Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 02-07-2010, n. 15796 LAVORO E PREVIDENZA

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 1.3 – 1.6.2006 la Corte di appello di Genova confermava la sentenza resa da Tribunale della Spezia il 12.11.2004, che rigettava la domanda proposta da D.P. per far dichiarare la nullità del verbale di conciliazione sindacale stipulato in data (OMISSIS).

Osservava la corte territoriale che il verbale di conciliazione ex art. 411 c.p.c. ha natura di atto pubblico e, pertanto, poteva essere contestato solo attraverso querela di falso, nella specie non proposta e che la circostanza che il D. non avesse avuto piena consapevolezza della portata dell’accordo non poteva determinare, in ogni caso, l’annullamento dell’atto, non essendo stato nemmeno dedotto che tale mancata consapevolezza avesse assunto le caratteristiche di un vero e proprio vizio del consenso.

Per la cassazione della sentenza propone ricorso D.P. con due motivi, illustrati con memoria.

Resiste con controricorso la cooperativa Elpea a r. l..

Motivi della decisione

Con il primo motivo il ricorrente prospetta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 violazione dell’art. 410 c.p.c. rilevando che la corte territoriale, senza prendere in alcun modo in considerazione le censure svolte con l’atto di appello, aveva erroneamente ritenuto la validità di un verbale redatto in assenza di alcuni dei componenti della Commissione, pur essendo la presenza degli stessi essenziale ai fini della validità della conciliazione.

Con il secondo motivo il ricorrente lamenta vizio di motivazione in ordine alla circostanza, pur affermata dalla corte territoriale ad abundantiam, che, ove la domanda potesse configurarsi come azione di annullamento della transazione ex art. 2113 c.c., la stessa sarebbe stata, comunque, tardiva, non considerando, però, che il licenziamento era stato tempestivamente impugnato con raccomandata del 23.6.1998. Il primo motivo è inammissibile.

Per come si è già esposto in narrativa, la decisione impugnata si fonda sulla ratio decidendi essenziale che "il verbale di conciliazione, sottoscritto dal Presidente nell’esercizio della funzione a lui attribuita specificamente dalla legge, ha natura di atto pubblico, ed il suo contenuto ai sensi dell’art. 2700 c.c. può essere contestato solo attraverso una querela di falso, che non è stata proposta".

A fronte di tale statuizione, il ricorrente ha prospettato, con il ricorso per cassazione, censure prive di specifica attinenza con il decisum, limitandosi a ribadire i rilievi svolti con l’atto di appello in ordine all’inefficacia del verbale di conciliazione redatto "in assenza di alcuni componenti essenziali della commissione", ed in particolare del rappresentante dei lavoratori, senza prendere in alcun modo in esame le considerazioni svolte dalla corte territoriale in ordine alle modalità di contestazione delle risultanze del verbale stipulato ai sensi dell’art. 411 c.p.c. tenuto conto della sua natura e della funzione che, sulla base della norma indicata, svolge il presidente del collegio, il quale, con la sottoscrizione del verbale, certifica l’autografia della sottoscrizione delle parti o la loro impossibilità di sottoscrivere.

Così disattendendo la direttiva di necessaria specificità e completezza che deve rivestire, secondo l’insegnamento di questa Suprema Corte, l’atto di impugnazione, le cui censure, per consentire un puntuale apprezzamento della questione controversa, debbono manifestare uno specifico e chiaro collegamento con la statuizione del provvedimento impugnato, dovendosi l’inconferenza o l’incompletezza dei motivi sostanzialmente equiparare alla mancanza dei motivi medesimi (cfr. ad es. Cass. n. 21490/2005).

Il secondo motivo è infondato.

Per come si espone in seno allo stesso, l’argomentazione censurata è stata svolta dal giudice di appello ad abundantiam, e, pertanto, non rappresentando la ragione giustificatrice essenziale della decisione, risulta priva di decisività ai fini dell’impugnazione.

Non senza rammentare che, nel caso in cui venga impugnata con ricorso per cassazione una sentenza fondata su più ragioni, ciascuna idonea a sorreggerla, è necessario non solo che tutte le predette ragioni formino oggetto di specifica censura, ma anche che il ricorso sia accolto nella sua interezza, affinchè si compia lo scopo proprio di tale mezzo di impugnazione, il quale mira alla cassazione della sentenza, ossìa di tutte le ragioni che autonomamente la sorreggono (v. ad es. Cass. n. 4199/2002, Cass. n. 13070/2007). Il ricorso va, pertanto, rigettato. Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese che liquida in Euro 10,00 per esborsi ed in Euro 2.500,00 per onorario di avvocato, oltre a spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 11 maggio 2010.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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