Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 20-01-2011) 25-03-2011, n. 11988 violenza sessuale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza emessa in data 16 Marzo 2010, la Corte di Appello di Brescia ha confermato la sentenza emessa al termine di rito abbreviato in data 14 Luglio 2009 dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Bergamo con la quale il Sig. G. C., previa concessione delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di equivalenza sulle aggravanti, è stato condannato alla pena di sei anni e otto mesi di reclusione in relazione al reato previsto dagli artt. 81, 609-bis E 609-ter c.p. commesso in danno di persona minore di 14 anni nel periodo che va dal mese di (OMISSIS). La sentenza ha previsto, inoltre, l’applicazione delle pene accessorie di legge, la condanna generica dell’imputato al risarcimento dei danni in favore della parte civile, con fissazione di una provvisionale ammontante a 15.000,00 Euro.

La sentenza di appello presenta una dettagliata ricostruzione della vicenda processuale (pagg. 3 e 4), nonchè dei motivi di appello e del contenuto della memoria depositata in data 10 Marzo 2010 (pagg. 5 e 6). Procede quindi ad esaminare in modo articolato le singole censure mosse dall’appellante alla prima decisione e ad illustrare le ragioni che conducono al rigetto di tutti i motivi d’impugnazione.

In particolare, la Corte territoriale ritiene attendibili e dotate di riscontro le dichiarazioni della persona offesa minorenne, figlia della donna con cui il Sig. G.C. condivideva l’alloggio, e ritiene non dimostrate le ipotesi avanzate dallo stesso appellante circa le ragioni di un’accusa calunniosa di cui sarebbe vittima e circa la diversa età anagrafica della ragazza.

Avverso tale decisione il Sig. G.C. propone ricorso personalmente.

Con primo motivo lamenta vizio di motivazione e violazione di legge con riferimento all’art. 27 Cost., comma 2. In particolare: a) la motivazione della Corte di Appello dimostra un approccio errato alla vicenda processuale, enfatizzando le diverse spiegazioni che il ricorrente ha cercato di dare delle accuse false che gli sono state mosse e invertendo illegittimamente l’onere della prova circa le circostanze addotte a sostegno di tali ipotesi; b) la motivazione omette di verificare serenamente l’assurdità del racconto della minore circa le dichiarazioni rese al ricorrente in ordine alla sua verginità e alla esistenza di pregresse relazioni con alcuni ragazzi, e finisce così per incorrere in un palese illogicità degli argomenti utilizzati per respingere le critiche proposte dalla Difesa; c) altrettanto deve dirsi con riferimento alla palese contraddizione delle dichiarazioni della minore circa la situazione di soggezione, da un lato, e circa la presenza nell’abitazione di molte persone che ivi vivevano; d) palese appare l’illogicità della motivazione in ordine all’assenza di sanguinamento e dolore in occasione della prima violenza, che non può certo essere paragonata ad un normale rapporto sessuale, atteso che la stessa parte offesa afferma che le condotte dell’uomo erano aggressive e brusche; e) inverosimile risulta la versione della madre circa l’attenzione ai cicli mestruali della figlia.

Sotto un diverso profilo lamenta l’illogicità della motivazione relativa alla reiezione della richiesta concessione di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche, ancorata al tentativo dell’indagato di convincere la persona offesa a non sporgere denuncia Con secondo motivo lamenta la mancata assunzione di prova decisiva relativa all’esistenza di una differenza fra la data di nascita della persona offesa e quanto risultante dai documenti ufficiali; tale differenza è stata giustificata dalla madre della vittima in modo poco credibile e smentito dal documento che si intendeva acquisire, a dimostrazione della scarsa credibilità di una testimone fondamentale per l’accusa.
Motivi della decisione

1. Il contenuto di entrambi i motivi di ricorso impone alla Corte una considerazione preliminare circa i limiti del controllo che le è affidato sulla motivazione delle sentenza.

Il giudizio di legittimità rappresenta lo strumento di controllo della corretta applicazione della legge sostanziale e processuale e non può costituire un terzo grado di giudizio volto alla ricostruzione dei fatti oggetto di contestazione. Si tratta di principio affermato in modo condivisibile dalla sentenza delle Sezioni Unite Penali, n. 2120, del 23 novembre 1995 – 23 febbraio 1996, Fachini (rv 203767) e quindi dalla decisione con cui le Sezioni Unite hanno definito i concetti di contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione (n. 47289 del 2003, Petrella, rv 226074). Una dimostrazione della sostanziale differenza esistente tra i due giudizi può essere ricavata, tra l’altro, dalla motivazione della sentenza n. 26 del 2007 della Corte costituzionale, che (punto 6.1), argomentando in ordine alla modifica introdotta dalla L. n. 46 del 2006 al potere di impugnazione del pubblico ministero, afferma che la esclusione della possibilità di ricorso in sede di appello costituisce una limitazione effettiva degli spazi di controllo sulle decisioni giudiziali in quanto il giudizio avanti la Corte di cassazione è "rimedio (che) non attinge comunque alla pienezza del riesame di merito, consentito (invece) dall’appello".

Se, dunque, il controllo demandato alla Corte di cassazione non ha "la pienezza del riesame di merito" che è propria del controllo operato dalle corti di appello, ben si comprende come il nuovo testo dell’art. 606 c.p.p., lett. e) non autorizzi affatto il ricorso a fondare la richiesta di annullamento della sentenza di merito chiedendo al giudice di legittimità di ripercorrere l’intera ricostruzione della vicenda oggetto di giudizio.

Tale impostazione è stata ribadita, anche dopo la modifica dell’art. 606 c.p.p., lett. e) apportata dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 8, comma 1, lett. b) dalle sentenze della Seconda Sezione Penale, n. 23419 del 23 maggio – 14 giugno 2007, PG in proc. Vignaroli (rv 236893) e della Prima Sezione Penale, n. 24667 del 15 – 21 giugno 2007, Musumeci (rv 237207). Appare, dunque, del tutto convincente la costante affermazione giurisprudenziale del principio secondo cui è "preclusa al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti" (fra tutte: Sezione Sesta Penale, sentenza n. 22256 del 26 aprile – 23 giugno 2006, Bosco, rv 234148).

2. L’applicazione dei tali principi interpretativi al caso in esame impone di concludere che le censure mosse dal ricorrente alla sentenza impugnata si sostanziano nei fatti in una non condivisione delle valutazioni operate dai giudici di appello circa la rilevanza e conclusività del materiale probatorio, di cui viene prospettata una diversa lettura. Il ricorrente contesta i passaggi ricostruttivi dei fatti, nella sostanza riproponendo le censure mosse alla sentenza di primo grado, alle quali la Corte di Appello ha dato risposta con motivazione che non risulta nè incoerente col materiale probatorio , nè contraddittoria, nè manifestamente illogica. L’ampia motivazione della sentenza affronta i diversi temi di decisione prospettati dal ricorrente, a partire dalla richiesta di rinnovazione del dibattimento (pag. 8) per giungere al tema della credibilità della persona offesa e dell’attendibilità del suo racconto e di quello della di lei madre (pagg. 8-10), ed oltre risposte che non incorrono nei vizi lamentati.

3. Quanto alle censure concernenti l’applicazione dell’art. 62-bis c.p. e il mancato giudizio di prevalenza, la Corte rileva che alcuni passaggi motivazionali adottati dai giudici di appello appaiono effettivamente afflitti dai vizi prospettati dal ricorrente. In particolare, non può considerarsi logicamente accettabile nè introdurre una ipotesi congetturale che offre una lettura negativa della condotta positiva dell’imputato, quale certamente è la sua accettazione del processo penale e del contraddicono, nè censurare "le modalità espressive" della linea difensiva.

Tuttavia, tali vizi non travolgono il giudizio complessivo operato dai giudici di appello, i quali hanno introdotto ulteriori ragioni per negare il giudizio di prevalenza (il riferimento è all’ultima parte del secondo capoverso di pag. 11), ragioni che appaiono coerenti coi dati processuali e immuni da vizi logici.

Sulla base delle ragioni fin qui esposte il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, secondo quanto disposto dall’art. 616 c.p.p..
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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