Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 02-12-2010) 24-03-2011, n. 11716 esecuzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1.1- Con Ordinanza 3.3.2010 la Corte di Assise di Milano – Sez. 1^, in funzione di giudice dell’esecuzione, respingeva l’opposizione proposta da C.M. avverso l’ordinanza emessa ex art. 667 c.p.p., comma 4, il 21.12.2009 dalla stessa Corte, con la quale veniva rigettata la richiesta declaratoria di estinzione per decorso del tempo della pena detentiva di anni 12 di reclusione, inflitta al C. quale pena base con sentenza della Corte di Assise di Milano in data 22.10.1984, irrevocabile il 1.10.1985.

L’ordinanza oggetto del presente ricorso, premesso che il C. aveva riportato, oltre alla predetta pena ed a numerose altre condanne, anche una condanna, sempre della Corte di Assise di Milano in data 6.7.1994, irrevocabile il 12.11.1994, per fatto commesso il 19.11.1977, alla pena di mesi 8 di reclusione, irrogatagli in continuazione con i fatti giudicati con la sentenza 22.10.1984 della Corte di Assise di Milano, confermava la precedente ordinanza in data 21.12.2009.

Riteneva la Corte territoriale di non doversi discostare dall’orientamento giurisprudenziale fatto proprio in quel provvedimento secondo il quale "in tema di prescrizione della pena, poichè, quando viene riconosciuta la continuazione fra un reato da giudicare e uno già giudicato, è la seconda sentenza a determinare complessivamente il trattamento sanzionatorio, con perdita di autonomia della precedente statuizione, deve ritenersi che il termine di prescrizione decorra dal momento in cui la seconda sentenza è divenuta definitiva" (Cass. Pen. Sez. 2, sent. 886 del 4.2.1998 e Sez. 1, sent. n. 636 del 28.1.2000).

Alla luce, infatti, del principio di diritto ivi accolto secondo cui "il riconoscimento della continuazione e la nuova determinazione della pena si pongono come eventi che vanno ad incidere direttamente sul giudicato relativo alla determinazione della pena anche in ordine al reato giudicato per primo, che viene inevitabilmente a perdere la sua autonomia per fondersi, in virtù della ritenuta unità del disegno criminoso, con quello giudicato successivamente", la disposizione dell’art. 172 c.p., comma 6, che impone in ipotesi di concorso di reati di avere riguardo, ai fini dell’estinzione della pena, a ciascuno di essi, deve intendersi riferita alla durata del periodo prescrizionale di ognuno dei reati e non alla decorrenza del periodo di prescrizione. E, nel caso di specie, in applicazione di tale principio il dies a quo per la estinzione della pena di cui alla sentenza 22.10.1984 della corte di Assise di Milano, irrevocabile in data 1.10.1985, doveva ritenersi decorrente dal 12.11.1994, data nella quale era diventa irrevocabile la sentenza Corte di Assise di Milano del 6.7.1994, con la conseguenza che non risultava maturato il termine utile per la declaratoria di estinzione della pena inflitta con la prima condanna.

1.2.- Avverso l’ordinanza proponeva ricorso per Cassazione l’avvocato Gabriele Fuga difensore del C. sostenendo:

1) la violazione dell’art. 34 c.p. perchè nel collegio che pronunciava l’ordinanza 3.3.2010 erano presenti due dei giudici che già componevano il collegio che pronunciò, inaudita altera parte, la precedente ordinanza 21.12.2009;

2) la violazione dell’art. 172 c.p. il quale impone, secondo la lettura costituzionalmente orientata (sentenza della Corte Costituzionale 27.3/9.4.1987 n. 115) che in caso di reato continuato, per determinare il tempo necessario alla prescrizione della pena, si debba aver riguardo alla pena inflitta per ciascuno dei reati ritenuti in continuazione, in quanto il reato continuato, analogamente al concorso formale dei reati, è fittiziamente considerato dalla legge come un unico reato ai fini della determinazione della pena, ma sotto ogni altro profilo e per ogni altro effetto è soggetto alla disciplina del concorso materiale dei reati.

1.3.- Il Procuratore Generale concludeva per l’accoglimento del ricorso, limitatamente al secondo motivo, con rinvio alla Corte di Appello di Milano.

1.4.- Con memoria aggiunta il difensore ribadisce i termini delle doglianze in riferimento all’applicazione del principio del favor rei quale delineato dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 115/1987 nell’ambito di diritto penale sostanziale quale è quello concernente gli istituti della continuazione e della prescrizione.

2.1. Osserva il collegio che il primo motivo di ricorso è inammissibile dato che l’asserita incompatibilità, peraltro esclusa dalla giurisprudenza di questa corte (Cass., Sez. 1, Sent. 21.2.2008, n. 1428, Rv. 240165; Cass. Sez. 6, Sent. 15.7.2009, n. 32419, Rv.

245198), non è, in ogni caso motivo di nullità che sia possibile fa valere in sede di impugnazione.

2.2.- E’invece da ritenere fondato, nei limiti di seguito indicati, il secondo motivo di ricorso.

L’art. 172 c.p., comma 4 stabilisce in via generale che il termine di estinzione della pena decorre dal giorno in cui la condanna è divenuta irrevocabile e precisa al successivo comma 6 che nel caso di concorso di reati si ha riguardo, per l’estinzione della pena, a ciascuno di essi, anche se le pene sono state inflitte con la medesima sentenza. In materia la giurisprudenza di questa Corte sul punto è prevalentemente orientata ritenere che "in ipotesi di applicazione della continuazione tra un reato da giudicare ed uno oggetto di precedente pronunzia irrevocabile, il termine di prescrizione della pena decorre dal passaggio in giudicato della seconda sentenza, indipendentemente dal fatto che nel secondo giudizio venga rideterminata la sanzione per il reato più grave o venga mantenuta ferma la sanzione inflitta come pena base con la prima pronunzia" perchè "al giudice che riconosce ed applica la continuazione la legge affida il dovere potere di procedere ad una rideterminazione completa delle pene nell’ambito di un nuovo giudizio fondato sull’inquadramento dei fatti giudicati in un disegno più vasto e svincolato dal precedente giudicato in tema di quantificazione della pena" (Cass. Sez. 1, Sent. 22.12.2006, n. 5854, Rv. 235901 e in precedenza Cass. Pen. Sez. 2, sent. 4.2.1998, n. 886, e Cass. Sez. 1, sent. 28.1.2000, n. 636).

Il suddetto orientamento, contrastato da uno differente e minoritario (Cass. Sez. 1, Sent. 16.4.2002, n. 30707, Rv. 22237), ed invero non ancorato ad un criterio ermeneutico del testo della norma e non coerente rispetto a quanto pur indicato dalla Corte Costituzionale (sentenza 27.3/9.4.1987 n. 115) circa la natura dell’istituto della continuazione "che trova la sua giustificazione nella indulgentiae causa: ogniqualvolta l’unificazione sia per risolversi a danno dell’imputato, è lecito operare la scissione, parziale o totale, a seconda che lo richieda il favor rei", esige un ripensamento in considerazione della modificata disciplina della prescrizione del reato quale attualmente prevista dal vigente art. 158 c.p., a seguito della modifica introdotta con la L. 5 dicembre 2005, n. 251, art. 6, comma 2. La novella legislativa ha infatti soppresso il riferimento alla continuazione dei reati nella individuazione del dies a quo per il computo del termine necessario a prescrivere, così prevedendo una considerazione separata dei tempi di prescrizione con riferimento ai singoli illeciti legati dalla unicità del disegno criminoso (Cass. Sez. 2, Sent. 5.5.2006, n. 19584 Rv. 233776 ; Cass. Sez. F, Sent.

26.8.2008 n. 34505, Rv. 240671) e ciò a prescindere dalla circostanza che la continuazione sia stata ritenuta e dichiarata da giudice della cognizione, ovvero in esecutivis ex art. 671 c.p.p.. Ne consegue, sul piano logico e su quello di sistema, che, se per la prescrizione del reato, la cui portata è sicuramente maggiore in termini di conseguenze, i singoli reati devono essere atomisticamente considerati previo scioglimento del vincolo della continuazione, a maggior ragione quando venga in considerazione la prescrizione della pena, che determina ricadute meno rilevanti e di minor portata a favore del condannato, per stabilire il termine a quo deve aversi riguardo a ciascuno degli illeciti giudicati i quali riacquistano, a tale fine, la loro specifica autonomia.

Nel caso di in esame poichè dall’ordinanza impugnata non è dato comprendere quale sia la effettiva posizione giuridica del ricorrente, nè quando egli abbia effettivamente iniziato l’espiazione delle numerose pene cui è stato condannato, il provvedimento deve essere annullato con rinvio per nuovo esame alla Corte di Assise di Appello di Milano, che si uniformerà al principio di diritto testè enunciato.
P.Q.M.

La Corte annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame alla Corte di Assise di Appello di Milano.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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