Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 18-02-2011) 25-03-2011, n. 12174

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con la decisione in epigrafe la Corte d’assise d’appello di Taranto confermava la sentenza emessa in data 14.4.2008 dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Taranto, che aveva condannato N.C. alla pena di trenta anni di reclusione e B.M., in concorso di circostanze attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti, alla pena di venti anni di reclusione e 600,00 Euro di multa, per l’omicidio aggravato di C.A. e reati connessi.

1.1. L’omicidio era stato commesso, secondo l’ipotesi accusatoria accolta dai giudici del merito, materialmente da entrambi. Il C. era stato sgozzato dal N. con un coltello subacqueo, dopo essere stato colpito con la canna di una pistola calibro nove, inceppatasi, dal B.. N. era stato ritenuto responsabile del porto illegale del coltello da sub, B. della detenzione e porto della pistola calibro nove. Per entrambi gli imputati sono state ritenute sussistenti le aggravanti della premeditazione, dei motivi abbietti e della recidiva reiterata; ritenute solo per B. equivalenti alle circostanze attenuanti generiche, riconosciute per via del comportamento processuale collaborativo.

1.2. La vicenda processuale, per quanto interessa ai fini dell’esame dei ricorsi, con i quali non si contesta la materialità dell’omicidio, è la seguente:

– N. nel corso dell’udienza di convalida dell’arresto aveva ammesso di avere ucciso C.A., dando però una versione dei fatti che era apparsa non conforme al vero (sosteneva un’aggressione della vittima e una sua reazione);

– B. aveva inizialmente negato ogni sua responsabilità; due mesi più tardi, reinterrogato, aveva però spontaneamente ammesso che l’omicidio del C. era stato deciso e organizzato, con agguato, da lui e dal N., che il giorno prima del fatto lo aveva chiamato e gli aveva detto, senza altra spiegazione, che dovevano ammazzare C. a colpi di Pistola; in quell’occasione il B. aveva parlato di un movente riferito al fatto che la vittima parlava male del N. ad un ispettore di polizia, alludendo anche al fatto che probabilmente ci poteva essere anche dell’altro, aveva ancora detto che N. gli aveva promesso la somma di 5.000,00 Euro per l’aiuto nell’omicidio;

– in dibattimento il B. – che nel frattempo aveva assunto la veste di collaboratore – aveva raccontato che il mandato ad uccidere era stato dato da R.C., capo dell’omonimo clan cui era affiliato il N., quale vendetta per un "bidone" relativo un chilo di cocaina non pagata.

2. N.C. ricorre a mezzo dei suoi difensori avvocati Angelo Masini e Gaetano Vitale.

Sulla premessa che il giudizio di colpevolezza e, soprattutto, il trattamento sanzionatorio, erano fondati soltanto sulle dichiarazioni di B.M., nelle more diventato collaboratore di giustizia, chiede l’annullamento della sentenza impugnata denunziando:

2.1. violazione dell’art. 603 cod. proc. pen. e vizi di motivazione in relazione alla mancata rinnovazione, richiesta con memoria, dell’istruzione dibattimentale al fine di acquisire, quali elementi sopraggiunti, due ordinanze (della Corte di cassazione e del Tribunale riesame, datate il 9 aprile e il 26 maggio 2009, che avevano ritenuto il B.M. assolutamente inattendibile) e due verbali di interrogatorio di B.M., documenti tutti relativi al procedimento nel frattempo separatamente instaurato a carico di R.C., indicato dal B. quale mandante;

mancanza, altresì di motivazione, perchè la richiesta non era stata in alcun modo presa in considerazione;

2.2. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta attendibilità di B.M. con riferimento al movente e alla premeditazione, evidenziandosi: che proprio nei provvedimenti non esaminati si concludeva per l’inattendibilità del dichiarante e per la possibilità di moventi diversi; che i riscontri acquisiti conducevano in realtà a moventi diversi; che anche il dubbio doveva portare alla esclusione alla premeditazione;

2.3. violazione di legge e difetto di motivazione in relazione ai motivi abbietti, sempre in considerazione della già evidenziata assoluta incertezza del movente che era stato fatto coincidere nel presente procedimento con vendette per affari di droga; con vicende connesse alla compravendita di autovetture nell’altro procedimento a carico del R.;

2.4. violazione di legge e difetto di motivazione in relazione al mancato riconoscimento dell’attenuante del risarcimento del danno: la Corte aveva arbitrariamente giustificato il diniego dell’attenuante del risarcimento anche in ragione del fatto che l’imputato non aveva confessato il ruolo svolto da R. (anche se in convalida aveva sostanzialmente ammesso le sue responsabilità); quanto poi al riferimento alle dichiarazioni delle persone offese – secondo cui la somma offerta, con sforzo, dai genitori dell’imputato detenuto andava imputata a un precedente credito -, la Corte non aveva considerato le due dichiarazioni della convivente e dei genitori della vittima, recanti sottoscrizione autenticata dal difensore di parte civile e prodotte nel corso del giudizio, nelle quale si dava atto che la somma era stata accettata a titolo di totale e integrale risarcimento dei danni, tant’è che la costituzione di parte civile era stata revocata.

3. B.M. ricorre a mezzo del difensore avvocato Francesca Sassano, denunziando:

3.1. violazione del D.L. 13 maggio 1991, n. 152, art. 8, per mancata concessione dell’attenuante della collaborazione, nonostante la piena collaborazione, l’attendibilità e utilità, attestata dal programma di protezione, delle dichiarazioni rese; aggiunge che in tema di criminalità organizzata il riconoscimento va fondato sull’obiettiva utilità del contributo dichiarativo, e nel caso in esame le dichiarazioni erano state decisive per la ricostruzione della dinamica dei fatti;

3.2. vizi della motivazione in relazione al medesimo aspetto, perchè il giudicante non aveva motivato sul diniego dell’attenuante speciale nè sulla ragione della conferma del giudizio di equivalenza per le circostanze attenuanti generiche.
Motivi della decisione

Ricorso N..

1. Il ricorso proposto nell’interesse di N.C. è fondato per quanto concerne le aggravanti riconosciute esistenti.

2. In relazione alla produzione documentale di cui il ricorrente lamenta la mancata acquisizione e valutazione, occorre anzitutto premettere che i documenti (verbali delle dichiarazioni rese in altro procedimento, provvedimenti giudiziari su di esse fondati) afferivano alla attendibilità del coimputato, B.. Questo nel corso dell’esame espletato nel giudizio abbreviato di primo grado aveva reso nuove (e diverse) dichiarazioni accusatorie nei confronti del N.. I documenti miravano a dimostrare la non credibilità di tali dichiarazioni, in tesi contraddette da quelle successivamente rese nel procedimento a carico dell’altro chiamato in correità, R., indicato come mandante e nei cui confronti l’accusa era naufragata, stando alla difesa, proprio per gli insanabili contrasti tra le varie versioni del B.. Si trattava dunque di documenti:

a) prodotte a controprova delle nuove dichiarazioni del chiamante in correità acquisite nel corso del giudizio abbreviato (per la prima volta precise quanto a progettazione e movente dell’omicidio); b) afferenti alla credibilità del dichiarante in relazione a dichiarazioni ritenute decisive (secondo quanto più avanti si dirà) quanto alle circostanze della premeditazione e dei motivi abietti; c) formati successivamente al giudizio di primo grado.

Ciò posto, la Corte d’appello non poteva ignorare, come ha invece fatto, le deduzioni in base a tali documenti articolate in punto di riconosciuta, nell’altro giudizio, inattendibilità del B., tanto più in considerazione del fatto che la loro acquisizione non era affatto subordinata alla rinnovazione dell’istruzione dibattimentale.

Come ricordano le S.U., sentenza n. 33748 del 12/07/2005, Mannino (richiamando tra l’altro Sez. 6, n. 1944 del 24/11/1993, De Carolis, riferita al giudizio abbreviato), nel giudizio di appello l’acquisizione di documenti è senz’altro rituale senza che sia necessaria un’apposita ordinanza che disponga a tal fine la rinnovazione parziale del dibattimento, ferma la necessità che l’acquisizione sia preceduta dalla ostensione del documento alle altre parti e dalla possibilità per queste di esercitare su di essi il contraddicono (nello stesso senso v. Sez. 4, n. 1025 del 17/10/2006, Caruso).

La stessa regola, sostenuta dal rinvio fatto dall’art. 598 cod. proc. pen. alle disposizioni relative al giudizio di primo grado e in virtù, per conseguenza, della disposizione dell’art. 421, comma 3, cui rimanda l’art. 441 c.p.p., comma 1, vale per il giudizio abbreviato d’appello (Sez. 6, De Carolis, citata), nel quale la produzione di documenti deve parimenti ritenersi ammessa, senza necessità di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, quando i documenti siano volti a contrastare una prova decisiva raccolta nel giudizio di primo grado (cfr. sul valore fondamentale del diritto alla controprova, traibile analogicamente dall’art. 507 cod. proc. pen., anche nel giudizio abbreviato di primo e secondo grado: Sez. 5, n. 19388 del 09/05/2006; Sez. 5, n. 11954 del 08/02/2005): a maggior ragione ove si tratti di documenti sopravvenuti.

E’ quindi appena il caso di chiarire che l’art. 421 c.p.p., comma 3, prevedendo che la discussione si svolga anche sulla base di "atti e documenti" preventivamente ammessi dal giudice e diversi da quelli contenuti nel fascicolo trasmesso a norma dell’art. 416, comma 2, evidentemente implica che pertinenti documenti e memorie possono essere prodotti dalle parti e formare oggetto del contraddittorio in udienza preliminare, sino all’inizio della discussione (C. cost. n. 238 del 1991 e n. 16 del 1994). Mentre la valenza della regola anche nel giudizio abbreviato, grazie al rinvio contenuto appunto nell’art. 441 cod. proc. pen., comma 1 e indipendentemente dall’organo dinanzi al quale esso giudizio si svolge (C. cost. n. 305 del 1994), non più che essere subordinata, per via dei limiti correlati alla decisione "allo stato degli atti" propria del rito, alla decisività e, pur nella rinuncia al diritto alla prova, al rispetto del diritto alla controprova.

3. E’ quindi da rilevare che – mentre la ricostruzione della fase esecutiva dell’omicidio, con le modalità riferite nel capo d’imputazione, è adeguatamente sostenuta, oltre che dalle dichiarazioni del B., dalle stesse dichiarazioni del N. (anche per le contraddizioni in cui è incorso), e none per altro oggetto di alcuna doglianza specifica – stando alla sentenza impugnata il riconoscimento della premeditazione e dei motivi abietti è esclusivamente basato sulle dichiarazioni del B.. Entrambe le circostanze discendono infatti dal resoconto del progetto criminoso e del movente (soddisfacimento del pagamento di una cessione di stupefacente) fatto dal coimputato. E non vi è cenno alcuno nella sentenza impugnata a riscontri che lo avvalorassero.

3.1. Il vizio che affligge la decisione è per conseguenza duplice.

E’ stato violata la regola della necessità di conferme esterne posta dall’art. 192 c.p.p., comma 3, che non può non valere per tutti i temi di prova e per ogni elemento del reato, ivi comprese le circostanze, che pur essendo accessorie al fatto-reato a cui vengono riferite, quali fatti secondari che direttamente incidono sulla pena non si sottraggono alla regola dell’art. 187 cod. proc. pen. e, quindi, alle regole di valutazione stabilite nel richiamato art. 192 (Sez. 5, n. 41332 del 24/10/2006, Lupo, Rv. 235299; e in senso sostanzialmente conforme: Sez. 1, n. 45326 del 11/11/2008, Giovinazzo, Rv. 242333; Sez. 1, n. 5864 del 14/12/2000, Gattellari, Rv. 218081).

3.2. E’ mancata inoltre qualsivoglia risposta delle deduzioni difensive che sostenevano la inattendibilità del dichiarante traendo argomento dalla difformità delle altre sue dichiarazioni, sia precedenti sia successive rispetto a quelle rese nel giudizio di primo grado e unicamente considerate dai giudici di merito.

3.3. La sentenza impugnata va dunque annullata con rinvio in relazione a detti aspetti.

4. Il motivo relativo all’attenuante del risarcimento del danno è invece infondato.

Dalla sentenza di primo grado emerge che il risarcimento cui si riferisce il ricorrente sarebbe stato effettuato in parte in contanti (non si dice la data di questa dazione, ma il fatto che essa risulti da scrittura prodotta dalla parte civile dopo la sua costituzione non avvalora l’ipotesi che sia antecedente al giudizio) e in parte mediante assegno per 30.000 Euro, postdatato al 30.12.2008: portante data dunque successiva persino alla sentenza di primo grado, (del 14 aprile 2008).

La postdatazione del titolo non risulta essere mai stata contestata dalla difesa e basta da sola ad escludere che il risarcimento sia precedente al giudizio, come vuole l’art. 62 c.p., comma 1, n. 6, perchè possa valere quale attenuante tipizzata, anche a prescindere dalle considerazioni dei giudici di merito sulla adeguatezza, provenienza e causale della dazione, censurate in ricorso.

Ricorso B..

5) Le doglianze articolate nel ricorso di B.M. in relazione al diniego dell’attenuante del D.L. n. 152 del 1991, art. 8, sotto il profilo di violazione di legge e di difetto di motivazione, sono manifestamente infondate.

La disposizione evocata si riferisce ai delitti di associazione mafiosa ovvero commessi al fine di agevolarsi avvalendosi delle condizioni di assoggettamento e di omertà tipiche di dette associazioni. Nessuna di dette situazioni ricorre nel caso in esame, di omicidio comune, a movente – per altro – incerto.

Sicchè neppure rileva che la Corte d’assise d’appello non abbia dato risposta esplicita a richiesta patentemente inammissibile.

6. Il B. deve giovarsi tuttavia dell’accoglimento dei motivi proposti dal N. in punto di premeditazione e motivi abietti, estensibili a norma dell’art. 587 c.p.p., comma 1. 7. La sentenza impugnata va per conseguenza annullata in relazione alla posizione di entrambi gli imputati con esclusivo riferimento alle aggravanti della premeditazione e dei motivi abietti o futili, con rinvio alla Corte d’assise d’appello di Lecce perchè proceda a nuovo giudizio adeguandosi ai principi di diritto prima affermati e dando risposta alle deduzioni difensive.
P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alle aggravanti della premeditazione e dei motivi abietti o futili e rinvia per nuovo giudizio alla Corte di assise d’appello di Lecce. Rigetta nel resto i ricorsi.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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