Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 27-01-2011) 25-03-2011, n. 12171

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. In data 22.12.2009 la Corte di appello di Milano confermava la sentenza emessa il 24.2.2009 dal Gup del Tribunale di Busto Arsizio con la quale, all’esito del giudizio abbreviato, condannava I. M. e A.M., con la concessione delle circostanze attenuanti generiche ritenute equivalenti alle contestate aggravanti, alla pena di anni sette di reclusione per il reato di tentato omicidio in concorso, con l’aggravante di aver agito per futili motivi, in danno di N.M.; condannava, altresì, F. A. per il concorso nel suddetto reato, nonchè, per il reato di lesioni volontarie aggravate in danno di M.A., ritenuta la continuazione tra i due reati, alla pena di anni sette e mesi due di reclusione.

2. La notte dell’8 giugno 2008 N.M. e M.A. venivano aggrediti in strada da quattro connazionali pakistani giunti a bordo di una Golf di colore scuro. Il N. riportava lesioni gravi in varie parti del corpo (al torace, al volto, alla testa) e veniva ricoverato in prognosi riservata, versando in pericolo di vita, in particolare a causa di una ferita al torace essendo stato attinto con un coltello la cui lama di dodici centimetri, estratta dai sanitari dal corpo della vittima, era penetrata in prossimità del cuore. Il M. aveva, invece, riportato ferite provocate da una punta di trapano.

Dalla ricostruzione operata attraverso le dichiarazioni delle persone offese, dei testimoni e degli imputati emergeva che il pomeriggio precedente nel corso di una riunione tra connazionali, alcuni legati da vincoli di parentela, vi era stato un alterco tra la vittima, N.M., ed il fratello dell’imputato I.M., N. I., il quale era stato invitato dal N. ad allontanarsi perchè aveva usato espressioni sconvenienti in presenza di molte persone tra le quali vi erano anche donne e bambini.

La Corte territoriale – ripercorsa diffusamente la motivazione della sentenza di primo grado sia avuto riguardo alla ricostruzione dell’episodio, sia con riferimento alla qualificazione giuridica del fatto – ribadiva che non vi era alcun dubbio in ordine al coinvolgimento nell’aggressione dei tre imputati, indicati dalle vittime e da un parente delle stesse che aveva visto sopraggiungere gli aggressori; peraltro, gli stessi imputati non avevano negato I fatti, pur tentando di accreditare una ricostruzione parzialmente diversa dell’episodio, sostenendo che anche le persone offese avevano tenuto una condotta aggressiva.

Ad avviso della Corte risultava provata l’idoneità delle condotte ai fini della configurabilità del reato di tentato omicidio a carico di tutti gli imputati. In specie, tenuto conto delle armi utilizzate (un coltello, un bastone di legno, una spranga di ferro, un martello, una livella e delle punte da trapano), della qualità e quantità delle lesioni riportate dal N., del contributo causale di ciascun imputato all’azione violenta in danno della vittima.

Corretta doveva ritenersi, altresì, la valutazione del primo giudice in ordine alla sussistenza del dolo omicidiario alla luce di tutte le predette circostanze e della reiterazione dei colpi inferti alla vittima in parti vitali del corpo anche dopo che era caduta al suolo;

considerando, altresì, che l’aggressione si era interrotta non per la volontaria desistenza degli imputati, ma per l’arrivo di un’auto che aveva disturbato gli aggressori.

Del tutto incompatibile con le circostanze accertate veniva ritenuta la tesi difensiva secondo la quale vi sarebbe stata una rissa nella quale gli imputati, che non avevano alcuna intenzione di uccidere, a loro volta erano stati aggrediti dalle vittime. Precisava la Corte territoriale che tutte le circostanze emerse dalle dichiarazioni delle vittime e dei testimoni "convergono nell’individuare l’origine dello scontro nell’intenzione di N.I. di vendicarsi per l’offesa asseritamente subita ad opera di N. e, conseguentemente, avvalorano l’ipotesi della spedizione punitiva attuata dagli imputati in danno delle persone offese". Anche dalla testimonianza di G.C. – che ad avviso della difesa accrediterebbe una diversa ricostruzione dell’episodio – emergevano circostanze coerenti con le valutazioni operate dal giudice di primo grado avendo la predetta riferito di aver avuto l’impressione che "quattro di loro ce l’avessero con il primo uomo, in quanto era l’unico ad essere picchiato da tutti e quattro"; successivamente aveva precisato che le persone scese dall’auto avevano aggredito gli altri due, continuando a colpirne uno anche dopo che era caduto a terra.

Infine, la Corte territoriale riteneva che non potesse essere accolta la richiesta difensiva di escludere l’aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 1, affermando che, anche a volere tenere conto dello specifico contesto sociale e culturale delle persone coinvolte, una ipotetica ingiuria subita non potrebbe costituire valida motivazione per una reazione di simile gravità. 3. Avverso la sentenza di secondo grado hanno proposto ricorso per cassazione tutti gli imputati, personalmente.

F.A., attualmente detenuto, ha inoltrato dichiarazione con la quale propone ricorso per cassazione avverso la sentenza pronunciata dalla Corte di appello di Milano, senza alcuna ulteriore indicazione.

I motivi dei ricorsi proposti da I.M. e A.M. sono del tutto sovrapponibili.

In specie, i predetti imputati con il primo motivo lamentano la mancata riqualificazione del fatto contestato nel reato di cui all’art. 588 c.p., comma 2, affermando, in sostanza, l’insussistenza, alla luce della ricostruzione del fatto, dell’elemento soggettivo del tentato omicidio.

Con il secondo motivo censurano la ritenuta sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 61 c.p., comma 1, n. 1, in particolare tenuto conto del contesto culturale al quale appartengono tutti i soggetti protagonisti della vicenda come emerge dagli atti del procedimento.
Motivi della decisione

1. Deve, In primo luogo, rilevarsi l’Inammissibilità del ricorso proposto da F.A., al sensi dell’art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), attesa l’assoluta mancanza delle forme previste dall’art. 581 cod. proc. pen..

2. Manifestamente infondati sono entrambi i motivi dei ricorsi proposti da I.M. e A.M..

Nella verifica della consistenza del rilievi critici mossi dai ricorrenti, la sentenza della Corte territoriale non può essere valutata isolatamente, ma deve essere esaminata in stretta ed essenziale correlazione con la sentenza di primo grado, sviluppandosi entrambe secondo linee logiche e giuridiche pienamente concordanti, di talchè – sulla base di un consolidato indirizzo della giurisprudenza di questa Corte – deve ritenersi che la motivazione della prima si saldi con quella della seconda fino a formare un solo complessivo corpo argomentativo e un tutto unico e Inscindibile (S.U., 04/02/1992, Ballan; Sez. 1, 21/03/1997, Greco; Sez. 1, 04/04/1997, Proietti).

2.1. Quanto al primo motivo, vengo poste a fondamento del ricorso, peraltro in maniera generica, questioni di fatto – identiche a quelle introdotte con i motivi di appello – volte ad una valutazione alternativa rispetto a quella del giudice di merito, peraltro già esaminate ampiamente ed approfonditamente dal giudice dell’appello che – come si è evidenziato in premessa – ha ripercorso dettagliatamente la motivazione della sentenza di primo grado che ha ritenuto di confermare anche alla luce delle contestazioni difensive che sono state puntualmente esaminate e valutate con argomenti logici, coerenti e privi di contraddizioni.

Sullo specifico punto relativo alla valutazione della sussistenza del dolo del tentato omicidio, deve rilevarsi che la Corte territoriale, così come il giudice di primo grado, ha fatto corretta applicazione dei criteri ermeneutici indicati ripetutamente dalla Corte di legittimità, traendo la prova della sussistenza del dolo omicidiario da elementi esterni e, in particolare, da quegli elementi della condotta degli imputati che, per la loro non equivoca potenzialità semantica, sono i più idonei ad esprimere il fine perseguito dall’agente.

Come è noto, infatti, per l’accertamento della sussistenza all’animus necandi nel tentato omicidio assume valore determinante l’idoneità dell’azione, che va apprezzata In concreto senza essere condizionata dagli effetti realmente raggiunti, con un giudizio prognostico formulato ex post con riferimento alla situazione che si presentava all’imputato al momento dell’azione, in base alle condizioni umanamente prevedibili del caso particolare.

Nè, invero – contrariamente a quanto si assume dai ricorrenti – la Corte ha fatto ricorso al dolo "eventuale", avendo, al contrario, affermato la sussistenza di circostanze univoche e convergenti "nel definire l’intento degli aggressori secondo lo schema del dolo (quanto meno) alternativo" che – diversamente dal dolo eventuale – sussiste quando l’agente si rappresenta e vuole indifferentemente l’uno o l’altro degli eventi causalmente ricollegabili alla sua condotta cosciente e volontaria.

La motivazione, compiuta e coerente con le circostanze di fatto emerse – sia della sentenza di primo grado che di quella impugnata – in ordine alla accertata partecipazione di tutti gli imputati, con diverso contributo causale, all’azione di aggressione in danno del N., rende priva di pregio l’argomentazione del ricorrente A. M. volta a sostenere la configurabilità a suo carico del solo reato di rissa aggravata posto che il coimputato I.M. ha ammesso di essere stato il responsabile dell’accoltellamento della vittima.

2.2. Manifestamente infondata è, altresì, la censura relativa alla sussistenza dell’aggravante dei futili motivi.

Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte di legittimità, la circostanza aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 1, sussiste quando la determinazione criminosa sia stata causata da uno stimolo esterno così lieve, banale e sproporzionato, rispetto alla gravità del reato, da apparire, secondo il comune modo di sentire, assolutamente insufficiente a provocare l’azione delittuosa, tanto da potersi considerare, più che una causa determinante dell’evento, un mero pretesto per lo sfogo di un impulso criminale (Sez. 1, n. 29377, 8 maggio 2009, Albanese, rv. 244645).

Il giudice del merito, facendo corretta applicazione di detto principio, ha ritenuto che la ragione dell’azione di aggressione posta in essere dagli imputati, per come emersa univocamente – ossia la pretesa offesa subita dal N. per il rimprovero fattogli pubblicamente dal N. – non può che essere ritenuta futile.

Invero, pur tenendo conto delle connotazioni culturali degli imputati e del contesto ambientale In cui si è verificato il fatto, nella coscienza collettiva civile in generale l’offesa avvertita per un rimprovero verbale, ancor più se giustificato dalle contingenze, non può che considerarsi banale a fronte della determinazione ad una condotta tanto grave e violenta quale è quella del caso di specie.

Anche i ricorsi proposti da I.M. e A.M. devono, quindi, essere dichiarati inammissibili.

3. Alla dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi consegue di diritto la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di prova circa l’assenza di colpa nella proposizione dell’impugnazione (Corte cost., sent. n. 186 del 2000) al versamento della somma di mille Euro ciascuno alla cassa delle ammende.
P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno al versamento della somma di mille Euro alla cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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