Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 15-02-2011) 25-03-2011, n. 12020 Ricorso

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Il Tribunale di Roma – Sezione del Riesame – con ordinanza del 12 maggio 2010 rigettava l’appello proposto da J.D.P. C. avverso il provvedimento di rigetto di istanza di modifica della custodia cautelare in carcere emesso dalla Corte di Appello di Roma nell’ambito del procedimento penale a suo carico – pendente in fase di appello – per il reato di detenzione illecita a fini di spaccio di sostanze stupefacenti.

Con la detta ordinanza il Tribunale riteneva sussistenti in termini di attualità e concretezza le esigenze cautelari di cui all’art. 274 c.p.p., lett. c) in relazione non solo alla gravità del fatto, ma anche alle stesse giustificazioni offerte dall’imputata (a dire della quale la propria condotta sarebbe stata determinata dalle impellenti ed improvvise necessità economiche), ritenendo dette spiegazioni sintomatiche di una inclinazione dell’imputata a commettere reati della stessa specie.

Inoltre nel rigettare la richiesta di modifica della custodia cautelare il Tribunale aveva tenuto conto anche del precedente specifico che aveva comportato la condanna alla pena di anni tre e mesi otto di reclusione ed Euro 14.000,00 di ammenda ed aveva infine considerato la J.D.P. – proprio per le specifiche modalità della condotta delittuosa – pienamente inserita in un circuito criminale internazionale operante nel settore del traffico di stupefacenti anche in considerazione della notevole quantità (oltre 3 Kg. netti) di cocaina rinvenute all’interno del suo appartamento.

Propone ricorso avverso la detta ordinanza il difensore deducendo vizio di motivazione per non avere il Tribunale preso in esame i nuovi fatti esposti con l’istanza quali l’atteggiamento collaborativo tenuto dall’imputata e le sue condizioni familiari (madre di una bambina minore di età e coniugata con cittadino italiano) che certamente escludevano il pericolo di fuga.

Il ricorso, in relazione ai suoi contenuti, va dichiarato inammissibile.

Il vizio denunciato non sussiste in quanto, a prescindere dalla logicità, congruità ed esaustività delle argomentazioni svolte dal Tribunale in merito alla necessità del mantenimento della misura cautelare, proprio con riferimento alla pretesa circostanza "nuova" della collaborazione, il Tribunale si è espresso sul punto in modo adeguato ed esente da vizi logici, circoscrivendo la portata delle ammissioni dell’imputata, ed osservando che, al di là di alcune indicazioni di nominativi e di contatti avuti con altri indagati attraverso la sua utenza cellulare (circostanze, peraltro, ben note all’autorità inquirente e non aventi quindi il carattere di novità), la J.D.P. non aveva apportato alcun contributo particolarmente utile ed originale alle indagini.

Peraltro la stessa difesa, nell’enunciare le circostanze nuove asseritamene pretermesse dal Tribunale, si è mantenuta in termini di estrema genericità anche con riguardo alla situazione familiare, peraltro anche questa conosciuta e considerata dal Tribunale.

La genericità e manifesta infondatezza dei motivi impongono quindi una pronuncia di inammissibilità del ricorso.

Segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma – determinata in via equitativa – di Euro 1.000,00 da versarsi alla Cassa delle Ammende, trovandosi la ricorrente in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità.

Va inoltre disposta la trasmissione del presente provvedimento al Direttore dell’Istituto carcerario ove in atto l’imputata si trova ristretta, in conformità a quanto previsto dall’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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