Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 14-06-2011, n. 12974 Maternità e relative provvidenze

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 17/10/06 – 5/2/07 la Corte d’Appello di Catanzaro accolse l’appello proposto il 24/9/03 da L.I. avverso la sentenza del 24/9/02 del giudice del lavoro del Tribunale di Rossano, che le aveva rigettato la domanda finalizzata al conseguimento dell’indennità di maternità per astensione facoltativa inerente il parto del (OMISSIS) sulla base della accertata mancanza di prova dell’avvenuto parto, dopo aver rilevato che la produzione in secondo grado del certificato di assistenza al parto e l’esistenza in atti della documentazione riguardante l’iscrizione negli elenchi dei lavoratori agricoli per il periodo in questione costituiva valida prova, in assenza di elementi contrari alla tesi della ricorrente, dell’esistenza del rapporto lavorativo agricolo di tipo subordinato atto a giustificare il riconoscimento della prestazione richiesta.

Conseguentemente la Corte d’appello condannò l’Inps a corrisponderle l’indennità di maternità per astensione facoltativa in relazione al parto del (OMISSIS), oltre accessori di legge, e al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio. Per la cassazione della sentenza propone ricorso l’Inps, che affida l’impugnazione ad un unico motivo di censura. Resiste con controricorso la L..
Motivi della decisione

Con l’unico motivo di censura l’Inps deduce la violazione e la falsa applicazione dell’art. 414 c.p.c., n. 5 e dell’art. 437 c.p.c., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 dolendosi del fatto che il giudice d’appello aveva ammesso la produzione in quel grado di giudizio del certificato di assistenza al parto sulla base del convincimento che si trattava di prova precostituita indispensabile ai fine della decisione ed evidenziando, in contrario avviso, la tardività di siffatta produzione, tanto da richiamare, al riguardo, la sentenza delle Sezioni unite n. 8202 del 20/4/2005 e quelle successive conformi.

A conforto della dedotta tardività della suddetta produzione documentale l’Inps sostiene, inoltre, che il certificato in esame non era stato nemmeno indicato nel ricorso di primo grado e che in appello la ricorrente non aveva affatto giustificato il ritardo nella produzione dello stesso documento.

Da parte sua la controricorrente resiste sostenendo che per lo stesso evento (parto del (OMISSIS)) si era già vista riconoscere dal medesimo Tribunale di Rossano l’indennità di maternità per astensione obbligatoria dal lavoro e che nella domanda amministrativa per l’astensione facoltativa post-partum, prodotta in originale in primo grado nel corso del quale l’Inps era rimasto contumace, aveva indicato l’esistenza in vita del figlio; inoltre, tali documenti erano in possesso dell’ente previdenziale, avendo lo stesso già provveduto ad erogarle l’indennità riferita allo stesso evento del parto del (OMISSIS). Il ricorso è infondato.

Invero, questa Corte ha già avuto modo di precisare (Cass. sez. lav. n. 12856 del 26/5/2010) che "nel rito del lavoro, e in particolare nella materia della previdenza e assistenza, stante l’esigenza di contemperare il principio dispositivo con quello della ricerca della verità materiale, allorchè le risultanze di causa offrono significativi dati di indagine, il giudice, anche in grado di appello, ex art. 437 cod. proc. civ., ove reputi insufficienti le prove già acquisite, può in via eccezionale ammettere, anche d’ufficio, le prove indispensabili per la dimostrazione o la negazione di fatti costitutivi dei diritti in contestazione, sempre che tali fatti siano stati puntualmente allegati o contestati e sussistano altri mezzi istruttori, ritualmente dedotti e già acquisiti, meritevoli di approfondimento. (Nella specie, la S.C., nel cassare la sentenza di rigetto della domanda volta al riconoscimento del diritto alla maggiorazione della pensione ai sensi della L. n. 140 del 1985, art. 6 per difetto di prova in ordine alla qualità di "combattente" del coniuge defunto dell’istante, ha affermato l’ammissibilità, in grado di appello, della produzione del documento attestante la partecipazione del predetto coniuge ad operazioni di guerra, in quanto meramente integrativa di un fatto già allegato, discusso e documentato in primo grado, quale la prestazione del servizio militare per l’esercito italiano durante il periodo bellico)".

Questa stessa Corte aveva espresso già precedentemente un simile principio (Cass. sez. lav. n. 2577 del 2/2/2009) nell’affermare che "nel rito del lavoro, l’omessa indicazione, nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado, dei documenti, e l’omesso deposito degli stessi contestualmente a tale atto, determinano la decadenza del diritto alla produzione dei documenti stessi, trovando, però, siffatto rigoroso sistema di preclusioni, un contemperamento – ispirato alla esigenza della ricerca della "verità materiale", cui è doverosamente funzionalizzato il rito del lavoro, teso a garantire una tutela differenziata in ragione della natura dei diritti che nel giudizio devono trovare riconoscimento – nei poteri d’ufficio del giudice in materia di ammissione di nuovi mezzi di prova, ai sensi dell’art. 437 c.p.c., comma 2, ove essi siano indispensabili ai fini della decisione della causa; poteri da esercitare pur sempre con riferimento a fatti allegati dalle parti ed emersi nel processo a seguito del contraddittorio delle parti stesse. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che, in controversia per il riconoscimento del diritto alla rendita professionale, aveva dichiarato inammissibile la produzione documentale dell’appellato volta a contestare il minor grado di inabilità accertato in sede di c.t.u., in quanto i documenti erano stati prodotti soltanto in appello e dopo la chiusura delle operazioni peritali e, quindi, ad istruttoria conclusa, sicchè la maturata decadenza nella produzione documentale non avrebbe potuto essere superata neppure con l’evocazione del disposto di cui all’art. 149 disp. att. cod. proc. civ., che impone al giudice di valutare l’aggravamento della malattia verificatosi anche nel corso del giudizio)".

Tali pronunzie non contraddicono affatto i principi affermati dalle Sezioni unite di questa Corte in materia di tempestività delle allegazioni e produzioni probatorie nel rito del lavoro atta ad evitare le preclusioni e le decadenze processuali (Cass. sez. un. n. 8202 del 20/4/2005), così come richiamati dall’odierno ricorrente, ed anzi si inseriscono perfettamente nel suo alveo, posto che nella stessa massima delle sezioni unite è chiaramente spiegato che "Tale rigoroso sistema di preclusioni trova un contemperamento – ispirato alla esigenza della ricerca della "verità materiale", cui è doverosamente funzionalizzato il rito del lavoro, teso a garantire una tutela differenziata in ragione della natura dei diritti che nel giudizio devono trovare riconoscimento – nei poteri d’ufficio del giudice in materia di ammissione di nuovi mezzi di prova, ai sensi del citato art. 437 c.p.c., comma 2, ove essi siano indispensabili ai fini della decisione della causa, poteri, peraltro, da esercitare pur sempre con riferimento a fatti allegati dalle parti ed emersi nel processo a seguito del contraddicono delle parti stesse".

In definitiva, l’ammissione nel giudizio d’appello della produzione del certificato di assistenza al parto della L. non contrasta affatto coi menzionati principi in materia di ricerca della verità materiale, tanto più che la ricorrente aveva precisato di aver prodotto in primo grado la domanda inerente l’astensione facoltativa post-partum presentata alla sede Inps di Rossano in data 21/10/96, nella quale erano specificati i periodi di assenza dal lavoro e la dichiarazione di esistenza in vita del bambino, fornendo, in tal modo, un principio di prova atto a giustificarne l’integrazione col suddetto documento acquisito dalla Corte territoriale.

Pertanto, il ricorso va rigettato.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza dell’Inps e vanno liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna l’Inps al pagamento delle spese del presente giudizio nella misura di Euro 1000,00 per onorario, di Euro 10,00 per esborsi, oltre IVA, CPA e spese generali ai sensi di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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