Cass. civ. Sez. V, Sent., 10-06-2011, n. 12779

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il Ministero dell’economia e delle finanze e l’Agenzia delle entrate propongono ricorso per cassazione, sulla base di due motivi, avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Veneto indicata in epigrafe, con la quale, rigettando l’appello dell’Ufficio, è stata confermata l’illegittimità degli avvisi di liquidazione, relativi a sanzioni IVA contestate alla Metalstand s.n.c. per l’anno 1992 con atto divenuto definitivo, notificati a C.M. e Cu.Di., in virtù della loro responsabilità solidale ex art. 2291 cod. civ., quali ex soci della predetta società, nel frattempo cancellata dal registro delle imprese.

Il giudice a quo ha ritenuto che l’Ufficio non aveva fornito la prova della preventiva escussione del patrimonio della società, ai sensi dell’art. 2304 cod. civ..

2. I contribuenti resistono con controricorso.
Motivi della decisione

1. Va preliminarmente dichiarata l’inammissibilità, per difetto di legittimazione, del ricorso del Ministero dell’economia e delle finanze, il quale non è stato parte del giudizio di appello, promosso nel 2003 dalla sola Agenzia delle entrate, con implicita estromissione del Ministero.

Sussistono giusti motivi, in considerazione dell’epoca in cui si è formata la giurisprudenza di questa Corte sul punto (Cass., Sez. un., n. 3116 del 2006), per disporre la compensazione delle spese.

2. Con l’unico motivo di ricorso, l’Agenzia delle entrate, denunciando violazione degli artt. 2291 e 2304 cod. civ., nonchè vizio di motivazione, sostiene che nella fattispecie la preventiva escussione del patrimonio sociale, prescritta dal citato art. 2304, non era necessaria, poichè l’insufficienza di quel patrimonio risultava con certezza dalla circostanza che la società era stata cancellata dal registro delle imprese sin dal 1996.

Il ricorso va accolto, sia pure per una ragione diversa da quella enunciata nel motivo anzidetto.

La questione va, infatti, risolta sulla base del disposto dell’art 2312 cod. civ., il quale, in tema di cancellazione delle società in nome collettivo dal registro delle imprese, prevede, al secondo comma, che "dalla cancellazione della società i creditori sociali che non sono stati soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci e, se il mancato pagamento è dipeso da colpa dei liquidatori, anche nei confronti di questi".

In tale previsione va ravvisata una modificazione del rapporto obbligatorio dal lato passivo, per la quale, pur se la cancellazione della società dal registro delle imprese non ne determina l’estinzione se e fino a quando permangano debiti sociali, all’obbligazione della società si aggiunge quella dei singoli soci, quale ulteriore garanzia per i creditori insoddisfatti, ai quali è data la facoltà di scelta fra l’agire contro la società, non ancora estinta, ovvero contro i soci (ciò nel quadro della disciplina, applicabile nella fattispecie ratione temporis, anteriore al D.Lgs. n. 6 del 2003, che ha collegato alla cancellazione l’immediata estinzione delle società, anche di persone, a decorrere dal 1 gennaio 2004: Cass., Sez. un., n. 4060 del 2010).

In termini analoghi si è già espressa questa Corte con riferimento alla previsione di cui all’art. 2456 c.c., comma 2 (nel testo vigente anteriormente alle modifiche apportate dal citato D.Lgs. n. 6 del 2003: v., ora, art. 2495), relativo alle società di capitali, il quale tuttavia limita la responsabilità dei soci fino alla concorrenza delle somme da essi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione (Cass. n. 19732 del 2005; conff. Cass. nn. 10275 del 2008 e 11967 del 2010).

3. In conclusione, il ricorso va accolto, la sentenza impugnata deve essere cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito, con il rigetto del ricorso introduttivo dei contribuenti.

4. Mentre si ravvisano giusti motivi, in considerazione della parziale novità della questione, per disporre la compensazione delle spese dei gradi di merito, i controricorrenti vanno condannati alle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso del Ministero dell’economia e delle finanze e compensa le spese.

Accoglie il ricorso dell’Agenzia delle entrate, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo dei contribuenti.

Compensa le spese dei gradi di merito e condanna i controricorrenti alle spese del presente giudizio di cassazione, che liquida in Euro 1000,00 per onorari, oltre spese prenotate a debito.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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