Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 25-11-2010) 25-03-2011, n. 12041 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

-1- T.E.N.A. propone ricorso avverso l’ordinanza della Corte d’Appello di Napoli, del 29 settembre 2009, che ha respinto la domanda, dallo stesso avanzata, di riparazione per l’ingiusta detenzione sofferta essendo state raggiunto da provvedimento di custodia cautelare in relazione alle fattispecie delittuose di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, artt. 73 e 74; delitti dai quali è stata successivamente assolto.

La corte d’appello ha rigettato l’istanza, avendo ritenuto che il richiedente, con la sua condotta gravemente colposa, aveva contribuito a dar causa al provvedimento restrittivo.

Avverso tale decisione viene, dunque, proposto ricorso per cassazione con il quale si deduce violazione dell’art. 314 cod. proc. pen. e vizio di motivazione del provvedimento impugnato con riguardo alla individuazione, in capo al ricorrente, di comportamenti gravemente colposi, ritenuti ostativi al riconoscimento del diritto alla riparazione.

L’Avvocatura Generale dello Stato, costituitasi in giudizio nell’interesse del Ministero dell’Economia e delle Finanze, chiede dichiararsi inammissibile ovvero rigettarsi il ricorso.

-2- Il ricorso è infondato.

Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, in tema di riparazione per ingiuste detenzione al giudice del merito spetta, anzitutto, di verificare se chi l’ha patita vi abbia dato causa, ovvero vi abbia concorso, con dolo o colpa grave. A tal fine, egli deve prendere in esame tutti gli elementi probatori disponibili, relativi alla condotta del soggetto, sia precedente che successiva alla perdita della libertà, allo scopo di stabilire se tale condotta abbia determinato, ovvero anche solo contribuito a determinare, la formazione di un quadro indiziario che ha indotto all’adozione o alla conferma del provvedimento restrittivo. Tale condizione, ostativa al riconoscimento del diritto all’indennizzo, deve manifestarsi attraverso comportamenti concreti, precisamente individuati, che il giudice di merito è tenuto ad apprezzare, in modo autonomo e completo, al fine di stabilire, con valutazione "ex ante", non se essi abbiano rilevanza penale, ma solo se si siano posti come fattore condizionante rispetto all’emissione del provvedimento di custodia cautelare. Condotte rilevanti in tal senso possono essere di tipo extra processuale (grave leggerezza o trascuratezza tale da avere determinato l’adozione del provvedimento restrittivo) o di tipo processuale (auto incolpazione, silenzio consapevole sull’esistenza di un alibi) che non siano state escluse dal giudice della cognizione. Nulla vieta al giudice della riparazione di prendere in considerazione gli stessi comportamenti oggetto dell’esame del giudice penale, sempre che la valutazione di essi sia eseguita dal primo non rapportandosi ai canoni di giudizio del processo penale, bensì a quelli propri del procedimento riparatorio, che è diretto non ad accertare responsabilità penali, bensì solo a verificare se talune condotte abbiano quantomeno concorso a determinare l’adozione del provvedimento restrittivo.

Orbene, nel caso di specie, la corte distrettuale si è attenuta a tali principi, avendo ritenuto, con motivazione adeguata e coerente sotto il profilo logico e nel rispetto della normativa di riferimento, sulla base di quanto desunto dalla lettura della stessa sentenza assolutoria, che la condotta del T. aveva sostanzialmente contribuito ad ingenerare, sia pur in presenza di errore dell’autorità inquirente, la rappresentazione di una condotta illecita dalla quale è scaturita, con rapporto di causa-effetto, la detenzione ingiustamente sofferta. E’ stato, in particolare, ricordato che il richiedente era abituale frequentatore di una casa dove vivevano diversi cittadini extracomunitari clandestini e dove si recavano giovani tossicodipendenti allo scopo di procurarsi la droga.

Il rinvenimento, all’interno di detto immobile, di tracce di cocaina e di materiale utilizzato per la consumazione della droga, ha dato conferma dell’equivocità delle condotte di quanti frequentavano quel luogo. E’ stato, altresì, ricordato che l’assoluzione del T. era intervenuta non essendo emersa prova certa della sussistenza di un’organizzazione dedita al commercio della droga ed a causa della impossibilità di accertare chi tra i frequentatori del luogo fosse lo spacciatore, piuttosto che il consumatore della droga.

Circostanza, tuttavia, legittimamente ritenuta non decisiva nella sede riparatoria essendo stata, comunque, accertata l’abitudine dell’odierno ricorrente a frequentare tale ambiente equivoco e degradato, noto come luogo ove poteva reperirsi dello stupefacente.

Una condotta, quindi, che, seppur considerata priva di rilievo penale, legittimamente è stata ritenuta gravemente negligente ed integrante gli estremi della colpa grave, ostativa al riconoscimento del diritto alla riparazione, che ha quantomeno contribuito alla formazione di un quadro indiziario certamente significativo che ha determinato l’adozione del provvedimento restrittivo.

Il sindacato del giudice di legittimità sul provvedimento che rigetta o accoglie la richiesta di riparazione è, d’altra parte, limitato alla correttezza del procedimento logico-giuridico attraverso cui il giudice di merito è pervenuto alla decisione;

mentre resta di esclusiva pertinenza di quest’ultimo la valutazione dell’esistenza e dell’incidenza della colpa o dell’esistenza del dolo. Anche in ragione di ciò, l’ordinanza in esame non merita di essere censurata, essendo la decisione impugnata del tutto coerente rispetto alle circostanze emerse in sede processuale, correttamente valutate dalla corte territoriale e perfettamente in linea con i principi di diritto affermati da questa Corte in tema di riparazione.

Il ricorso deve essere, quindi, rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali; sussistono validi motivi, riconducibili alla particolarità della vicenda oggetto d’esame, per compensare le spese tra le parti.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Compensa le spese tra le parti.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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