Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 14-06-2011, n. 12977 Condotta antisindacale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. L’organizzazione sindacale COBAS P.T., Coordinamento di base dei delegati P.T. di Savona e provincia, aderente alla Confederazione Unitaria di Base, con ricorso ai sensi della L. n. 300 del 1970, art. 28, comma 1, chiedeva al giudice del lavoro di Savona di dichiarare antisindacale il comportamento di Poste Italiane s.p.a., consistente in contestazioni e sanzioni disciplinari irrogate nei confronti di coloro che avevano aderito alle astensioni proclamate contro l’accordo relativo al settore del recapito, stipulato il 29 luglio 2004 tra Poste e le organizzazioni sindacali che avevano firmato il CCNL, tra le quali non figurava essa ricorrente, rifiutando la società Poste la trattativa con la medesima.

2. Il Tribunale dichiarava l’antisindacalità del comportamento di Poste Italiane annullando le sanzioni inflitte.

3. Con ricorso in opposizione, ai sensi della L. n. 300 del 1970, art. 28, comma 3, Poste Italiane chiedeva la revoca del suddetto provvedimento.

4. Il Tribunale di Savona revocava il decreto e dichiarava l’infondatezza delle domande proposte da COBAS, compensando le spese di giudizio.

5. Avverso la suddetta pronuncia COBAS proponeva appello nei confronti di Poste Italiane.

6. La Corte d’Appello di Genova rigettava l’impugnazione compensando tra le parti le spese di giudizio.

7. Per la cassazione della suddetta sentenza ricorre COBAS prospettando 4 motivi di impugnazione.

8. Resiste Poste Italiane con controricorso.

9. Entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione

1. Con il primo motivo di ricorso COBAS P.T., Coordinamento di base dei delegati P.T. di Savona e provincia, aderente alla Confederazione Unitaria di Base, deduce che la sentenza impugnata violerebbe l’art. 40 Cost., la L. n. 300 del 1970, art. 28 e la L. n. 146 del 1990, artt. 1, 2, 4, 12, 13 e 14.

Ad avviso della ricorrente, sarebbe stato leso il diritto di sciopero e la disciplina della regolamentazione di esso nei servizi pubblici essenziali, in relazione al citato L. n. 300 del 1970, art. 28.

Espone COBAS che l’unica limitazione al diritto di sciopero riconosciuto dalla Costituzione è quella prevista per i servizi pubblici essenziali dalla L. n. 146 del 1990, che attribuisce peculiare rilievo, in proposito, alla Commissione di Garanzia.

La L. n. 83 del 2000, ha rafforzato i poteri di quest’ultima, attribuendo la regolamentazione provvisoria in caso di accordo mancante o rifiuto della proposta avanzata alle parti, ai sensi dell’art. 2, comma 2, art. 13, lettera A. In ragione della Delib. n. 02 del 1937 della Commissione la fattispecie in esame costituisce ipotesi di sciopero legittimo. Alla Commissione di Garanzia spetta, tra l’altro il compito di deliberare le sanzioni.

Pertanto, afferma COBAS, erroneamente la sentenza impugnata ha ritenuto che il fatto che la Commissione non abbia sindacato la legittimità dell’astensione non è significativo dal momento che la competenza della stessa è quella di intervenire in caso di violazione delle procedure di cui alla L. n. 146 del 1990, art. 2.

In ordine al suddetto motivo di ricorso è stato prospettato il seguente quesito di diritto:

se in tema di sciopero nei servizi pubblici essenziali, ex L. n. 146 del 1990, ed in particolare in quello dei dipendenti di Poste Italiane, attinente alla libertà di comunicazione, assoggettato alla normativa di regolamentazione, per sciopero – secondo quanto previsto dalla Delib. n. 02 del 1937 della Commissione di Garanzia – deve intendersi ogni forma di azione sindacale comportante una riduzione del servizio tale da determinare un pregiudizio per i diritti del lavoro straordinario o considerato aggiuntivo e, in ogni caso, l’esercizio del potere disciplinare relativo all’astensione dal lavoro è di esclusiva competenza della Commissione di Garanzia che eventualmente delibera – della L. n. 146 del 1990, ex art. 13, lett. I), – e prescrive al datore di lavoro la sanzione, con la conseguenza che, nel caso di specie, in cui non solo è disattesa la normativa sulla disciplina dello sciopero nei servizi pubblici essenziali ma è esercitato il potere previa decisione della Commissione di Garanzia – sussiste l’abuso del potere disciplinare da parte di Poste Italiane costituente comportamento antisindacale poichè teso a impedire e limitare l’esercizio del diritto di sciopero. Se viola le norme suddette la sentenza che, pur in presenza di tale quadro normativo, ritenga lo sciopero in questione illegittimo e comunque inadempimento della prestazione lavorativa.

2. Con il secondo motivo di ricorso è prospetta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1362 e segg., in relazione all’accordo collettivo 29 luglio 2004, nonchè all’art. 28 del CCNL Poste Italiane 2003.

Ritiene COBAS che i passaggi del suddetto accordo riportati nella sentenza d’appello non siano pertinenti in ordine alla fattispecie oggetto del giudizio, poichè gli stessi attengono all’obiettivo del miglioramento della qualità del servizio del recapito.

In ogni caso l’astensione collettiva in questione sarebbe intervenuta per un’unità di tempo per la quale non si viene retribuiti, in quanto relativa ad una prestazione aggiuntiva.

In ordine al suddetto motivo è stato articolato il seguente quesito di diritto:

se, secondo l’ accordo 29 luglio 2004 tra OO. SS. firmatarie del CCNL e Poste Italiane ed in relazione all’orario di lavoro del portalettere (6 ore giornaliere per 36 ore settimanali) pur esistendo la possibilità in via sperimentale, con disposizione aziendale, di una modulazione giornaliera di mezz’ora (in più o in meno), non vi è rapporto tra questa previsione e la previsione di un obbligo aggiuntivo di sostituzione di lavoratore assente nell’ambito dell’area territoriale di riferimento (con un limite mensile di 10 ore e giornaliero di 2) rimanendo la prestazione del portalettere resa sempre ratione temporis secondo l’art. 28 del CCNL vigente. Se viola, pertanto, i principi di interpretazione dei contratti la sentenza che ritenga l’accordo di cui sopra istituente una forma di prestazione "flessibile" all’interno dell’orario ordinario di lavoro.

3. Con il terzo motivo di ricorso è prospettata la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., anche in relazione agli artt. 1362 e ss. c.c. per l’interpretazione dell’accordo collettivo 29 luglio 2004.

La ricorrente censura la sentenza della Corte d’Appello di Genova per aver ritenuto non sussistente la prova che la prestazione in questione, qualora gli agenti sanzionati si fossero resi disponibili a renderla, avrebbe superato l’orario di lavoro. Ad avviso della ricorrente, la prestazione rifiutata per sciopero era aggiuntiva – in quanto le ore in più corrispondono ad un quantitativo in più di merce che, a sua volta, corrisponde ad un pezzo di zona del collega assente, e non si verteva nell’ambito del lavoro straordinario.

Il quesito di diritto ha il seguente tenore:

se, laddove un accordo collettivo contenga una disposizione che obblighi il dipendente a sostituire , oltre la sua prestazione contrattuale già determinata in quota parte oraria, un collega assente, remunerandolo con una quota di retribuzione inferiore alla maggiorazione per lavoro straordinario, la relativa astensione collettiva da tale prestazione attiene al legittimo esercizio del diritto di sciopero, essendo in ogni caso onere probatorio di chi lo invoca fornire la prova dell’affermazione che detta prestazione debba o possa svolgersi nell’ordinario orario di lavoro. Viola pertanto la regola degli oneri probatori la sentenza che addebita l’onere di aver superato l’orario ordinario al sindacato ricorrente, non avendo oltretutto questo indetto uno sciopero del lavoro straordinario sibbene della prestazione aggiuntiva stessa.

4. Con il quarto motivo di ricorso è dedotta omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo della controversia e decisivo per il giudizio.

Il fatto controverso ad avviso della ricorrente sarebbe lo sciopero in quanto non sarebbe stato indetto uno sciopero dal lavoro straordinario, ma l’astensione da ogni forma di prestazione accessoria, come denominata dall’accordo in ordine al quale era stato indetto lo sciopero.

6. I primi tre motivi di ricorso vanno esaminati congiuntamente in ragione della loro connessione. Gli stessi non sono fondati.

7. I suddetti articolati motivi di ricorso proposti da COBAS in ordine alla sentenza della Corte d’Appello di Genova hanno un punto di chiara intersecazione consistente nella qualificazione della prestazione lavorativa il cui mancato adempimento ha determinato l’irrogazione della sanzione datoriale.

Ad avviso della ricorrente, la stessa non rientrerebbe nell’ordinario orario di lavoro, costituendo una delle mansioni affidate al lavoratore, non integrerebbe lavoro straordinario, ma una prestazione aggiuntiva.

Pertanto, la Corte è chiamata a stabilire se, in ragione della disciplina in questione, l’astensione dal lavoro oggetto di questa controversia rientri o meno nel concetto di sciopero. Se il comportamento dei lavoratori che hanno aderito all’astensione proclamata dal COBAS ricorrente è una forma di sciopero, la sanzione disciplinare è illegittima e la sua applicazione costituisce violazione della L. n. 300 del 1970, art. 28 in quanto lo sciopero è un diritto costituzionalmente sancito e il suo esercizio sospende il diritto al corrispettivo economico, ma rende immune il comportamento da sanzioni. Se, al contrario, non è sciopero, il rifiuto della prestazione costituisce inadempimento parziale degli obblighi contrattuali e l’applicazione della sanzione disciplinare è legittima.

8. Su tale punto, questa Corte condividendolo, richiama il recente orientamento giurisprudenziale (Cass., sentenze n 548 del 2011 e n. 547 del 2011) che ha affermato quanto segue.

Non esiste una definizione legislativa dello sciopero. I lineamenti del concetto sono stati individuati sul piano giuridico tenendo conto della storia e delle prassi delle relazioni industriali.

Lo sciopero nei fatti si risolve nella mancata esecuzione in forma collettiva della prestazione lavorativa, con corrispondente perdita della relativa retribuzione. Questa mancata esecuzione si estende per una determinata unità di tempo: una giornata di lavoro, più giornate, oppure periodi di tempo inferiori alla giornata, sempre che non si vada oltre quella che viene definita "minima unità tecnico temporale", al di sotto della quale l’attività lavorativa non ha significato esaurendosi in una erogazione di energie senza scopo.

In tale logica, la giurisprudenza, dopo alcune oscillazioni, riportò entro la nozione di sciopero anche la mancata prestazione del lavoro straordinario (Cass., sentenza n. 2480 del 1976).

L’astensione anche in questo caso ha una precisa delimitazione temporale e concerne tutte le attività richieste al lavoratore.

Al contrario, ci si colloca al di fuori del diritto di sciopero quando il rifiuto di rendere la prestazione per una data unità di tempo non sia integrale, ma riguardi solo uno o più tra i compiti che il lavoratore è tenuto a svolgere. E’ il caso del c.d. sciopero delle mansioni, comportamento costantemente ritenuto estraneo al concetto di sciopero e pertanto illegittimo dalla giurisprudenza (Cass., sentenza n. 2214 del 1986).

Tanto premesso, questa Corte, nel condividere la giurisprudenza di legittimità sopra richiamata (sentenze n. 548 del 2011 e n. 547 del 2011), ritiene che il rifiuto di effettuare la consegna di una parte della corrispondenza di competenza di un collega assegnatario di altra zona della medesima area territoriale, in violazione dell’obbligo di sostituzione previsto dal contratto collettivo non è astensione dal lavoro straordinario, ne astensione per un orario delimitato e predefinito, ma è rifiuto di effettuare una delle prestazioni dovute. Situazione assimilabile a quella del c.d. sciopero della mansioni, perchè, all’interno del complesso di attività che il lavoratore è tenuto a svolgere, l’omissione concerne uno specifico di tali obblighi.

L’astensione, pertanto, non può essere qualificata sciopero e resta un mero inadempimento parziale della prestazione dovuta. Di conseguenza, la sanzione disciplinare non è illegittima e il comportamento datoriale non è antisindacale. Questa conclusione non solo è in linea con le coordinate generali prima tracciate, ma anche con la specifica giurisprudenza di legittimità sull’argomento: Cass. n. 17995 del 2003, concernente il sistema di sostituzioni entro l’ambito della ed. areola (antecedente dell’area territoriale nel l’organizzazione delle Poste), ha affermato che il rifiuto di effettuare la sostituzione del collega assente, è "rifiuto di esecuzione di una parte delle mansioni, legittimamente richiedibili al lavoratore" e "non costituisce esercizio del diritto di sciopero", con la conseguenza che deve escludersi l’antisindacalità della scelta datoriale di applicare una sanzione disciplinare.

9. Altra questione posta dai suddetti motivi di ricorso riguarda il rapporto con le determinazioni della Commissione di Garanzia. Si è già detto del perchè l’astensione in esame non costituisce esercizio del diritto di sciopero. Deve aggiungersi, richiamando le già sopra citate pronunce della Corte, che la nozione di sciopero proposta dal ricorrente non è condivisibile, perchè non può definirsi sciopero ogni astensione sindacale che comporti una riduzione del servizio. Ne, invero, lo sciopero si caratterizza per il fatto che determina un danno per gli utenti. Questo può essere un effetto collaterale, ma non è elemento costitutivo dello sciopero;

molti scioperi non danneggiano gli utenti.

10. La definizione di sciopero proposta dal sindacato ricorrente invero richiama l’espressione usata dalla Commissione di Garanzia nel provvedimento del marzo 2002 (G.U. n. 88 del 2002), che peraltro non si occupa delle astensioni contro l’accordo sulle aree territoriali, che del resto è del 2004, bensì in generale gli scioperi dei dipendenti delle Poste. In ogni caso, tale provvedimento non incide sulla soluzione delle questioni oggetto di questa controversia.

Nel delineare il suo campo di applicazione, la delibera precisa che "la presente disciplina si applica ad ogni forma di azione sindacale, comunque denominata, comportante una riduzione del servizio tale da determinare un pregiudizio per tutti gli utenti". Ed aggiunge che si applica anche al caso di astensione dal lavoro straordinario.

La Commissione, con tali espressioni, si prefiggeva solo, nella sua ottica specifica, di limitare le conseguenze di azioni sindacali implicanti danni per l’utenza, siano o non siano qualificabili come sciopero. Qualora si tratti di azioni qualificabili come sciopero varranno le esenzioni dal diritto comune dei contratti derivanti dall’art. 40 Cost.. Al contrario, in caso di azioni estranee a tale ambito, l’esenzione non opererà e si applicheranno le regole civilistiche ordinarie in materia di inadempimento delle obbligazioni prima esaminate. L’intervento della Commissione di Garanzia non incide su questo ordine di conseguenze, nè, in caso di inadempimento della prestazione non qualificabile come sciopero, incide sul potere disciplinare del datore di lavoro.

11. Correttamente, con argomentazioni interpretative della complessiva disciplina in esame, che non sono incise dai principi sono enunciati, i quali attribuiscono alle stesse coerenza di sistema, la Corte d’Appello di Genova, nella sentenza impugnata, ha affermato – dopo avere asserito che, in ragione del CCNL di settore e dall’accodo 29 luglio 2004, la cui disciplina è applicabile anche agli aderenti COBAS, per il servizio recapito sono previste delle Aree Territoriali a ciascuna delle quali è assegnato un agente addetto al recapito, la cui assenza comporta l’obbligo di sostituzione da parte degli altri, facenti parte della medesima Area Territoriale – che l’aver seguito il normale orario di lavoro, ma rifiutando di svolgere quella parte di attività che consiste nel consegnare la posta nella zona di un collega assente, si traduce nell’omissione dello svolgimento di una parte delle prestazioni richieste nell’arco temporale per il quale si viene egualmente retribuiti, circostanza che non può integrare lo sciopero quale astensione collettiva dal lavoro in una unità di tempo per la quale non si viene retribuiti, dando luogo, invece, ad un parziale volontario inadempimento.

La prestazione del portalettere è commisurata sul piano della durata al tempo stimato necessario per il recapito in un determinata area territoriale, secondo criteri puramente statistici di stima della corrispondenza destinata all’area medesima. Pertanto, la stessa è suscettibile di una durata giornaliera e settimanale inferiore o superiore a quella stimata, in ragione del carico di corrispondenza da recapitare, variabile da giorno a giorno, da settimana a settimana, da mese a mese. In ragione di ciò, con l’accordo sopra richiamato del 29 luglio 2004, necessariamente vincolante per tutti i dipendenti della società, indipendentemente dalla iscrizione ai sindacati stipulanti – qualora non contenga, cosa che non è, disposizioni sostanzialmente e globalmente peggiorative per talune categorie di essi – in quanto destinato a regolare uniformemente indivisibili interessi collettivi di tutti i lavoratori (Cass., sentenza n. del 12647 del 2004), le parti firmatarie del CCNL hanno previsto che l’orario di lavoro giornaliero possa essere di mezz’ora superiore o inferiore alle sei ore, e che, fermo restando le 36 ore settimanali, oltre le quali il lavoro diventa straordinario, la società datrice di lavoro ha il potere di chiedere, con il limite di due ore giornaliere e di dieci ore mensili, che i portalettere smaltiscano, ripartendosela, anche la corrispondenza delle aree territoriali coperte da col leghi assenti.

Del tutto congruamente e in conformità alla giurisprudenza di legittimità sopra richiamata, quindi, il giudice di appello ha dato rilievo alla mancata prova, da parte del lavoratore, della circostanza che la prestazione lavorativa in questione costituisse lavoro straordinario ulteriore rispetto alle 36 ore settimanali.

12. Conseguentemente, e analogamente, non fondato è il quarto motivo d’impugnazione. In merito, tenuto conto che la ricorrente individua il fatto controverso proprio nello sciopero, si richiama quanto detto sopra sulla non riconducibilità della mancata prestazione lavorativa in questione all’esercizio di sciopero legittimo.

13. Pertanto il ricorso deve essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in Euro 32,00 per esborsi, oltre Euro 4000,00 per onorari, spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 31 marzo 2011.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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