Cass. civ. Sez. II, Sent., 15-06-2011, n. 13100 proprietà

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Svolgimento del processo

Con sentenza del 29 gennaio 2001 il Tribunale di Milano – in parziale accoglimento delle domande proposte da B.E.N. e C.T. nei confronti di C.A., C. G. e G.A.R. – dichiarò che l’area circostante l’edificio sito in (OMISSIS) in quella città era di proprietà degli attori e che le convenute erano titolari soltanto di un diritto di passaggio su tale spazio; le condannò a dismettere ogni diversa utilizzazione del bene; compensò tra le parti le spese di giudizio.

Impugnata in via principale da C.A., G.C. e G.A.R., in via incidentale da E.N. B. e C.T., la decisione è stata confermata dalla Corte d’appello di Milano, con sentenza del 29 giugno 2004, salvo che per il regolamento delle spese di giudizio.

C.A., G.C. e G.A.R. hanno proposto ricorso per cassazione, in base a tre motivi. B. E.N. e C.T. si sono costituiti con controricorso. Le ricorrenti hanno presentato una memoria.
Motivi della decisione

I resistenti hanno contestato pregiudizialmente l’ammissibilità del ricorso, rilevando che è stato notificato il 29 settembre 2005 presso il procuratore che li aveva rappresentati nel giudizio a quo, mentre invece, per il disposto dell’art. 330 c.p.c., comma 3 avrebbe dovuto essere notificato a loro personalmente, essendo trascorso più di un anno dal deposito in cancelleria della sentenza impugnata, avvenuto il 29 giugno 2004.

L’eccezione va disattesa, poichè l’impugnazione non preceduta dalla notificazione della sentenza impugnata e successiva all’anno dalla pubblicazione di questa, ma ancora ammessa per effetto della sospensione del termine di cui all’art. 327 durante il periodo feriale, va notificata non alla parte personalmente, bensì, indifferentemente, a scelta del notificante, o presso il procuratore della medesima costituito nel giudizio a quo o nel domicilio eletto ovvero nella residenza dichiarata per quel giudizio, dovendo ritenersi equiparate, ai sensi dell’art. 330 c.p.c., comma 1, ultima parte, sia l’ipotesi della mancata notificazione della sentenza impugnata, sia quella relativa alla mancata dichiarazione di residenza o elezione di domicilio (Cass. s.u. 20 dicembre 1993 n. 12593) . Da tale orientamento non si ravvisano ragioni per discostarsi, nè del resto ne è stata prospettata alcuna dai controricorrenti, i quali si sono limitati a richiamare un precedente (Cass. 24 aprile 2001 n. 6023) che in realtà si è uniformato al suddetto principio, come tutte le pronunce di questa Corte successive alla sua enunciazione da parte delle sezioni unite.

Con i tre motivi addotti a sostegno del ricorso C.A., G.C. e G.A.R. rivolgono alla sentenza impugnata essenzialmente una stessa censura, articolata sotto i profili della insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, della violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 c.c. (interpretazione dei contratti) e della violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. (onere della prova): lamentano che la Corte d’appello ha omesso di considerare che il loro dante causa V.E., in quanto coerede di V.R., era comproprietario del cortile oggetto della causa, sicchè ben avrebbe potuto cederlo sia nel 1978, soltanto pro quota, a B.E.N. e C.P. L., sia nel 1980, per il residuo, ad C.A. e G.F., insieme con le unità immobiliari rispettivamente alienate agli uni e agli altri.

La doglianza è fondata, per l’aspetto del dedotto vizio di motivazione.

In effetti il giudice di secondo grado ha correttamente osservato, in diritto, che negli acquisti a titolo derivativo … l’acquirente non può vantare un diritto di portata più ampia di quello spettante al precedente titolare, ma ha mancato di vagliare adeguatamente la plausibilità della tesi propugnata, in fatto, dalle appellanti: ha ritenuto che costoro non potessero aver acquistato la comproprietà del suolo in questione, in quanto gli alienanti V.E. e C.N., a loro volta, erano proprietari soltanto dell’appartamento al secondo piano del fabbricato, costruito sul lastrico di cui nel 1951 V.R. aveva ceduto loro il diritto di superficie. Non si è quindi tenuto conto della circostanza che nel 1959 V.E., con i suoi fratelli, era succeduto mortis causa al padre V.R., sicchè per questa via era divenuto comproprietario dell’area circostante l’edificio e sarebbe stato legittimato a trasferire questo suo diritto per una quota con la prima vendita del 1978 a E.N. B. e C.P.L., per un’altra quota con la seconda del 1980 ad C.A. e G.F.. L’accenno della Corte d’appello alla distinzione delle comunioni, cui avevano dato luogo la vendita del 1951 e la successione del 1959, non rappresenta quindi una esauriente spiegazione (se a questo fine è stato inserito nella sentenza impugnata) della soluzione adottata. Nè la giustifica il rilievo della diversità, negli atti del 1978 e del 1980, tra i numeri civici che vi sono menzionati, poichè l’indicazione si riferisce alla comproprietà non dello spazio interno circostante il fabbricato, ma della strada privata esterna verso la quale esso prospetta. Senza idonea risposta, da parte della Corte d’appello, sono rimaste inoltre le deduzioni di C.A., G. C. e G.A.R., relative all’espressa menzione, nel rogito del 1978, della comproprietà (e non della proprietà) del cortile, come oggetto di trasferimento, insieme con gli appartamenti dei piani terreno e primo.

Accolto pertanto il ricorso, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio ad altro giudice, che si designa in una diversa sezione della Corte d’appello di Milano, cui viene anche rimessa la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.

LA CORTE accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata; rinvia la causa ad altra sezione della Corte d’appello di Milano, cui rimette anche la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.

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