenti dal caso concreto sul quale il giudice è chiamato a decidere, acquisiti con l’esperienza, ma autonomi rispetto ai singoli casi dalla cui osservazione sono dedotti ed oltre i quali devono valere; tali massime sono adoperabili come crateri di inferenza, vale a dire come premesse maggiori dei sillogismi giudiziali di cui alle regole di valutazione della prova sancite dall’art. 192 c.p.p., comma 2.

Costituisce, invece, una mera congettura, in quanto tale inidonea ai fini del sillogismo giudiziario, tanto l’ipotesi non fondata sull’id quod plerumque accidit, insuscettibile di verifica empirica, quanto la pretesa regola generale che risulti priva, però, di qualunque pur minima plausibilità (cfr. Cass. Sez. 6^, n. 15897 del 15 aprile 2009; Cass. Sez. 6^ n. 16532 del 13.2.07, dep. 24.4.07, rv. 237145).

Ciò detto, si noti che nel caso di specie i motivi di ricorso che precedono sub e), h), m), p), non indicano l’uso di inesistenti massime di esperienza o violazioni di regole inferenziali, ma si limitano a segnalare soltanto possibili difformi letture degli elementi raccolti, il che costituisce compito precipuo del giudice del merito, non di quello di legittimità. 6- Ancora non deducibile mediante ricorso per cassazione è l’asserita disparità di trattamento lamentata dal M. con il motivo che precede sub 1), in relazione al diverso regime sanzionatorio applicato – mediante concessione delle attenuanti dell’art. 62 bis c.p. ed esclusione dell’aggravante del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80, comma 2 – ai concorrenti L.C. e Tarallo Giuseppe, separatamente giudicati con sentenza n. 933/07 R.G. Sent. del GUP del Tribunale di Milano.

Si tratta di doglianza che non rientra nel novero di quelle valevoli ex art. 606 c.p.p., vuoi perchè non prevista (neppure sotto forma di vizio di motivazione), vuoi perchè essa presupporrebbe un confronto in punto di fatto tra posizioni processuali e condizioni personali non operabile in sede di legittimità e nemmeno in sede di merito, giacchè richiederebbe la disponibilità degli atti completi di un altro procedimento, diverso da quello sottoposto all’attenzione del singolo giudicante.

Inoltre, non possono compararsi tra loro dati eterogenei come i convincimenti (variamente motivati) maturati dai giudici di differenti processi paralleli, nessuno dei quali idoneo a vincolare l’altro.

Ciò significa che la disparità di trattamento dedotta in appello era inammissibile anche in quella sede, il che escludeva l’obbligo di motivare su di essa (come da costante giurisprudenza di questa S.C.).

7 – I motivi che precedono sub o) e sub r), proposti rispettivamente dal S. e dal Su., concernenti il trattamento sanzionatorio e la mancata concessione delle attenuanti dell’art. 62 bis c.p., sono manifestamente infondati, noto essendo in giurisprudenza che ai fini della determinazione della pena e dell’applicabilità delle circostanze attenuanti di cui all’art. 62 bis c.p. non è necessario che il giudice, nel riferirsi ai parametri di cui all’art. 133 c.p., li esamini tutti, essendo invece sufficiente che specifichi a quale di essi ha inteso fare riferimento. Ne consegue che con il rinvio all’abituale attività di corriere della droga svolta dal S. e alla latitanza del Su. i giudici del merito hanno adempiuto l’obbligo di motivare sul punto (cfr. ad esempio Cass. Sez. 1^ n. 707 del 13.11.97, dep. 21.2.98; Cass. Sez. 1^ n. 8677 del 6.12.2000, dep. 28.2.2001 e numerose altre).

Quanto alla dedotta indigenza del S. e all’asserita non volontarietà della latitanza del Su., esse comportano soltanto nuove valutazioni di merito sull’entità della pena, non consentite in questa sede.

8 – I motivi che precedono sub k) e sub n), proposti rispettivamente dal F. e dal S., sono inammissibili ai sensi del combinato disposto dell’art. 581 c.p.p., lett. c) e art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c) perchè del tutto generici.

Nè a tale lacuna si può ovviare mediante rinvio a motivi d’appello di cui però non si indica neppure in modo sommario il contenuto, così non consentendo l’autonoma individuazione delle questioni che si assumono irrisolte o malamente risolte e sulle quali si sollecita il sindacato di legittimità, dovendo l’atto di ricorso essere autosufficiente, cioè contenere la precisa prospettazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto da sottoporre alla verifica di questa Corte Suprema (cfr. ad es. Cass. Sez. 6^ n. 21858 del 19.12.2006, dep. 5.6.2007; Cass. Sez. 2^ n. 27044 del 29.5.2003, dep. 20.6.2003; Cass. Sez. 5^ n. 2896 del 9.12.98, dep. 3.3.99; Cass. S.U. n. 21 dell’11.11.94, dep. 11.2.95).

9- Il motivo che precede sub t) va disatteso perchè manifestamente infondato. Come questa S.C. ha già avuto modo di statuire con sentenza n. 9205 del 3.2.09, dep. il 2.3.09, concernente gli stessi decreti autorizzativi oggetto del motivo di impugnazione in esame, sia pure in relazione ad altro analogo processo, il riferimento all’indisponibilità degli impianti, perchè già impegnati per altre indagini, consente di identificare il fatto che ha determinato la deroga e offre, quindi, al giudice e alle parti uno strumento di controllo della correttezza dell’operato del PM (cfr., altresì, Cass. S.U. n. 919 del 26.11.03, dep. 19.1.04).

Valga lo stesso per le eccezionali ragioni di urgenza, desumibili anche implicitamente dal contesto del processo e dalla natura delle imputazioni (v., fra le numerose in tal senso, Cass. Sez. 2^ n. 5103 del 17.12.09, dep. 9.2.10; Cass. Sez. 6^ n. 15396 dell’11.12.07, dep. 11.4.08), come nel caso in esame, in cui l’emergenza consisteva nella necessità di evitare il protrarsi della condotta criminosa dell’associazione per delinquere finalizzata allo spaccio di sostanze stupefacenti.

In breve, si tratta di rilievi ed argomenti perfettamente conformi all’interpretazione giurisprudenziale dell’art. 268 c.p.p., comma 3 e art. 267 c.p.p., comma 2. 10- Del pari manifestamente infondati sono i motivi che precedono sub i) e sub s), articolati – rispettivamente – dal F. e dal Se. e da trattarsi congiuntamente perchè in sostanza coincidenti.

Non si ravvisa, infatti, connessione alcuna ex art. 12 c.p.p. tra il delitto di partecipazione all’associazione per delinquere finalizzata allo spaccio di sostanze stupefacenti addebitato al F. e al Se. al capo 93 e l’omicidio C., per il quale separatamente procede l’autorità giudiziaria di Reggio Calabria.

Invero, a prescindere dalla non configurabilità dell’aggravante teleologica rispetto ai reati associativi, resta l’indubbio rilievo che nemmeno gli odierni ricorrenti sono in grado di evidenziare un’identità di disegno criminoso fra l’associazione de qua e l’omicidio C.; nè emerge che l’un reato sia stato commesso per eseguire od occultare l’altro e ciò per l’ovvia ragione che, se davvero il C. è stato punito per un presunto "sgarro" ai danni del F. e degli altri sodali (come si evince dal tenore del motivo che precede sub i), ciò vuoi dire che tale omicidio non era stato previsto neppure genericamente nelle sue linee essenziali al momento del consolidarsi del vincolo associativo:

diversamente, ove – cioè – qualcuno avesse già immaginato una qualche frode da parte del C., lo stesso sarebbe stato tenuto fuori, ab origine, dall’organizzazione criminale e da qualsiasi rapporto con essa.

Nè giova ai ricorrenti ipotizzare che tale omicidio rientri, sia pure molto genericamente, fra i reati mezzo o i reati fine dell’associazione in quanto l’eventuale eliminazione di "personaggi scomodi" sarebbe inclusa nell’indeterminato programma criminoso (come si legge nel motivo che precede sub s): infatti, costante insegnamento giurisprudenziale di questa S.C. ha fissato il principio di diritto secondo cui la connessione tra il delitto associativo e i reati fine può sussistere soltanto nell’eccezionale ipotesi in cui risulti che, fin dalla costituzione del sodalizio delinquenziale o dalla adesione ad esso, un determinato soggetto, nell’ambito del generico programma criminoso, abbia già individuato uno o più specifici fatti-reato, da lui poi effettivamente commessi (v. Cass. Sez. 1^ n. 17831 del 10.4.08, dep. 5.5.08; Cass. Sez. 1^ n. 46134 del 21.10.09, dep. 1.12.09; Cass. n. 6530 del 18.12.98, dep. 2.2.99).

Tale originaria deliberazione non è nemmeno allegata ed è, per altro, oggettivamente incompatibile, come si è già detto, con i rapporti del C. all’interno del sodalizio criminale, di cui avrebbe tradito la fiducia (secondo quanto si assume proprio nel ricorso del F.).

Dunque, alla stregua delle stesse allegazioni dei ricorrenti, l’omicidio C. è in rapporto di mera occasionala con il traffico di sostanze stupefacenti dell’associazione in discorso.

Ne discende che non sussiste alcuna ipotesi di connessione ex art. 12 c.p.p..

11 – Ancora manifestamente infondati sono i motivi – sempre sostanzialmente coincidenti, proposti dal F. e dal Se. – che precedono sub j) e sub u).

I giudici del merito, con doppia pronuncia conforme, hanno rilevato che l’associazione giudicata con sentenza 19.4.07 del Tribunale di Milano riguardava un periodo anteriore (fino all’aprile 2001, mentre quella di cui al capo 93 del presente processo viene contestata come operativa solo nell’arco di tempo che va dal giugno 2001 allo stesso mese dell’anno seguente), una diversa struttura, membri in gran parte non coincidenti, distinti canali di approvvigionamento delle sostanze stupefacenti da spacciare, differenti piazze di smercio della droga.

Ciò vuoi dire che i due sodalizi criminali si presentavano – e questo è un accertamento in punto di fatto non reiterabile in sede di legittimità – con marcate peculiarità, che l’asserita presenza di un’unica arma in entrambi i processi (il dato è allegato in maniera, per altro, criptica) non può di per sè inficiare, così come non basta obiettare il carattere tendenzialmente fluido di tali associazioni criminali.

12 – All’odierna udienza è pervenuto certificato di morte del Se., avvenuta il (OMISSIS).

In conclusione, la sentenza impugnata va annullata senza rinvio nei confronti di Se.Pa. perchè i reati ascrittigli sono estinti per morte dell’imputato, mentre si deve dichiarare l’inammissibilità di tutti gli altri ricorsi, con conseguente condanna dei ricorrenti alle spese processuali e di ciascuno di essi al versamento a favore della Cassa delle Ammende di una somma che stimasi equo quantificare in Euro 1.000,00 alla luce dei profili di colpa ravvisati nelle impugnazioni, secondo i principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186/2000.
P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione, Seconda Sezione Penale, annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di Se.Pa. perchè i reati sono estinti per morte dell’imputato e dichiara inammissibili i ricorsi degli altri imputati, che condanna al pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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