Cons. Stato Sez. IV, Sent., 22-03-2011, n. 1757 Decisione amministrativa

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

razione appellante e l’avv. Musto per gli appellati;
Svolgimento del processo

Il Comune di Teverola ha impugnato, chiedendone la riforma previa sospensione, la sentenza con la quale il T.A.R. della Campania, accogliendo il ricorso proposto dai signori I.C. e F.C., ha annullato il decreto di occupazione d’urgenza di un suolo di loro proprietà, condannando lo stesso Comune al risarcimento dei danni derivati dall’illegittima occupazione, con ordine all’Amministrazione di addivenire a un accordo con le parti private per la cessione dei suoli ovvero di emanare un decreto di acquisizione ai sensi dell’art. 43 del d.P.R. 8 giugno 2001, nr. 327.

A sostegno dell’appello, l’Amministrazione ha dedotto: violazione degli artt. 3 e 97 Cost.; violazione e falsa applicazione dell’art. 13 della legge 25 giugno 1865, nr. 2359; difetto di giurisdizione; error in judicando (con riguardo all’erroneità della ritenuta illegittimità del decreto di occupazione, alla carenza di giurisdizione del giudice amministrativo sulla domanda risarcitoria ed all’erronea determinazione del danno risarcibile).

Si sono costituiti gli appellati, signori I.C. e F.C., i quali hanno preliminarmente eccepito l’improcedibilità del ricorso per avere il Comune, medio tempore, adottato un decreto di acquisizione in esecuzione della sentenza impugnata (decreto peraltro separatamente impugnato dagli stessi interessati dinanzi al T.A.R. della Campania); nel merito, hanno affermato l’infondatezza dei motivi di appello, chiedendone la reiezione.

Alla camera di consiglio del 21 ottobre 2008, la causa è stata introitata in decisione.

Con la propria memoria conclusiva, la parte appellante ha altresì evidenziato la necessità in ogni caso di una riforma della sentenza impugnata alla luce della sentenza della Corte Costituzionale nr. 293 dell’8 ottobre 2010, con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale del predetto art. 43, d.P.R. nr. 327 del 2001.

All’udienza del 1 marzo 2011, la causa è stata trattenuta in decisione.
Motivi della decisione

1. I signori I.C. e F.C., proprietari di un suolo sito nel Comune di Teverola, hanno impugnato gli atti di una procedura espropriativa promossa su di esso per la realizzazione del progetto di un mercato comunale, culminata nel decreto di occupazione temporanea e d’urgenza del 13 marzo 2002; contestualmente, hanno chiesto riconoscersi a loro favore il risarcimento del danno cagionato dall’illegittima occupazione e dalla irreversibile trasformazione dell’immobile.

Con la sentenza qui impugnata il T.A.R. della Campania, in accoglimento del ricorso:

– ha annullato il predetto decreto di occupazione d’urgenza;

– ha affermato il diritto dei ricorrenti al risarcimento del danno, ordinando al Comune, ai sensi dell’art. 35, comma 2, del decreto legislativo 31 marzo 1998, nr. 80, di formulare un’offerta sulla base dei criteri indicati nella stessa sentenza;

– ha altresì ordinato al Comune, laddove non si fosse riusciti a raggiungere un accordo con la parte privata per la cessione bonaria del suolo, di emettere un decreto di acquisizione ai sensi dell’art. 43 del d.P.R. 8 giugno 2001, nr. 327, fissando anche i termini per l’esercizio di dette attività.

2. Tutto ciò premesso, va in via preliminare esaminata l’eccezione di improcedibilità dell’appello del Comune sollevata dagli appellati, sul rilievo che medio tempore l’Amministrazione ha dato ottemperanza alla sentenza impugnata, provvedendo ad adottare un decreto di acquisizione così come ingiuntole (decreto che è stato peraltro impugnato dai destinatari dinanzi allo stesso T.A.R. partenopeo, presso il quale pende tuttora il relativo giudizio, in una con la domanda volta a ottenere la quantificazione del danno da risarcire, non essendosi raggiunto su di esso l’accordo inter partes).

L’eccezione è infondata.

Al riguardo, è sufficiente richiamare il granitico orientamento secondo cui la doverosa esecuzione della sentenza del T.A.R. non determina alcuna acquiescenza dell’Amministrazione alle sue statuizioni, tranne nel caso in cui emerga l’esplicita volontà di accettare la sentenza di primo grado atteso che, in questi casi, il comportamento della parte attuativo della pronuncia sfavorevole è necessitato in quanto, essendo la stessa esecutiva, vi è l’obbligo di conformarvisi, salvo che il giudice di appello non ne sospenda l’esecutività, diversamente esponendosi all’esecuzione coattiva sotto il controllo e la vigilanza del giudice (cfr. ex plurimis Cons. Stato, sez. V, 8 settembre 2010, nr. 6497; Cons. Stato, sez. IV, 9 luglio 2010, nr. 4453; Cons. Stato, sez. V, 26 febbraio 2010, nr. 1148; id., 12 giugno 2009, nr. 3750; Cons. Stato, sez. IV, 19 maggio 2008, nr. 2299).

Nel caso di specie, appare evidente che l’adozione del decreto ex art. 43, d.P.R. nr. 327 del 2001, ha costituito da parte del Comune doverosa esecuzione del decisum del primo giudice – esponendosi l’Amministrazione, in caso di inerzia, al rischio di un aggravarsi del debito risarcitorio per effetto del protrarsi dell’occupazione, oltre che a una possibile responsabilità per danno erariale -, senza che ad esso possa attribuirsi alcun carattere concludente nel senso auspicato da parte appellata.

3. Nel merito l’appello è solo parzialmente fondato.

4. In particolare, è fondato il primo motivo, con il quale si assume l’erroneità della sentenza impugnata laddove ha ritenuto illegittimo il censurato decreto di occupazione d’urgenza in quanto emanato dopo la scadenza dei termini individuati dalla dichiarazione di pubblica utilità per l’inizio delle espropriazioni e dei lavori, nonché per la conclusione dei lavori.

Ed invero, nella delibera consiliare nr. 38 del 3 agosto 1999, con la quale è stato approvato il progetto definitivo dell’intervento per cui è causa, erano espressamente individuati i seguenti termini:

– rispettivamente due e cinque anni per l’inizio e la conclusione della procedura espropriativa;

– un anno per l’inizio e la conclusione dei lavori.

In entrambi i casi, il decorso dei termini era ancorato alla "esecutività" della delibera medesima: pertanto, poiché questa risulta divenuta esecutiva in data 27 settembre 1999 a seguito di parere favorevole del Co.Re.Co., è a tale ultima data che va fissato il dies a quo dei termini suindicati.

Tanto premesso, è del tutto condivisibile la doglianza dell’Amministrazione, la quale richiama il noto indirizzo giurisprudenziale secondo cui l’inosservanza dei termini di inizio della procedura espropriativa e dei lavori, ai quali è riconosciuta natura ordinatoria e acceleratoria, non comporta la decadenza della dichiarazione di pubblica utilità, poiché l’inefficacia di cui all’art. 13, comma 3, della legge 25 giugno 1865, nr. 2359, consegue non già soltanto all’inutile decorso del termine fissato per il compimento delle operazioni di esproprio, ma alla scadenza anche dell’altro termine fissato per il compimento dell’opera; sicché fino a quando questo non sia spirato ben può l’amministrazione espropriante emanare un legittimo decreto ablativo (cfr. Cons. Stato, sez. V, 12 aprile 2005, nr. 1658; id., 28 dicembre 2001, nr. 6435).

La Sezione ritiene di precisare tale orientamento, nel senso che qualora – come nel caso di specie – la dichiarazione di pubblica utilità indichi diversi termini finali per la conclusione dei lavori e della procedura di esproprio, è palesemente a quest’ultimo che deve farsi riferimento per verificare la tempestività dei successivi atti della procedura medesima.

Pertanto, essendo stato il decreto di occupazione emesso entro il quinquennio dalla suindicata data di esecutività della delibera approvativa del progetto definitivo e dichiarativa della pubblica utilità dell’intervento, ne discende che erroneamente il primo giudice ha ritenuto tale atto adottato allorché non sussisteva più il potere della p.a. di dare impulso al procedimento espropriativo.

5. Quanto sopra, se induce a riformare la sentenza impugnata nella parte relativa all’accoglimento della domanda di annullamento, ha però effetti limitati quanto invece alla parte nella quale il primo giudice si è pronunciato sulla contestuale azione risarcitoria.

Infatti, non è contestato neanche nell’odierno appello che, anche dopo la scadenza del termine quinquennale indicato nell’originaria dichiarazione di pubblica utilità (non prorogato dalla successiva delibera di Giunta Comunale nr. 104 del 21 novembre 2000 di "riapprovazione" del progetto) e fino a tutt’oggi, non risulta adottato alcun formale decreto di esproprio, con la conseguenza che a partire dalla predetta scadenza – e, quindi, dal 28 settembre 2004 – l’occupazione del suolo non risulta più sorretta da alcun valido ed efficace titolo giuridico.

Ne discende, ancora, che l’effetto del parziale accoglimento dell’appello dell’Amministrazione, per le ragioni suindicate, è circoscritto a una diversa e posteriore individuazione del dies a quo della condotta illecita alla quale deve essere commisurato il risarcimento del danno: nel senso che questo, anziché alla data della materiale occupazione del fondo in esecuzione del decreto del 13 marzo 2002, dovrà fissarsi alla data sopra indicata del 28 settembre 2004.

6. A fronte di tale conclusione, non appaiono convincenti le ulteriori doglianze articolate nell’appello avverso le statuizioni del primo giudice in punto di risarcimento.

6.1. Con un primo motivo di censura, l’Amministrazione reitera l’eccezione di inammissibilità della domanda per carenza di giurisdizione del giudice amministrativo sull’azione risarcitoria.

Tuttavia, pur senza approfondire la disciplina della giurisdizione in materia espropriativa oggi introdotta dal Codice del processo amministrativo, già in precedenza la giurisprudenza era consolidata nel senso che fossero devolute alla giurisdizione amministrativa esclusiva le controversie nelle quali si facesse questione, anche ai fini complementari della tutela risarcitoria, di attività di occupazione e trasformazione di un bene conseguenti ad una dichiarazione di pubblica utilità, con essa congruenti e ad essa conseguenti, anche se il procedimento all’interno del quale sono state espletate non fosse poi sfociato in un tempestivo atto traslativo (cfr. ex plurimis Cass. civ., sez. un., 9 febbraio 2010, nr. 2788; Cons. Stato, sez. IV, 15 settembre 2010, nr. 6861; C.g.a.r.s., 26 maggio 2010, nr. 741).

Del tutto ultronea, poi, è la parte dell’appello in cui si reitera l’eccezione di difetto di giurisdizione quanto alla richiesta di indennizzo per il periodo di occupazione legittima, atteso che su tale parte della domanda il T.A.R. ha già declinato la propria giurisdizione con la stessa sentenza qui impugnata.

6.2. Con un diverso ordine di doglianze, il Comune lamenta l’erroneità delle statuizioni relative alla quantificazione del danno da risarcire, assumendo che al suolo occupato non può in alcun modo attribuirsi natura edificatoria.

Per questa parte l’appello è invero inammissibile, atteso che nella sentenza impugnata non è affatto previsto che in sede di quantificazione della somma da erogare a titolo di danno le parti debbano obbligatoriamente attribuire al suolo natura edificabile, essendosi limitato il primo giudice a indicare – quali criteri da seguire ai sensi dell’art. 35, comma 2, d.lgs. nr. 80 del 1998 – le "disposizioni del Testo Unico sugli espropri (in specie, ai sensi dell’art. 43, comma 6, del d.P.R. n. 327/2001)", il "principio del ristoro integrale del danno subito" e la necessità di ricomprendere anche "il danno per il periodo di occupazione senza titolo del bene" (pagg. 1112 della sentenza), oltre a un generico riferimento al valore venale dello stesso (pag. 11).

Di conseguenza, è nella sede dell’esecuzione della sentenza di primo grado e dinanzi al medesimo giudice che la ha emessa – ai sensi del più volte citato comma 2 dell’art. 35, d.lgs. nr. 80 del 1998 – che va esaminata e risolta ogni questione insorta tra le parti in ordine all’applicazione in concreto dei richiamati criteri, senza che su di essa possa incidere in alcun modo il presente giudizio di appello (che è limitato all’an del risarcimento ed all’individuazione dei criteri per la sua determinazione).

7. Ai rilievi fin qui svolti può aggiungersi che – contrariamente a quanto sostenuto dal Comune appellante nella propria memoria conclusionale – nella presente sede alcuna rilevanza può avere la sopravvenuta declaratoria di illegittimità dell’art. 43, d.P.R. nr. 327 del 2001, per effetto della sentenza della Corte Costituzionale nr. 293 dell’8 ottobre 2010: ciò innanzi tutto perché, come già rilevato, un decreto di acquisizione risulta ritualmente emanato nel vigore della ricordata disposizione (e la sua sorte, con i problemi connessi, sarà decisa nel separato giudizio al riguardo pendente dinanzi al medesimo T.A.R. della Campania), e in secondo luogo perché in ogni caso resta impregiudicato il principio enunciato dalla sentenza gravata laddove ha imposto di far cessare la permanenza dell’illecita occupazione, offrendo oltre tutto all’Amministrazione la via alternativa di un accordo bonario con le parti private.

8. In conclusione, s’impone una parziale riforma della sentenza impugnata, nel senso della reiezione dell’originaria domanda di annullamento e del "ridimensionamento" dell’accoglimento della domanda risarcitoria, nei sensi sopra precisati.

9. La parziale soccombenza reciproca giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese di entrambi i gradi del giudizio.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie in parte e, per l’effetto, respinge il ricorso di primo grado quanto alla domanda di annullamento e lo accoglie quanto alla domanda di risarcimento danni, confermando in parte qua la sentenza impugnata con la sola precisazione che la data a decorrere dalla quale andrà computato il danno risarcibile va individuata nel 28 settembre 2004.

Compensa tra le parti le spese del doppio grado del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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