T.A.R. Lazio Roma Sez. I bis, Sent., 22-03-2011, n. 2474

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Sussistono i presupposti per la definizione immediata del giudizio e di ciò è stato dato avviso alle parti.

Con il ricorso in esame, parte ricorrente impugna l’esclusione dal concorso per il reclutamento di 359 unità nel ruolo dei volontari di truppa permanente della Marina Militare che l’intimata amministrazione ha disposto nei suoi confronti in quanto "condannato per un delitto colposo con decreto penale di condanna del GIP del Tribunale di La Spezia, divenuto esecutivo l’ 11 aprile 2007".

L’esclusione è stata disposta per carenza del requisito previsto all’art. 2, c. 1, lett. d) del bando di concorso.

Il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 459 c.p.p. e ss.. Soggiunge che la condanna deve ritenersi anche condonata (indulto) ai sensi della legge n. 241/2006 e di essa non v’è menzione nel casellario giudiziale.

Il ricorso è infondato.

In conformità ai precedenti di questa stessa Sezione (cfr per tutte sentenza 21710/2010, n. 32936), il Collegio osserva che il decreto penale di condanna va equiparato alla sentenza di condanna ai fini dell’esistenza del fatto da valutare come significativo dell’esclusione. Anche se non produce gli stessi effetti della sentenza passata in giudicato, esso ha pur sempre valore decisorio dell’esistenza del fatto penalmente contestato (T.A.R. Liguria, sez. II, 15 aprile 2002, n. 432).

L’art. 460 c.p.p. prescrive che il decreto debba contenere l’enunciazione del fatto, delle circostanze e delle disposizioni di legge violate nonché la concisa esposizione dei motivi di fatto e di diritto su cui la decisione è fondata. Una volta esecutivo, l’accertamento contenuto nel decreto è perciò suscettibile di essere utilizzato per tutte le valutazioni conseguenti, senza la possibilità di discussione del suo valore probatorio in analogia al giudicato esterno (Cass. civile, sez. lav., 9 giugno 1981, n. 3733; 27 aprile 1981, n. 2539).

Con riguardo agli effetti che il decreto penale di condanna può avere sulle vicende amministrative si è pronunciata nello stesso senso anche Consiglio di stato, sez. IV, n. 7195/2006 (in una vicenda relativa ad una gara d’appalto).

Le considerazioni sviluppate dall’Alto consesso possono valere avuto riguardo anche ai concorsi pubblici attesa la medesima ratio che accomuna i due tipi di procedimento, entrambi a valenza competitiva e/o selettiva.

Anche la giurisprudenza penale ha equiparato il decreto penale di condanna, quanto anche agli effetti che ne possono derivare sul piano amministrativo, alla sentenza di condanna (cfr. Cass. Penale, sez. III, 22 maggio 2007 n. 24265).

Né potrebbe convincentemente sostenersi che il decreto penale di condanna non fa stato nei giudizi civili e amministrativi; ed invero, l’affermazione, del caso, sarebbe inconferente vertendosi, nella fattispecie, in ambito di procedimento amministrativo e non giurisdizionale.

Si ignora se il ricorrente abbia o meno presentato istanza di riabilitazione. La circostanza, ad ogni modo, è irrilevante.

Ed invero, l’istanza di riabilitazione, se anche utile nella prospettiva di conseguire l’assoluzione piena così da rimuovere per tal via il pregiudizio arrecatogli dalla pronuncia penale, non è in grado di rimuovere, anche se accolta, l’impedimento che si frappone alla partecipazione concorsuale ostandovi, in tal caso, sempre e comunque, l’esistenza storica e giuridica del decreto penale di condanna (assimilato alla sentenza), ancorché quest’ultimo meramente inefficace a seguito dell’opposizione e fino alla sua decisione.

Le stesse considerazioni possono farsi a proposito dell’indulto che, come noto, estingue la pena ma non il reato.

Si può ben dire, dunque, che l’impugnato provvedimento è stato legittimamente adottato sul presupposto della impossidenza in capo al ricorrente di un preciso requisito indicato nel bando di concorso.

Ebbene, accertato, in via ricognitiva, la carenza di siffatto requisito, niente altro doveva fare l’amministrazione se non procedere alla esclusione del candidato, senza alcuna valutazione di interessi (pubblici) in gioco essendosi esaurita, siffatta discrezionalità, ad un livello più alto e generale di esercizio (bando di concorso).

L’attività in parola, in altri termini, era del tutto vincolata nell’an e nel quid, non residuando all’amministrazione margini di discrezionalità. Ed è noto che in ambito di attività vincolata l’unico vizio che rileva è l’errore nella decisione, ovvero la non corrispondenza dell’atto alla fonte paradigmatica di riferimento: verifica di conformità che ben può fare anche il giudice recando ad oggetto, questo tipo di giudizio, non più l’atto bensì il fatto a fronte di una attività non valutativa né opinabile.

Nel caso di specie, il ricorrente, come sopra detto, è stato escluso per impossidenza di un requisito soggettivo. Il giudizio portato all’attenzione del Collegio (con un’azione sostanzialmente di accertamento) ha confermato la corrispondenza dell’atto al suo paradigmafonte di riferimento, sicché, le ragioni addotte dal ricorrente a sostegno dell’errore assertivamente commesso dall’amministrazione non hanno trovato fondamento.

In conclusione, il ricorso in esame è infondato e va, pertanto, respinto mentre le spese di giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna il ricorrente alla refusione delle spese di giudizio che si liquidano in Euro 1.500,00.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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