Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 01-02-2011) 25-03-2011, n. 12042 Circolazione stradale colpa

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1) Il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Sondrio, con sentenza 18 febbraio 2010, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di S.P. in ordine al reato di cui all’art. 186 C.d.S., comma 2, lett. a per essere il reato estinto per oblazione e in ordine al reato di cui all’art. 589 cod. pen. – commesso in (OMISSIS) in danno di V.A. – perchè il fatto non costituisce reato.

Il giudice ha ricostruito il fatto contestato all’imputato rilevando che la persona offesa stava percorrendo, alla guida di un motociclo, una strada sita nell’abitato di (OMISSIS) ad una velocità di oltre 100 km. orari. All’altezza di una curva destrorsa superava un veicolo impegnando l’opposta corsia di marcia. In quel momento l’imputato stava ultimando, alla guida di un’autovettura, una manovra di immissione nella medesima strada quando sopraggiungeva il motociclista che andava ad urtare contro la parte anteriore sinistra dell’autovettura e, cadendo, riportava lesioni gravissime che ne cagionavano la morte.

Secondo il giudice l’imputato si era trovato nell’impossibilità di prevedere ed evitare l’evento sia per la conformazione della strada che presentava una curva poco prima del punto d’impatto sia per la velocità molto elevata del motociclo; circostanze che avevano reso impossibile al conducente di avvistare tempestivamente il sopraggiungere del motociclo e di dargli la precedenza e di compiere una tempestiva manovra di emergenza idonea ad evitare l’incidente.

Quanto allo stato di ebbrezza in cui si trovava l’imputato la sentenza rileva che alcuna prova esista dell’efficienza causale di questo stato.

2) Contro la sentenza indicata hanno proposto ricorso il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Sondrio e le parti civili.

Il primo censura la sentenza impugnata sotto due profili: per non avere, il giudice dell’udienza preliminare, considerato che è obbligo del conducente di un autoveicolo ispezionare la strada e prevedere le eventuali situazioni di pericolo ed in particolare quelle derivanti da eventuali violazioni, da parte di altri conducenti, delle regole di condotta attinenti alla circolazione.

Sotto il secondo profilo il ricorrente censura la sentenza impugnata per aver escluso l’efficienza causale dello stato di ebbrezza rilevando che tale stato inibiva all’imputato di porsi alla guida del veicolo e se egli si fosse astenuto da questa condotta l’evento non si sarebbe verificato.

Le parti civili VI.MA. in proprio e quale esercente la potestà sui figli minori V.P., V.M. e V.A. denunziano, con il primo motivo, la violazione dell’art. 425 C.d.S. rilevando come il Gup, nella sentenza impugnata, si sia spinto oltre i compiti a lui attribuiti dalla legge effettuando valutazioni di merito che non competono al giudice dell’udienza preliminare.

Non compete infatti a questo giudice di affermare l’innocenza o la colpevolezza dell’imputato ma solo quello di evitare dibattimenti inutili nel caso in cui l’accusa sia impossibile da sostenere in giudizio e non quando gli elementi acquisiti, pur apparendo insufficienti o contradditori, siano suscettibili di diversa valutazione in dibattimento. Nel caso in esame, secondo le parti civili ricorrenti, il Gup avrebbe invece travalicato da questi limiti compiendo una valutazione delle prove riservata al dibattimento e senza effettuare il richiesto giudizio prognostico di cui si è detto.

Con il secondo motivo le parti civili ricorrenti deducono il vizio di motivazione in riferimento all’esclusione della colpa dell’imputato.

Rilevano che l’elevata velocità del motociclo condotto dalla vittima è stata ritenuta elevatissima in mancanza di qualsiasi accertamento tecnico; che la presenza di una curva destrorsa avrebbe dovuto consigliare all’imputato un’ancor maggiore prudenza nell’effettuare la manovra di immissione; che gli accertamenti svolti dimostravano che, al momento dell’urto, il conducente dell’autovettura, non era ancora rientrata nella propria corsia di marcia; che i segni di frenata del motociclo dimostrano che questo veicolo si trovava al centro della corsia di marcia e non al centro della carreggiata; che l’irrilevanza causale dello stato di ebbrezza sia stata affermata in modo apodittico.

Ai ricorsi proposti contro la sentenza di non luogo a procedere ha replicato con memoria il difensore dell’imputato il quale, con riferimento al primo motivo di ricorso delle parti civili, ne rileva l’infondatezza avendo, il giudice, osservato i limiti imposti per la pronunzia della sentenza in questione valutando l’insieme delle prove e pervenendo alla motivata conclusione che l’imputato, nella situazione descritta, non aveva nè la possibilità di avvistare tempestivamente il motociclista nè quella di evitare l’urto e tale conclusione non era suscettibile di alcun mutamento nel giudizio dibattimentale.

Quanto al secondo motivo nella memoria se ne sostiene l’inammissibilità in quanto riferito a circostanze di fatto incensurabilmente accertate dal giudice di merito. In ogni caso gli accertamenti svolti nelle indagini preliminari non confermano affatto le tesi sostenute dai ricorrenti e rendono inesigibile una diversa condotta da parte del conducente dell’autovettura. Infine nella memoria si ribadisce, anche in relazione alle censure proposte dal pubblico ministero, la correttezza della ritenuta irrilevanza causale dello stato di ebbrezza in cui si trovava l’imputato.

3) Prima di affrontare i temi oggetto dell’impugnazione proposta è necessario svolgere alcune considerazioni sulla natura e sull’inquadramento sistematico della sentenza di non luogo a procedere pronunziata all’esito dell’udienza preliminare.

E’ nota l’evoluzione legislativa verificatasi su questo tema negli anni successivi all’approvazione del nuovo codice di procedura penale.

L’udienza preliminare nasce con funzione di filtro per evitare i dibattimenti inutili ma le maglie di questo filtro erano originariamente così larghe che in realtà nella prima versione del nuovo codice di rito – con la previsione che la sentenza di non luogo a procedere doveva essere pronunziata "quando risulta evidente che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso" ecc. – questa funzione non poteva essere convenientemente svolta; con la singolare anomalia che la sentenza di n.l.p. doveva ritenersi preclusa quando era invece ammessa l’archiviazione perchè questa sentenza era consentita solo quando era evidente l’innocenza dell’imputato;

evidenza che non era (e non è) richiesta per l’archiviazione.

La situazione cambia con l’approvazione della L. 8 aprile 1993, n. 105 il cui art. 1 elimina l’aggettivo "evidente" con ciò introducendo una diversa regola di giudizio che rende maggiormente efficace la funzione di filtro che, dopo la modifica, non rimane ancorata a quel vincolo così rigido consentendo la conclusione liberatoria da responsabilità nell’udienza preliminare anche nel caso in cui non esista quell’evidenza dell’innocenza richiesta dalla precedente normativa.

Passando ai mutamenti normativi successivi può osservarsi che, pur in un profondo mutamento della struttura e della disciplina dell’udienza preliminare (soprattutto con l’ampliamento dei poteri istruttori del giudice: si veda in particolare la modifica dell’art. 422) la L. 16 dicembre 1999, n. 479, all’art. 23 comma 1, che modifica l’art. 425 c.p.p., non muta sostanzialmente la regola di giudizio finale dell’udienza preliminare; la sentenza di non luogo a procedere deve essere pronunziata, in buona sostanza, in presenza dei medesimi presupposti previsti dopo l’entrata in vigore della L. n. 105 del 1993. 4) All’esito di queste profonde modificazioni non può peraltro ritenersi – pur essendo parzialmente mutata la regola di giudizio – che l’udienza preliminare abbia subito una modifica della sua originaria natura che era e resta (prevalentemente) di natura processuale e non di merito.

E’ vero che le modifiche riassuntivamente riportate hanno connotato l’udienza preliminare di aspetti maggiormente attinenti al merito dell’azione penale – in particolare per l’ampliamento dei poteri officiosi relativi alla prova (il vecchio testo della rubrica dell’art. 422 c.p.p. parlava di sommarie informazioni; adesso si parla di integrazione probatoria) – ma è altrettanto vero che identico è rimasto lo scopo cui l’udienza preliminare è preordinata: evitare i dibattimenti inutili, non accertare se l’imputato è colpevole o innocente. E dunque i più ampi spazi per l’integrazione probatoria devono essere esercitati non per anticipare l’esito del dibattimento ma per verificare la sua inutilità.

Non è ovviamente irrilevante se, all’udienza preliminare, emergano prove che, in dibattimento, potrebbero ragionevolmente condurre all’assoluzione dell’imputato ma la sentenza di non luogo a procedere deve essere, dal giudice dell’udienza preliminare, pronunziata solo se ed in quanto questa situazione di innocenza sia ritenuta non superabile in dibattimento dall’acquisizione di nuove prove o da una diversa e possibile rivalutazione degli elementi di prova già acquisiti. Insomma il quadro probatorio e valutativo delineatosi all’udienza preliminare deve essere, ragionevolmente ritenuto immutabile.

Non si tratta quindi di accettare o richiedere uno standard probatorio meno rigoroso ma di verificare la possibilità di una evoluzione del quadro probatorio: in questo senso va intesa la qualificazione, sostanzialmente da tutti condivisa, come sentenza di natura processuale della sentenza di n.l.p..

Il giudice dell’udienza preliminare ha dunque il potere di pronunziare la sentenza di non luogo a procedere – oltre che nei casi nei quali esista già la prova indiscussa dell’innocenza o appaia evidente l’inconferenza degli elementi di accusa – non quando effettui un giudizio prognostico in esito al quale pervenga ad una valutazione di innocenza dell’imputato ma in tutti quei casi nei quali, fermo questo giudizio prognostico, non esista una prevedibile possibilità che il dibattimento possa invece condurre ad una diversa soluzione.

Non contrasta con questa ricostruzione il tenore dell’art. 425 c.p.p., nuovo comma 3 che prevede la pronunzia della sentenza di n.l.p. "anche quando gli elementi acquisiti risultano insufficienti, contradditori o comunque non idonei a sostenere l’accusa in giudizio". La norma – che riecheggia la regola di giudizio prevista dall’art. 530 c.p.p. – conferma infatti quanto si è in precedenza espresso: il parametro non è l’innocenza ma l’impossibilità di sostenere l’accusa in giudizio.

L’insufficienza e la contraddittorietà degli elementi devono quindi avere caratteristiche tali da non poter essere ragionevolmente considerate superabili nel giudizio, la situazione deve essere cristallizzata e non deve poter essere considerata suscettibile di chiarimenti o sviluppi nel giudizio; questo giudizio prognostico vale sia per l’ipotesi dell’insufficienza che per quella della contraddittorietà e queste caratteristiche legittimeranno la pronunzia della sentenza di n.l.p. – è opportuno ribadirlo – solo se non appariranno superabili nel giudizio. Valutazione che il gup può adottare, nel caso di incompletezza delle indagini preliminari, dopo l’adozione delle misure integrative delle indagini oggi previste dall’art. 421 bis del codice di rito.

In conclusione, a meno che ci si trovi in presenza di elementi palesemente insufficienti per sostenere l’accusa in giudizio per l’esistenza di prove positive di innocenza o per la manifesta inconsistenza di quelle di colpevolezza, la sentenza di non luogo a procedere non è consentita quando l’insufficienza o contraddittorietà degli elementi acquisiti siano superabili in dibattimento. Come è stato affermato in dottrina "sfuggono all’epilogo risolutivo i casi nei quali, pur rilevando incertezze, la parziale consistenza del panorama d’accusa è suscettibile di essere migliorata al dibattimento".

Quello indicato è del resto l’orientamento, oltre che della prevalente dottrina, della giurisprudenza di legittimità che, dopo la riforma del 1999, ha ribadito i principi indicati (si vedano in questo senso Cass., sez. 6^, 16 novembre 2001 n. 42275, Acampora, rv.

221303; 6 aprile 2000 n. 1662, Pacifico, rv. 220751).

In precedenza peraltro questi principi erano stati riaffermati anche dalla Corte costituzionale; si veda la sentenza 15 marzo 1996 n. 71 che così si esprimeva su questo punto: "l’apprezzamento del merito che il giudice è chiamato a compiere all’esito della udienza preliminare non si sviluppa, infatti, secondo un canone, sia pur prognostico, di colpevolezza o di innocenza, ma si incentra sulla ben diversa prospettiva di delibare se, nel caso di specie, risulti o meno necessario dare ingresso alla successiva fase del dibattimento:

la sentenza di non luogo a procedere, dunque, era e resta, anche dopo le modifiche subite dall’art. 425 c.p.p., una sentenza di tipo processuale, destinata null’altro che a paralizzare la domanda di giudizio formulata dal pubblico ministero".

Dopo l’entrata in vigore della L. n. 479 del 1999 (ma anche della L. n. 387 del 2000 in tema di indagini difensive) il giudice delle leggi ha sottolineato come la decisione in esito all’udienza preliminare abbia sempre più acquisito caratteristiche di merito senza però perdere la connotazione prognostica che in precedenza la caratterizzava (si vedano, in tema di incompatibilità, le ordinanze 6 luglio 2001 n. 224 e 12 luglio 2002 n. 335; in particolare quest’ultima così si esprime: "il nuovo art. 425 C.d.S., in questo modo, chiama il giudice a una valutazione di merito sulla consistenza dell’accusa, consistente in una prognosi, sulla sua possibilità di successo nella fase dibattimentale") mentre, più di recente, la Corte (v. ordinanza 9 marzo 2004 n. 90) ha ribadito la natura processuale dell’udienza preliminare.

E le sezioni unite di questa Corte (v. sentenza 29 maggio 2008 n. 25695, D’Eramo, rv. 239701), hanno ribadito che "la fondamentale regola di giudizio per la sentenza di non luogo a, procedere, nonostante l’obiettivo arricchimento, qualitativo e quantitativo, dell’orizzonte cognitivo del giudice, resta tuttavia qualificata da una delibazione, di tipo prognostico, di sostenibilità dell’accusa in giudizio, con riferimento al maggior grado di probabilità logica e di successo della prospettazione accusatoria ed all’effettiva utilità della fase dibattimentale, priva quindi di effetti irrevocabili sul merito della controversia circa l’accertamento della colpevolezza o dell’innocenza dell’imputato, essendo essa revocabile nei casi e alle condizioni stabilite dagli artt. 434 ss. c.p.p.".

E’ stato autorevolmente obiettato a questa costruzione per un verso che questa impostazione richiederebbe che il giudice dell’udienza preliminare sia dotato di "poteri divinatori"; per altro verso che la soluzione vanificherebbe la funzione di "filtro delle imputazioni azzardate" e quindi la funzione deflattiva dell’udienza preliminare.

Le preoccupazioni espresse con queste critiche sono condivisibili. E’ però da osservare che un altro rischio contrapposto – è da evitare:

quello di una duplicazione dei giudizi di merito di primo grado. Se la regola di giudizio dell’udienza preliminare è la stessa del giudizio di primo grado questa duplicazione si verifica con l’ulteriore negativa conseguenza di attribuire al rinvio a giudizio un connotato di presunzione di colpevolezza che è invece del tutto estraneo all’assetto processuale esistente. Come del resto è confermato anche dalla giurisprudenza di legittimità (v. ss. uu. sentenza 30 ottobre 2002 n. 39915, Vottari, rv. 222602) che ha escluso che il rinvio a giudizio precluda al giudice cautelare il riesame della gravità indiziaria).

Questa ricostruzione è poi avvalorata dalla circostanza che, ai fini dell’applicazione della norma transitoria contenuta nella L. n. 46 del 2006, art. 10, è stato escluso che la sentenza di n.l.p. prevista dall’art. 428 c.p.p. possa essere considerata sentenza "di proscioglimento" (v., tra le altre, Cass., sez. 6^, 9 aprile 2008 n. 16365, Roiati, rv. 239645; sez. 5^, 24 ottobre 2007 n. 46800, Piscitelli, rv. 238883; sez. 1^, 2 ottobre 2007 n. 40251, Scuto, rv.

238051; sez. 5^, 21 settembre 2007 n. 39019, Nesci, rv. 238204).

Se il fine deve essere quello di evitare i dibattimenti inutili, cioè quelli destinati ragionevolmente (il giudizio prognostico non può andare oltre) a concludersi con l’assoluzione dell’imputato il criterio dell’intangibilità del quadro probatorio e della non superabilità in dibattimento sembra dunque quello più idoneo a salvaguardare le contrapposte esigenze: evitare i dibattimenti inutili e non pregiudicare invece l’evoluzione di situazioni che immutabili non sono.

Per esemplificare: se i testimoni del fatto hanno reso dichiarazioni divergenti il giudice dell’udienza preliminare, anche se ritiene maggiormente attendibili quelli che hanno reso una versione favorevole all’imputato, non può pronunziare sentenza di n.l.p. se non può ragionevolmente escludere che in dibattimento l’esame dei testimoni porti ad un mutamento del quadro probatorio; e lo stesso dovrà avvenire nel caso di acquisizione di prove scientifiche con conclusioni controverse.

In conclusione: le innovazioni legislative ricordate hanno accentuato le caratteristiche di completezza dell’udienza preliminare e la natura di valutazione di merito del suo esito conclusivo. Senza però incrinare la valutazione solo prognostica di tale esito diretto ad evitare i dibattimenti superflui ma non quelli che, in astratto, potrebbero risolversi in modo diverso da quello dell’udienza preliminare.

5) L’esame della sentenza impugnata dimostra che, nel caso in esame, il giudice dell’udienza preliminare si è attenuto ai criteri indicati.

In sintesi la sentenza impugnata ha affermato che non era possibile provare l’esistenza dell’elemento soggettivo in capo all’imputato in base ai seguenti elementi:

– l’imputato si stava immettendo nella strada favorita con estrema cautela;

– dal punto in cui si trovava egli disponeva di una limitata visuale perchè, poche decine di metri prima, esisteva una curva destrorsa che rendeva impossibile avvedersi del sopraggiungere di un veicolo che marciava a velocità molto elevata;

– nella situazione data il sopraggiungere del motociclo a quella velocità non era prevedibile;

– il conducente dell’autovettura non era in grado di compiere alcuna manovra atta ad evitare l’incidente.

Dalla motivazione della sentenza impugnata non emergono elementi che contrastino con questa ricostruzione; anzi le persone che hanno assistito all’incidente (ed in particolare il conducente che si trovava alla guida di un’autovettura che stava percorrendo la stessa direzione di marcia sulla quale l’imputato si stava immettendo) l’hanno pienamente confermata. Dunque la ricostruzione del giudice di merito si presenta come ragionevolmente definitiva e non suscettibile di mutamento a seguito del dibattimento anche perchè confermata dai rilievi tecnici e fotografici eseguiti dopo l’incidente.

Del resto in gran parte questi elementi non sono neppure contestati dai ricorrenti che, per altro verso, richiedono al giudice di legittimità un diverso accertamento dei fatti rispetto a quello compiuto dal giudice di merito e si rivelano quindi inammissibili.

6) Resta da esaminare il tema dell’esistenza dello stato di ebbrezza e delle censure che si riferiscono all’efficienza di tale stato sul verificarsi dell’incidente.

Come è noto nei reati colposi, per poter affermare la responsabilità dell’agente, non è sufficiente che il medesimo abbia violato una regola cautelare – nella specie essersi messo alla guida del veicolo malgrado lo stato di ebbrezza (peraltro modesto; oggi la relativa ipotesi rientra tra quelle depenalizzate) – ma è necessario che questa violazione abbia causalmente contribuito al verificarsi dell’evento (causalità della colpa).

Un illustre studioso della colpa ricordava molti anni fa che anche l’ubriaco può guidare con la perfetta osservanza delle regole del codice della strada; e se viene coinvolto in un incidente la sola ubriachezza non è sufficiente a fondare l’esistenza dell’elemento soggettivo.

Nel caso in esame neppure i ricorrenti riescono ad individuare quale efficienza causale abbia avuto sul verificarsi dell’incidente lo stato di ebbrezza nel quale si trovava l’imputato al momento dell’incidente.

7) Alle considerazioni in precedenza svolte, consegue il rigetto dei ricorsi, con la condanna del ricorrente privato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

la Corte Suprema di Cassazione, Sezione 4^ penale, rigetta i ricorsi e condanna Vi.Ma. al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *