Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 02-03-2010) 24-03-2011, n. 11775 Ricorso straordinario per errore materiale o di fatto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza del 2.3.2010, depositata il 28.5.2010, la Corte suprema di cassazione, Sezione 6A penale, fra l’altro, rigettò il ricorso proposto da M.M. avverso la sentenza 29.1.2007 della Corte d’appello di Firenze.

Avverso tale sentenza il difensore di M.M. propone ricorso straordinario ai sensi dell’art. 625 bis cod. proc. pen. premettendo che il Tribunale di Lucca aveva ritenuto che M. M., all’epoca sindaco del Comune di Capannori, aveva ricevuto nel marzo-aprile 2003 da un privato, P.M., la proposta di elargire denaro a L.G. e B.A., architetti incaricati dal Comune di Capannori di redigere lo schema di regolamento urbanistico, affinchè costoro ampliassero la destinazione produttiva di un terreno di proprietà di P.. In relazione a tale fatto fu affermata la responsabilità di M. per il reato di cui all’art. 319 cod. pen.. Inoltre M. aveva offerto, nel luglio 2003, a L. e B. la somma di Euro 100.000,00 affinchè costoro valutassero in senso favorevole ai privati le osservazioni al regolamento urbanistico. Tale offerta fu accettata da B. e rifiutata da L. ed in relazione a tale fatto M. fu condannato per il reato di cui all’art. 322 cod. pen.. Secondo la ricostruzione dei giudici di merito l’incarico di predisporre la proposta di regolamento urbanistico fu conferita a B. e L. il 6.6.2001 ed il regolamento fu adottato con Delib.

Consiglio Comunale 13 giugno 2003. Il 5.5.2003 i due architetti avevano presentato la notula a saldo di quanto loro dovuto dal Comune, sebbene fossero tenuti a valutare le osservazioni dei privati senza ulteriore compenso. La Corte di cassazione, con riferimento all’episodio del luglio 2003, nella sentenza 2.3.2010, ha ritenuto la sussistenza di pubbliche funzioni in capo agli architetti sia in ragione della Delib. 17 maggio 2001, n. 141 sia in base alla convenzione del 6.6.2001, che obbligava costoro a valutare anche le eventuali osservazioni dei privati, nonchè in quanto questo secondo incarico sarebbe stato preannunziato dal M. quale evoluzione del precedente incarico ormai esaurito.

Ciò premesso il ricorrente deduce due errori valutativi della Corte di cassazione:

1. in primo luogo, esaminando il contenuto della dirigenziale 6.8.2003 e della successiva convenzione, la Corte di cassazione ha ritenuto che i due architetti avessero conservato una funzione pubblica anche nel luglio 2003, in virtù di atti palesemente successivi all’episodio per il quale è intervenuta condanna; ciò in base ad una discutibile interpretazione dell’art. 6 della convenzione originaria, nel quale si precisava che l’incarico avrebbe potuto comportare l’esame delle eventuali osservazioni dei privati, senza che questo potesse comportare un ulteriore incremento del compenso;

secondo il ricorrente la clausola era solo diretta a limitare il compenso dei professionisti e non poteva significare una proroga di funzioni pubbliche, tanto più che l’attività era sottoposta a condizione e cioè alla presentazione di eventuali osservazioni da parte di privati;

2. in secondo luogo la Corte di cassazione avrebbe erroneamente attribuito al sindaco un potere di impulso e di sollecitazione per il conferimento di un secondo incarico ai professionisti; la tesi che i due architetti godessero di una proroga di fatto è in contrasto con il secondo incarico conferito dopo il luglio 2003, diretto a supportare l’Ufficio urbanistico comunale nella valutazione di eventuali osservazioni; peraltro ai sensi del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, art. 107 la gestione amministrativa non spetta al sindaco ma ai dirigenti; il D.Lgs. n. 165 del 2001 ha ulteriormente precisato siffatta ripartizione di funzioni; nel caso di specie il dirigente competente era l’architetto R.; sarebbe stata attribuita agli architetti B. e L. una funzione pubblica che al luglio 2003 non avevano.

Il ricorso è proposto al di fuori dei casi consentiti.

Ai fini dell’ammissibilità del ricorso straordinario per errore di fatto è necessario che sia denunciata una disattenzione di ordine meramente percettivo, causata da una svista o da un equivoco, la cui presenza sia immediatamente ed oggettivamente rilevabile in base al semplice controllo del contenuto del ricorso, e che abbia determinato una decisione diversa da quella adottata, dovendosi escludere che il rimedio in oggetto possa essere utilizzato al fine di denunciare un errore di valutazione o di interpretazione di norme giuridiche.

(Cass. Sez. 6, Ordinanza n. 2945 del 25.11.2008 dep. 22.1.2009 rv 242689).

E’ perciò inammissibile il ricorso straordinario per errore di fatto proposto a norma dell’art. 625-bis cod. proc. pen. con il quale si deducano errori di interpretazione di norme giuridiche, ovvero la supposta esistenza delle norme stesse o l’attribuzione ad esse di un’inesatta portata, anche se dovuti ad ignoranza di indirizzi giurisprudenziali. (Cass. Sez. 6, Sentenza n. 3522 del 9.12.2008 dep. 27.1.2009 rv 242658. Nella specie erano stati denunciati numerosi errori di fatto, ritenuti dalla Corte tutti riferibili all’interpretazione di norme di diritto e come tali coperti dal giudicato).

Ai fini dell’ammissibilità del ricorso straordinario per errore di fatto è necessario che sia denunciata una disattenzione di ordine meramente percettivo, causata da una svista o da un equivoco, la cui presenza sia immediatamente ed oggettivamente rilevabile in base al semplice controllo del contenuto del ricorso, e che abbia determinato una decisione diversa da quella adottata, dovendosi escludere che il rimedio in oggetto possa essere utilizzato al fine di denunciare un errore di valutazione. (Cass. Sez. 6, Sentenza n. 27035 del 19.2.2008 dep. 3.7.2008 rv 240973. Nella specie, il ricorrente lamentava l’irregolarità della notificazione di un verbale di rinvio dell’udienza nel corso del giudizio d’appello, già dedotto come causa di errore di diritto nel giudizio di cassazione ed escluso come tale nella sentenza impugnata).

Nello stesso linguaggio del ricorso, quelli dedotti sarebbero comunque errori di valutazioni e non errate percezioni di fatti.

Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.

Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della cassa delle ammende della somma di mille Euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di mille Euro alla cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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