T.A.R. Lazio Roma Sez. I, Sent., 22-03-2011, n. 2546

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso notificato in data 1° febbraio 2010, depositato il successivo 4 febbraio, l’istante, nella qualità di titolare di ditta individuale operante nel settore dell’allevamento di animali, ha impugnato il decreto n. 281 dell’8 ottobre 2009 del Commissariato di Governo per l’emergenza brucellosi negli allevamenti bufalini in provincia di Caserta e zone limitrofe ( ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri 21 dicembre 2007, n. 3634), mai notificato, con il quale è stato disposto l’annullamento del decreto del Commissariato medesimo di liquidazione dell’indennizzo riconosciuto alla ditta per l’abbattimento di capi bufalini brucellotici n. 19 del 20 ottobre 2008 nell’importo di Euro 82.139,14. Ciò sulla scorta dell’informativa della Prefettura di Caserta del 29.04.2009, che ha comunicato la sussistenza nei confronti della ricorrente delle cause interdittive di cui all’art. 4 del d. lgs.8 agosto 1994, n. 490 e all’art. 10 della l. 31 maggio 1965, n. 575.

L’impugnazione è stata estesa alla citata informativa prefettizia nonché al Piano operativo predisposto per fronteggiare il rischio sanitario di cui trattasi, approvato con decreto commissariale n. 4 del 2008, per la parte in cui subordina l’erogazione dell’indennizzo alla insussistenza delle predette cause interdittive.

Avverso i gravati provvedimenti parte ricorrente ha dedotto tre motivi di ricorso.

Con il primo motivo (violazione falsa applicazione dell’art. 4 del d. lgs. 490/94, dell’art. 10 della l. 575/65, dell’art. 1, lett. d) del d.p.r. 3 giugno 1998, n. 252; eccesso di potere) la ricorrente ha esposto che la normativa di cui all’art. 4 del d. lgs. 490/94 e all’art. 10 della l. 575/65 circoscrive tassativamente l’effetto interdittivo delle informazioni antimafia alle fattispecie costituite dalla stipula di un contratto o subcontratto in cui sia parte una pubblica amministrazione, o dalla concessione di contributi, finanziamenti, mutui agevolati o erogazioni dello stesso tipo. La norma non troverebbe, quindi, applicazione nella fattispecie, nella quale trattasi dell’erogazione di un mero indennizzo, volto non ad incentivare l’attività imprenditoriale, bensì a compensare il sacrificio di un diritto sopportato secundum jus, nell’interesse della collettività, per una prioritaria esigenza sanitaria, di talchè sarebbe illegittima sia la previsione del Piano operativo commissariale nella parte in cui subordina l’indennizzo alla insussistenza delle cause interdittive in argomento, sia il relativo provvedimento attuativo. In ogni caso, parte ricorrente ritiene che, quand’anche l’erogazione in argomento potesse essere qualificata come non ristorativa, il d.p.r. 252/98, art. 1, lett. d), esclude dall’ambito di applicazione della normativa antimafia l’esercizio di attività agricola ed artigiana.

Con il secondo motivo (violazione e falsa applicazione dell’art. 1 dell’ o.p.c.m. 3634/07) parte ricorrente denunzia che tra i poteri conferiti al Commissario straordinario con l’ o.p.c.m. 3634/07 non vi è quello di disporre la necessità di acquisire la normativa antimafia prima di procedere all’erogazione materiale dell’indennizzo.

Con il terzo motivo (violazione e falsa applicazione dell’art. 4 del d. lgs. 490/94, dell’art. 10 della l. 575/65, del d.p.r. 252/98, delle circolari del Ministero dell’interno n. 559/94, dell’8 gennaio 1996 e n. 559 del 18 dicembre 1998; carenza assoluta di presupposti, illogicità, travisamento, contraddittorietà, difetto di motivazione) si sostiene che nella specie, nella quale la ditta ricorrente svolge da oltre dieci anni attività di coltivazione ed allevamento senza alcuna contestazione o rilievo, non può non dubitarsi dell’attendibilità degli accertamenti effettuati e della loro rilevanza ai fini dell’emissione del provvedimento interdittivo.

Alla domanda demolitoria parte ricorrente ha fatto seguire domanda di risarcimento del danno.

Con ordinanza 3 marzo 2010, n. 21 la Sezione ha ordinato alla Prefettura di Caserta di produrre in giudizio l’informativa resa nei confronti della ricorrente e tutti gli atti ivi richiamati.

Preso atto della documentazione in parola, dall’amministrazione versata in atti il 15 marzo 21010, a mezzo di motivi aggiunti notificati il 27 marzo 2010 e depositati il successivo 31 marzo parte ricorrente ha precisato le censure avverso l’informativa prefettizia ed ha altresì impugnato la nota del Comando Provinciale dei Carabinieri di Caserta del 21 marzo 2009, ivi citata.

In particolare, con i mezzi aggiunti la ricorrente ha dedotto gli stessi motivi di gravame di cui al ricorso, ed ha soggiunto che gli elementi posti a sostegno dell’informativa, evincibili dalla citata nota del Comando Carabinieri, sono del tutto irrilevanti, poiché poggianti esclusivamente su legami di parentela, ovvero su un dato anagrafico che, se non accompagnato dalla comunanza di interessi con ambienti mafiosi, non viene ritenuto sufficiente dalla giurisprudenza amministrativa per provare infiltrazioni mafiose nella gestione dell’impresa.

Si sono costituite in resistenza le intimate amministrazioni che, evocata pregiudizialmente la carenza di legittimazione passiva della Presidenza del Consiglio dei ministri, hanno sostenuto la infondatezza del gravame, domandandone il rigetto.

Parte ricorrente ha affidato a memoria lo sviluppo delle proprie tesi difensive.

La causa è stata, indi, trattenuta in decisione alla pubblica udienza del 1° dicembre 2010.
Motivi della decisione

1. Il ricorso è infondato.

2. Per quanto qui di interesse, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 3 agosto 2007, adottato ai sensi dell’art. 5, comma 1, della l. 24 febbraio 1992, n. 225, "Istituzione del Servizio nazionale della protezione civile", per fronteggiare il rischio sanitario connesso alla elevata diffusione della brucellosi negli allevamenti bufalini nel territorio della provincia di Caserta e zone limitrofe, è stato ivi dichiarato lo stato di emergenza.

Con ordinanza 21 dicembre 2007, n. 3634, il Presidente del Consiglio dei ministri, nominato il Commissario delegato, ha deliberato gli interventi urgenti di protezione civile volti al superamento dello stato di criticità in parola.

In particolare, l’art. 1, comma 4, lett. c) dell’ordinanza n. 3634 del 2007 ha conferito al Commissario straordinario, nei casi previsti dall’ordinanza del Ministro della salute del 14 novembre 2006, il potere di emanare ordinanze per l’abbattimento dei capi bufalini.

Al contempo, la successiva lett. f) ha previsto la corresponsione degli indennizzi di cui all’art. 3 della stessa ordinanza 3634/07.

L’art. 3 in argomento, al comma 1, recita:

"Il Commissario delegato, in coerenza con gli orientamenti comunitari in materia di aiuti di stato in agricoltura, a favore dei titolari delle aziende zootecniche bufaline presenti sul territorio della provincia di Caserta, così come indicato dal Piano straordinario, regolarmente iscritte nella Banca dati nazionale dell’anagrafe zootecnica, i cui capi siano stati abbattuti in conseguenza di riscontrata positività ai test per la brucellosi ed in conformità alle disposizioni vigenti e nei limiti delle risorse di cui all’art. 7, è autorizzato ad erogare:

a) entro novanta giorni dall’acquisizione del diritto del beneficiario, gli indennizzi previsti dalla legge 9 giugno 1964, n. 615 e successive modifiche ed integrazioni, riconosciuti agli aventi diritto per gli abbattimenti disposti ed effettuati in attuazione dell’ordinanza del Ministro della salute del 14 novembre 2006, ed al netto dei proventi derivanti dalla vendita della carne. A tale fine il Commissario delegato, in deroga alle vigenti disposizioni, si avvale delle pertinenti risorse finanziarie del Fondo sanitario nazionale trasferite dalla regione alle ASL competenti per territorio;

b) un ulteriore indennizzo considerando il valore di mercato alla data di emanazione della presente ordinanza, desunto dal Bollettino ISMEA, al netto di indennizzi percepiti ai sensi della legge 9 giugno 1964, n. 615, e successive modifiche ed integrazioni, nonchè dei proventi derivanti dalla vendita della carne;

c) gli indennizzi per la perdita di reddito dovuta ad obblighi di quarantena e difficoltà di ripopolamento. Gli importi sono quantificati in misura delle unità bovine adulte (UBA) abbattute ed è corrisposto per un periodo massimo di dodici mesi. L’erogazione dell’indennizzo è subordinata alla effettiva ricostituzione del patrimonio zootecnico aziendale".

L’art. 7 dell’ordinanza in parola quantifica l’onere derivante dall’attuazione dell’art. 3, comma 1, lettere a) e b), in Euro 37.000.000,00. Quanto all’onere derivante dall’attuazione della lett. c), l’art. 7 ha previsto un primo stanziamento pari ad Euro 4.600.000,00.

3. Parte ricorrente presentava istanza di indennizzo per il subito abbattimento di capi infetti da brucellosi.

Effettuata la conseguente istruttoria, con decreto 20 ottobre 2008 del Commissariato di Governo l’ammontare dell’indennizzo da corrispondere alla ditta ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. a e b) dell’ordinanza 3634/07 veniva liquidato in Euro 82.139,14.

In data 15 ottobre 2008, in applicazione delle pertinenti disposizioni del Piano operativo approvato con decreto del Commissario straordinario n. 4 del 6 maggio 2008, la struttura commissariale richiedeva alla Prefettura – Ufficio territoriale del Governo di Caserta, le informazioni antimafia nei confronti della titolare della ditta, ai sensi dell’art. 4 del decreto legislativo 490/94 e dell’art. 10 del d.p.r. 252/98.

L’amministrazione prefettizia interpellata, con nota n. 1953/12.B.16/ANT/AREA 1^ del 29 aprile 2009, acquisita dall’Ufficio straordinario in data 15 maggio 2009, comunicava, sulla base della nota 7 maggio 2009 del Comando provinciale Carabinieri di Caserta, che a carico della ditta richiedente "…sussistono le cause interdittive di cui all’art. 4 del d. lg.vo n. 490/94 e di cui all’art. 10 della legge 31/05/65 n. 575".

L’Ufficio commissariale annullava indi il predetto decreto concessorio con il decreto 6 ottobre 2009, n. 281l, impugnato in questa sede, unitamente al Piano operativo commissariale, nella parte in cui subordina l’erogazione di cui trattasi alla insussistenza delle cause interdittive, alla comunicazione resa dalla Prefettura di Caserta e alle informazioni ivi richiamate.

L’atto di autotutela veniva motivato con riferimento sia all’informativa prefettizia, sia al parere 13 novembre 2008, n. 61258/P reso dall’Avvocatura Distrettuale di Napoli, che esprimeva l’avviso che l’indennizzo in parola fosse subordinato all’acquisizione dell’informativa antimafia, rientrando lo stesso tra le erogazioni indicate dall’art. 10, lett. f), della l. 31 maggio 1965, n. 575

4. Prima di affrontare la disamina delle questioni introdotte dalla parte ricorrente, è d’uopo esaminare l’eccezione pregiudiziale di carenza di legittimazione passiva spiegata dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, che invoca all’uopo l’art. 1 dell’ o.p.c.m. 19 gennaio 2010, n. 3841, che, cessato lo stato di emergenza in parola alla data del 31 gennaio 2009, ha affidato al Commissario delegato, in regime ordinario, esclusivamente il completamento delle iniziative programmate e in corso, da effettuarsi entro e non oltre il 31 dicembre 2010.

4.1. L’eccezione non è fondata.

Il Commissario delegato di cui l’ apparato statale si avvale per lo svolgimento dei compiti di cui alla legge n. 225 del 1992 in materia di protezione civile ha infatti veste di organo straordinario e temporaneo della Presidenza del Consiglio dei Ministri, ovvero dell’autorità amministrativa delegante.

Ne consegue che l’Ufficio commissariale fa capo alla Presidenza del Consiglio dei ministri.

Nulla muta considerando che l’organo straordinario delegato è dotato, rispetto al delegante, di indubbia autonomia amministrativa: essa, invero, unitamente alla possibilità di essere destinatario, nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico, di poteri derogatori ad ogni disposizione vigente (art. 5, comma 2, l. 225/92), è finalizzata strettamente ed esclusivamente al raggiungimento degli obiettivi conferitigli per il superamento dello stato emergenziale alle condizioni e nei termini, anche temporali, da prevedersi ai sensi dell’art. 5, commi 1 e 2, della l. 225/92.

Gli atti assunti nell’esercizio delle funzioni delegate sono, pertanto, riferibili alla stessa Presidenza del Consiglio dei ministri, organo che riveste nei confronti del commissario delegato carattere di supervisione e di indirizzo (in termini, C. Stato, sez. IV, 28 aprile 2004, n. 2576).

Ancora nulla muta considerando che, esauriti gli effetti derivanti dalla dichiarazione dello stato di emergenza e degli atti ad essa conseguenti, la competenza ordinaria sulla materia investita dall’intervento straordinario emergenziale è destinata a riespandersi: tale conseguenza non è, invero, che un effetto naturale della straordinarietà e della temporaneità delle attribuzioni commesse all’ufficio straordinario.

5. Può passarsi, quindi, al merito della controversia.

6. Avverso il provvedimento assunto in sede di autotutela dall’Ufficio commissariale, con il quale, alla luce del tenore dell’informativa antimafia acquisita, è stato annullato il precedente provvedimento che aveva riconosciuto in capo alla ditta ricorrente i benefici economici di cui all’art. 3 dell’ordinanza 3634, lettere a) e b), sono stati dedotti due motivi di ricorso.

In particolare, parte ricorrente (denunziando violazione falsa applicazione dell’art. 4 del d. lgs. 490/94, dell’art. 10 della l. 575/65, dell’art. 1, lett. d) del d.p.r. 3 giugno 1998, n. 252 ed eccesso di potere) ha esposto che la normativa di cui all’art. 4 del d. lgs. 490/94 e all’art. 10 della l. 575/65 circoscrive tassativamente l’effetto interdittivo delle informazioni antimafia alle fattispecie costituite dalla stipula di un contratto o subcontratto in cui sia parte una pubblica amministrazione, o dalla concessione di contributi, finanziamenti, mutui agevolati o erogazioni dello stesso tipo. Secondo parte ricorrente, la norma non troverebbe, quindi, applicazione nella fattispecie, nella quale trattasi dell’erogazione di un mero indennizzo, volto non ad incentivare l’attività imprenditoriale, bensì a compensare il sacrificio di un diritto sopportato dal privato secundum jus, nell’interesse della collettività, per una prioritaria esigenza sanitaria, di talchè sarebbero illegittimi sia il provvedimento adottato in sede di autotutela, sia la previsione del Piano operativo commissariale nella parte in cui subordina l’indennizzo alla insussistenza delle cause interdittive in argomento. In ogni caso, parte ricorrente ritiene che, quand’anche l’erogazione in parola potesse essere qualificata come non ristorativa, il d.p.r. 252/98, art. 1, lett. d), esclude dall’ambito di applicazione della normativa antimafia l’esercizio di attività agricola ed artigiana.

Parte ricorrente, inoltre (deducendo la violazione e falsa applicazione dell’art. 1 dell’ordinanza 3634/07) lamenta che tra i poteri conferiti al Commissario straordinario con l’ o.p.c.m. 3634/07 non vi è quello di disporre l’acquisizione della normativa antimafia prima di procedere all’erogazione materiale dell’indennizzo.

6.1. Tra i piani in cui si articolano le descritte doglianze, viene in prioritaria evidenza, attinendo al profilo assorbente della competenza, quello con cui parte ricorrente denunzia che tra i poteri conferiti al Commissario straordinario con l’ o.p.c.m. 3634/07 non vi è quello di disporre la necessità di acquisire la normativa antimafia prima di procedere all’erogazione dell’indennizzo.

La censura deve essere respinta.

Infatti, qualora dovesse concludersi, seguendo l’impostazione dell’Ufficio commissariale e del sopra menzionato parere reso dall’Avvocatura Distrettuale di Napoli – e la questione forma oggetto della doglianza principale, di cui in seguito – che per l’erogazione dell’indennizzo in parola vi è obbligo dell’acquisizione dell’informativa antimafia, non può versarsi in alcun dubbio che essa si porrebbe come attività necessitata e direttamente strumentale all’attuazione degli interventi affidati al Commissario delegato dall’art. 1 dell’ordinanza n. 3634 del 2007, tra cui l’emanazione delle ordinanze per l’abbattimento dei capi bufalini e la corresponsione dei conseguenti indennizzi di cui all’art. 3 della stessa ordinanza.

E ciò anche in disparte la apposita previsione del Commissario straordinario contenuta nel Piano operativo commissariale.

Invero quest’ultima, sempre nell’ipotesi, si configurerebbe non, come sembra evocare parte ricorrente, quale disposizione a carattere discrezionale recante le condizioni per procedere alla erogazione dell’indennizzo, bensì quale mera specificazione di un obbligo inderogabile che l’Ufficio è chiamato comunque ad adempiere, in virtù della superiore disposizione normativa di ordine pubblico. Così come una informativa cd. tipica, ricognitiva di cause di per se interdittive ai sensi del comma 4 dell’art. 4 del d.lgs. 490/94 (sussistenza di cause di divieto o di sospensione, tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte della società o dell’impresa), non lascerebbe all’amministrazione destinataria della stessa alcun margine di apprezzamento.

6.2. Anche le argomentazioni ricorsuali attinenti al punto saliente della questione controversa, ad avviso del Collegio, non meritano condivisione.

L’art. 4 d.lgs. 490/1994 stabilisce al comma 4 che il Prefetto trasmette alle amministrazioni richiedenti le informazioni concernenti le informazioni relative ad eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate ed al comma 6 che, quando, a seguito delle verifiche disposte a norma del comma 4, emergono elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa nelle società o imprese interessate, le amministrazioni cui sono fornite le relative informazioni dal Prefetto non possono stipulare, approvare o autorizzare i contratti o subcontratti né autorizzare, rilasciare o comunque consentire le concessioni e le erogazioni.

Tale previsione è ribadita nell’art. 10, comma 2 del d.p.r. 252/1998 – regolamento recante norme per la semplificazione dei procedimenti relativi al rilascio delle comunicazioni e delle informazioni antimafia – che, al successivo comma 7, sancisce come le situazioni relative ai tentativi di infiltrazione mafiosa sono desunte: a) dai provvedimenti che dispongono una misura cautelare o il giudizio, ovvero che recano una condanna anche non definitiva per taluno dei delitti di cui agli artt. 629, 644, 648 bis e 648 ter del codice penale, o dall’art. 51, comma 3 bis, del codice di procedura penale; b) dalla proposta o dal provvedimento di applicazione di taluna delle misure di cui agli artt. 2 bis, 2 ter, 3 bis e 3 quater della l. 575/1965; c) dagli accertamenti disposti dal Prefetto anche avvalendosi dei poteri di accesso e di accertamento delegati dal Ministro dell’interno, ovvero richiesti ai Prefetti competenti per quelli da effettuarsi in altra provincia.

A sua volta, l’art. 10 della l. 31 maggio 1965, n. 575, prevede che le persone alle quali sia stata applicata con provvedimento definitivo una misura di prevenzione non possono ottenere: a) licenze o autorizzazioni di polizia e di commercio; b) concessioni di acque pubbliche e diritti ad esse inerenti nonché concessioni di beni demaniali allorché siano richieste per l’esercizio di attività imprenditoriali; c) concessioni di costruzione, nonché di costruzione e gestione di opere riguardanti la pubblica amministrazione e concessioni di servizi pubblici; d) iscrizioni negli albi di appaltatori o di fornitori di opere, beni e servizi riguardanti la pubblica amministrazione e nell’albo nazionale dei costruttori, nei registri della camera di commercio per l’esercizio del commercio all’ingrosso e nei registri di commissionari astatori presso i mercati annonari all’ingrosso; e) altre iscrizioni o provvedimenti a contenuto autorizzatorio, concessorio, o abilitativo per lo svolgimento di attività imprenditoriali, comunque denominati; f) contributi, finanziamenti o mutui agevolati ed altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità europee, per lo svolgimento di attività imprenditoriali.

Di talché, quando la causa interdittiva consiste nella presenza di tentativi di infiltrazione mafiosa desunti da provvedimenti o proposte di provvedimenti ai sensi dell’art. 10, comma 7, lett. a) e b), ovvero da accertamenti prefettizi ex art. 10, co. 7, lett. c) del d.p.r. 252/1998, l’attività amministrativa è vincolata nell’adozione dell’atto, ma è discrezionale nella valutazione dei presupposti.

La discrezionalità nella valutazione dei presupposti a base dell’atto è di latitudine maggiore nell’ipotesi di accertamenti prefettizi in quanto le "infiltrazioni" possono essere dedotte anche da parametri non predeterminati normativamente; in tal caso, infatti, rientra nel potere discrezionale del Prefetto ogni valutazione dei fatti e delle circostanze emergenti dall’attività investigativa demandata agli organi di polizia (Tar Lazio, Roma, I, 9 luglio 2008, n. 6487).

L’intento del legislatore nella materia de qua è quello di accostare alle misure di prevenzione antimafia un altro significativo strumento di contrasto della criminalità organizzata, consistente nell’esclusione dell’imprenditore, che sia sospettato di legami o condizionamento da infiltrazioni mafiose, dal mercato dei pubblici appalti e, più in generale, dalla stipula di tutti quei contratti e dalla fruizione di tutti quei benefici che presuppongono la partecipazione di un soggetto pubblico e l’utilizzo di risorse della collettività (C. Stato,VI, 24 ottobre 2000, n. 5710).

In particolare, il collegamento con la disciplina delle misure di prevenzione – che, come detto, partecipano della medesima ratio di quelle in esame, intesa a combattere le associazioni mafiose con l’efficace aggressione dei loro interessi economici – testimonia del fatto che le preclusioni dettate dalle richiamate norme di legge costituiscono una difesa molto avanzata dell’autorità pubblica contro il fenomeno mafioso in quanto gli istituti de quibus si basano su un accertamento di grado inferiore e ben diverso da quello richiesto per l’accertamento della responsabilità penale e l’applicazione delle conseguenti sanzioni.

In altri termini, le informative prefettizie in materia di lotta antimafia possono essere fondate su fatti e vicende aventi un valore sintomatico e indiziario e mirano alla prevenzione di infiltrazioni mafiose e criminali nel tessuto economico imprenditoriale, anche a prescindere dal concreto accertamento in sede penale di reati e dalle rilevanze probatorie tipiche del diritto penale (C. Stato, VI, 25 novembre 2008, n. 5780; 29 febbraio 2008, n. 756).

L’art. 4 d. lgs. 490/1994, pertanto, deve intendersi come costituente una misura di tipo preventivo volta a contrastare l’azione del crimine organizzato in quanto dà rilievo ai fini ostativi della contrattazione degli appalti di opere pubbliche e delle pubbliche erogazioni anche ad elementi che costituiscono solo indizi, che comunque non devono costituire semplici sospetti o congetture privi di riscontri fattuali, del rischio di coinvolgimento associativo con la criminalità organizzata delle imprese interessate alle erogazioni pubbliche.

Il campo di applicazione della disposizioni di cui alle norme appena descritte va individuato, per quanto concerne le concessioni e le erogazioni, ai sensi dell’allegato 3 del d. lgs. 490/1994, il quale vi ricomprende, alla lett. f), "i contributi, finanziamenti o mutui agevolati ed altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità europee, per lo svolgimento di attività imprenditoriali".

Il richiamo alle "altre erogazioni dello stesso tipo" fa emergere che le contribuzioni elencate espressamente nella disposizione in parola hanno un valore meramente esemplificativo, e non esauriscono il novero delle utilità contemplate dalla legge.

Diversamente opinando, invero, la clausola di salvaguardia non avrebbe alcuna ragion d’essere.

In ogni caso, poi, siffatta conclusione, anche al di là della portata lessicale della norma, è confortata dalla detta ratio dell’intervento normativo, che risponde alla peculiare esigenza della pubblica amministrazione di mantenere un atteggiamento intransigente contro i rischi di infiltrazione mafiosa per contrastare un eventuale utilizzo distorto delle risorse pubbliche (C. Stato, VI, 7 marzo 2007, n. 1056).

In altre parole, la disciplina delle informazioni antimafia partecipa della medesima ratio delle misure di prevenzione, ed è intesa a combattere le associazioni mafiose con l’efficace aggressione dei loro interessi economici (C. Stato, VI, 14 gennaio 2002, n. 149; V, 24 ottobre 2000, n. 5710); esse, pertanto, costituiscono degli strumenti, con funzione spiccatamente cautelare e preventivo, di contrasto della criminalità organizzata e di conseguenza, con particolare riguardo alle informazioni relative alla sussistenza di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e degli indirizzi di una società o di un’impresa, devono ritenersi di applicazione rigorosa ma generale, ogni qual volta l’impresa sospettata abbia un contatto con le pubbliche amministrazioni necessario per lo svolgimento della propria attività, salvo che la legge non disponga diversamente (Tar Campania, Napoli, I, 26 febbraio 2009, n. 1113).

Applicando alla fattispecie tali chiari principi, ed in considerazione dell’avanzato fronte di difesa dalla criminalità organizzata rappresentato dallo strumento interdittivo previsto dalla norma in esame, nonché ulteriormente considerata la primaria rilevanza del bene pubblico che lo stesso intende tutelare, il Collegio non ravvisa valide ragioni per aderire all’impostazione ricorsuale, e statuire la non applicabilità alla fattispecie dell’art. 4 del d. lgs. 490/94 e dell’art. 10 della l. 575/65.

E ciò neanche avuto riguardo alla circostanza che la contribuzione di cui trattasi trova condizione nell’abbattimento di animali infetti causato da emergenza sanitaria, come sottolineato dalla parte ricorrente, quando invoca la natura puramente risarcitoria o, comunque, indennitaria dell’intervento.

Invero, l’art. 1 dell’ordinanza 3634/07 dispone che la contribuzione, erogata secondo il regime proprio degli aiuti di stato in agricoltura, può essere erogata soltanto "nei limiti delle risorse di cui all’art. 7".

Elemento che fa escludere di per sé che, ai fini per cui è causa, il regime della erogazione di cui trattasi possa essere assimilato sic et simpliciter a quello avente causa puramente risarcitoria.

La conclusione trova, poi, piena conferma nel chiaro indirizzo giurisprudenziale formatosi sul modello legale originario dell’intervento, richiamato anche dall’ordinanza 3634/07, all’art. 3, lettere a) e b), costituito dalla l. 9 giugno 1964, n. 615, "Bonifica sanitaria degli allevamenti dalla tubercolosi e dalla brucellosi", modificata dalla l. 23 gennaio 1968, n. 33 (Cass. SS. UU., 1° aprile 1993, n. 3881), per il quale il supremo giudice civile ha escluso la natura risarcitoria.

Con l’effetto che(conformemente a quanto già ritenuto dalla Sezione negli analoghi precedenti nn. 30424 e 30425 del 2010) deve conclusivamente ritenersi che vale anche nella fattispecie in argomento la disciplina normativa del controllo avverso forme di infiltrazioni criminali.

6.3. Anche la censura fondata sull’art. 1, lett. d), del d.p.r. 3 giugno 1998, n. 252, regolamento recante norme per la semplificazione dei procedimenti relativi al rilascio delle comunicazioni e delle informazioni antimafia, non può condurre ai fini sperati, essendo imperniata sull’erronea asserzione che l’esclusione concerna in sè l’esercizio di attività agricola, laddove, invece, molto più limitatamente, la norma regolamentare invocata, nel disciplinare al comma 1 le modalità con le quali le pubbliche amministrazioni e gli enti pubblici, gli enti e le aziende vigilati dallo Stato o da altro ente pubblico e le società o imprese comunque controllate dallo Stato o da altro ente pubblico, nonché i concessionari di opere pubbliche, possono acquisire la prescritta documentazione circa la sussistenza di una delle cause di decadenza, di divieto o di sospensione di cui all’articolo 10 della legge 575/65, e dei tentativi di infiltrazione mafiosa di cui all’articolo 4 del decreto legislativo 490/94, dispone, al comma 2, lett. d), che la documentazione di cui al comma 1 non è comunque richiesta, tra altre ipotesi, "per la stipulazione o approvazione di contratti e per la concessione di erogazioni a favore di chi esercita attività agricole o professionali, non organizzate in forma di impresa, nonché a favore di chi esercita attività artigiana in forma di impresa individuale".

Di talchè, per l’applicazione della invocata esenzione all’esercizio di attività agricola, deve trattarsi di esercizio di attività agricola non organizzata in forma di impresa.

E dell’esistenza di una siffatta condizione, per quanto concerne la ditta ricorrente, il gravame non assolve l’onere di dare alcun conto.

7. Deve, quindi, passarsi all’esame delle censure rivolte avverso la certificazione prefettizia e gli atti presupposti.

Esse sono esplicitate nel terzo motivo di ricorso (violazione e falsa applicazione dell’art. 4 del d. lgs. 490/94, dell’art. 10 della l. 575/65, del d.p.r. 252/98, delle circolari del Ministero dell’interno n. 559/94, dell’8 gennaio 1996 e n. 559 del 18 dicembre 1998; carenza assoluta di presupposti, illogicità, travisamento, contraddittorietà, difetto di motivazione) con cui si sostiene che nella specie, nella quale la ditta ricorrente svolge da oltre dieci anni attività di coltivazione ed allevamento senza alcuna contestazione o rilievo, non può non dubitarsi dell’attendibilità degli accertamenti effettuati e della loro rilevanza ai fini dell’emissione del provvedimento interdittivo.

Preso successivamente atto della certificazione rilasciata dalla Prefettura di Caserta e della nota del Comando Provinciale dei Carabinieri di Caserta del 21 marzo 2009 ivi richiamata, parte ricorrente ha poi sostenuto con i mezzi aggiunti che gli elementi posti a sostegno dell’informativa, evincibili dalla citata nota del Comando Carabinieri, sono del tutto irrilevanti, poiché poggianti esclusivamente su legami di parentela, ovvero su un dato anagrafico che, se non accompagnato dalla comunanza di interessi con ambienti mafiosi, non viene ritenuto sufficiente dalla giurisprudenza amministrativa per provare infiltrazioni mafiose nella gestione dell’impresa. 7.1. Le riferite doglianze sono generiche nella prima parte e contrastanti con gli elementi desumibili pertabulas nella seconda.

Dalla nota 21 marzo 2009 del Comando Provinciale Carabinieri di Caserta richiamata dalla informativa prefettizia emerge che il titolare della ditta ricorrente, N.D.V., risulta raggiunta da decreto di sequestro beni, emesso il 4 maggio 1994 dal Tribunale di S. Maria Capua Vetere, connessa a misura di prevenzione, quale terza intestataria di beni.

La nominata risulta inoltre moglie di Enrico Martinelli, detenuto, elemento di spicco del clan camorristico dei "Casalesi", già sorvegliato speciale di p.s. con obbligo di soggiorno, gravato da numerosi precedenti penali per associazione mafiosa, omicidio, estorsione, porto e detenzione abusiva di armi, munizioni, rapina furto ed altro.

E se è vero che la giurisprudenza amministrativa afferma costantemente che la sussistenza di un rapporto di parentela, coniugio, affinità non è sufficiente da solo a suffragare l’ipotesi della sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa, è altresì vero che l’informativa in esame, seppur senza sottovalutarli, si basa anche su elementi diversi dalla individuazione dei precedenti del coniuge, che sono direttamente riferibili alla ricorrente: nel complesso, essi tutti risultano idonei a fornire obiettivo fondamento al giudizio di possibilità che l’attività di impresa possa, anche in maniera indiretta, agevolare le attività criminali o esserne in qualche modo condizionata per la presenza di soggetti legati ad organizzazioni malavitose.

Vieppiù, l’informativa fa emergere proprio quella comunanza di interessi, che la stessa ricorrente riferisce essere, sempre alla luce della giurisprudenza amministrativa, al di là della semplice sussistenza di legami di parentela con esponenti di clan camorristici, elemento di prova di infiltrazione mafiosa nella gestione dell’impresa (C. Stato, VI, 7 marzo 2007, n. 1056).

8. Nulla aggiungono alle questioni come sin qui trattate le considerazioni espresse dalla parte ricorrente nella memoria difensiva.

9. Per tutto quanto precede, attesa la riscontrata immunità degli atti impugnati dalle specifiche censure dedotte, le domande demolitorie avanzate in ricorso e nei motivi aggiunti devono essere respinte. Conseguentemente, devono essere respinte anche le correlate pretese risarcitorie.

Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso di cui in epigrafe, lo respinge.

Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate complessivamente in Euro 2.000,00 (duemila/00), a favore, in parti uguali, della Presidenza del Consiglio dei ministri – Commissario di Governo per l’emergenza brucellosi in provincia di Caserta e del Ministero dell’interno – Prefetto della Provincia di Caserta.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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