T.A.R. Lazio Roma Sez. II quater, Sent., 22-03-2011, n. 2540 Beni di interesse storico, artistico e ambientale esportazione e importazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

L’Associazione ricorrente impugna il decreto prot. 4705 del 1.10.2009 con cui l’Amministrazione resistente, in esecuzione della sentenza di questa Sezione n. 4987 del 23.5.2008, ha rimosso il vincolo imposto con d.m.7.1.1986 su una Commode Luigi XV di proprietà della Fondazione controinteressata; impugna altresì, quale atto consequenziale l’ eventualmente attestato di libera circolazione rilasciato dall’Ufficio esportazione.

L’atto impugnato è stato adottato in esecuzione della predetta sentenza che aveva accolto il ricorso proposto dalla Fondazione contro interessata avverso l’atto di diniego di revisione del vincolo ex art. 128 d.lvo n. 42/2004 ritenendo fondate le censure relative alla violazione della garanzia procedimentale di cui all’art. 10 bis della legge n. 241/90 ed alla carenza della motivazione sotto il profilo della rarità dell’opera e del collegamento con il contesto storicoartistico nazionale.

Detta sentenza non veniva impugnata in quanto, come evidenziato dall’Avvocatura Generale dello Stato con nota del 7.10.2008, il ricorso era stato accolto solo per difetto di motivazione e violazione delle garanzie procedimentali e quindi non comprometteva, nella sostanza, la decisione dell’amministrazione in merito alla possibilità di rimuovere o mantenere il vincolo in contestazione.

In data 4.11.2008, pertanto, veniva riavviato il procedimento, dandone comunicazione alla Fondazione controinteressata e richiedendo il parere sull’importanza storico artistica del bene al Comitato tecnicoscientifico che con decisione n. 25 del 23.4.2009 s’esprimeva nel senso dell’accoglimento dell’istanza di revisione.

Persistendo dubbi sulle modalità di esecuzione della predetta sentenza il Direttore Generale per i Beni architettonici, Storici ed Etnoantropologici in data 6.7.2009 richiedeva all’Ufficio Legislativo del Ministero per i Beni Culturali alcuni chiarimenti, forniti da detto Ufficio con nota del 14.7.2009 prot. 14926, con cui, tra l’altro, si ribadiva quanto già indicato dall’Avvocatura erariale, precisando, quanto all’onere di consentire l’adeguata partecipazione procedimentale della Fondazione proprietaria del bene e di motivare adeguatamente il provvedimento conclusivo – di accoglimento o di rigetto dell’istanza di revisione del vincolo – che si dovesse far riferimento al carattere di pregio ed alla rarità della Commode e che "l’italianità di detta opera non costituisce ex se un presupposto indefettibile… ai fini del suo interesse storicoartistico particolarmente importante richiesto dalla legge di tutela".

In data 1.10.2009 il Direttore Generale per i Beni architettonici, Storici ed Etnoantropologici, conformandosi al parere espresso dal Comitato tecnicoscientifico in data 23.4.2009, adottava il decreto impugnato con il ricorso in esame per i seguenti motivi:

1) Violazione dell’art. 4 e 14 del D.Lgs. n. 165/2001 – Violazione degli artt. 2 e 4 DPR 307/2001. Eccesso di potere per contraddittorietà con precedente atto di indirizzo politicoamministrativo del Ministero;

Illegittimamente il Direttore Generale per il paesaggio le belle arti, architettura e l’arte contemporanea ha adottato il provvedimento impugnato disattendendo le valutazioni di ordine giuridico in merito al concetto di patrimonio culturale nazionale fornite dall’Ufficio Legislativo del Ministero per i Beni Culturali con nota del 14.7.2009 prot. 14926, che ha valore di "atto di indirizzo politicoamministrativo" trattandosi di ufficio di diretta collaborazione del Ministero ai sensi dell’art. 14 del D.Lgs. n. 165/2001, come espressamente sancito dall’art 2 del DPR 307/2001.

2) Violazione dell’art. 3 della legge n. 241/90 -Violazione dell’art. 97 Cost.: violazione del principio di giusto procedimento- Eccesso di potere per insufficiente e contraddittoria motivazione;

Anche ad ammettere che la nota del 14.7.2009 prot. 14926 dell’Ufficio Legislativo del Ministero per i Beni Culturali abbia valore giuridico di mero parere – anziché di "atto di indirizzo politicoamministrativo" – cionondimeno il provvedimento impugnato risulta viziato in quanto non ha fornito adeguata motivazione della scelta di discostarsi dall’interpretazione normativa da esso indicata.

3) Violazione sotto altro profilo dell’art. 68 nonché dei principi di cui agli artt. 64 bis, 72 e 87 bis del D.Lgs. 22.1.2004 n. 42 – Violazione della Convenzione Unesco 14.11.1970- -Violazione dell’art. 9 Cost. – Violazione della circolare del ministero della pubblica istruzione del 13.5.1974 – Eccesso di potere per contraddittoria motivazione;

Il decreto di rimozione del vincolo impugnato, conformandosi al parere espresso dal competente Comitato tecnicoscientifico, e disattendendo il parere espresso nella richiamata nota dell’Ufficio Legislativo, si fonda sulla ritenuta "non italianità del bene in questione", in particolare sotto il profilo della mancanza di rapporto con lo sviluppo dell’ebanisteria e della storia italiana, affermando quindi l’esclusione del bene in parola dal patrimonio artistico italiano, erroneamente ritenendo essenziale, a tal fine, tali elementi.

Secondo la ricorrente la normativa in materia è improntata ad un principio di territorialità per cui la stessa presenza delle cose nel territorio nazionale, a prescindere dalla loro nazionalità ed origine, è sufficiente ragione per sottoporle a tutela, stante il valore preminente attribuito a tali beni dall’art. 9 della Costituzione, per cui ogni esportazione di qualunque cosa che si trovi all’interno del Paese costituisce un danno per il "patrimonio nazionale". In ogni caso la presenza di tale mobile in Italia risale al 1962 e quindi, non trattandosi di un contatto meramente occasionale, la Commode fa parte della storia recente del Paese ed è pertanto assoggettabile alla normativa di tutela alla luce dei criteri stabiliti con la circolare del ministero della pubblica istruzione del 13.5.1974, in particolare in considerazione del valore intrinseco e del pregio.

Quanto al requisito della italianità, la ricorrente osserva che la Convenzione Unesco del 14.11.1970, nel dettare gli obblighi degli Stati aderanti in materia di restituzione di beni culturali illecitamente trafficati, non prescrive quale condizione essenziale il carattere nazionale di questi.

Si è costituito per resistere il Ministero per i beni e le attività culturali, con memoria scritta a sostegno del proprio operato.

Si è costituita altresì la contro interessata Fondazione proprietaria della Commode in questione, con articolata memoria a difesa della propria posizione.

Con ordinanza n. n. 5977 del 17.12.2009 l’istanza di sospensiva è stata respinta; la pronuncia cautelare è stata confermata dal Consiglio di Stato, Sez. VI, con Ordinanza n. 3096 del 7.7.2010.

In vista dell’udienza di trattazione del merito della causa la ricorrente e la contro interessata hanno ulteriormente precisato con scritti difensivi le rispettive deduzioni e controdeduzioni.

All’udienza pubblica del 3.11.2010 la causa è stata trattenuta in decisione..
Motivi della decisione

Il primo motivo di ricorso è infondato.

La nota dell’Ufficio Legislativo del Ministero per i Beni Culturali del 14.7.2009 prot. 14926, con cui si forniscono i richiesti chiarimenti in merito all’esecuzione della sentenza ormai passata in giudicato, non ha il preteso valore di "atto di indirizzo politicoamministrativo", ma quello di mero atto interno con cui viene riscontrata una richiesta di consulenza giuridica.

La circostanza della provenienza dell’atto da un ufficio di diretta collaborazione del Ministero – stante l’espressa qualificazione in tal senso dell’Ufficio Legislativo ad opera del regolamento di organizzazione del Ministero dei Beni culturali adottato con DPR 307/2001 – non autorizza a riconoscere ad esso natura giuridica di "atto di indirizzo politicoamministrativo" ai sensi dell’art. 14 del D.Lgs. n. 165/2001. Il predetto regolamento di organizzazione demanda, piuttosto, a tale Ufficio i consueti compiti di collaborazione per lo svolgimento dell’attività normativa e di consulenza giuridica per lo svolgimento dell’attività amministrativa, senza conferire ad esso alcun potere di direzione o di indirizzo di "politica culturale" nei confronti delle Direzioni Generali, che costituisce esclusiva prerogativa del Ministro e che viene esercitata con la collaborazione degli Organi Collegiali aventi funzione consultiva tecnica, come quello che appunto ha reso il parere oggetto di contestazione. Né la posizione espressa dall’Ufficio legislativo può ritenersi espressione della volontà del Ministero, come correttamente evidenziato dall’Avvocatura erariale, trattandosi piuttosto di nota di riscontro a quesiti, imputabile esclusivamente al predetto Ufficio, che costituisce mero atto interno – e non un parere obbligatorio -sicchè non v’era alcun bisogno di richiamarlo nelle premesse motivazionali dell’atto impugnato.

Del pari infondato risulta il secondo mezzo di gravame, con cui l’Associazione ricorrente si duole che nell’adottare il provvedimento di riesame impugnato l’Amministrazione si sarebbe discostata dalle indicazioni fornite dall’Ufficio Legislativo del Ministero per i Beni Culturali con la ripetuta nota prot. 14926 del 14.7.2009.

Come già chiarito dall’Avvocatura Generale dello Stato con nota del 7.10.2008, in occasione della valutazione dell’opportunità di appello della sentenza n. 4987 del 23.5.2008, l’esecuzione di questa imponeva solamente il riavvio del procedimento di riesame del vincolo storicoartistico imposto sulla Commode in quanto l’atto di rifiuto del riesame impugnato era stato annullato proprio perché la mancata comunicazione dei motivi ostativi di cui all’art. 10 bis della legge n. 241/90 aveva impedito all’interessata, di rappresentare, nella naturale sede procedimentale, elementi di valutazione utili al fine della formulazione del giudizio conclusivo sul valore dell’opera.

L’interpretazione della limitata portata conformativa di tale pronuncia risulta corretta, in quanto detta sentenza lasciava impregiudicata la sostanza della decisione, non investendo la sussistenza o meno dei presupposti per la rimozione del vincolo, limitandosi a sottolineare le conseguenze della mancata partecipazione procedimentale dell’interessato evidenziando "che le considerazioni svolte in giudizio, con cui la ricorrente denuncia contraddittorietà e carenze nelle valutazioni formulate dall’amministrazione in relazione al carattere di rarità dell’opera ed al collegamento di questa con il contesto storicoartistico nazionale, non appaiono, nei limiti del sindacato esterno cui il Collegio deve attenersi, affatto privi di consistenza" al fine di saggiare l’eventuale possibilità di applicazione dell’art. 21 octies della legge n. 241/90. Coerentemente, l’annullamento dell’atto di diniego della rimozione del vincolo veniva pronunciato con espressa riserva degli "ulteriori provvedimenti" dell’Amministrazione, come chiaramente evidenziato sia nella nota del 7.10.2008 dell’Avvocatura dello Stato – organo cui è istituzionalmente attribuita l’attività di consulenza legale sia giudiziale sia stragiudiziale, sia nella stessa nota dell’Ufficio Legislativo di cui si contesta (a torto) la violazione.

Si tratta pertanto, in questa sede, di valutare la legittimità del provvedimento di riesame del vincolo effettuato ai sensi dell’art. 128 del d.lvo n.42/2004 dall’Amministrazione, nell’ampio ambito di valutazione discrezionale ad essa riservata e rimasto impregiudicato dalla sentenza sopra richiamata.

Innanzitutto il decreto prot. 4705 del 1.10.2009 di rimozione del vincolo è adeguatamente motivato, per relationem, al parere espresso – sulla base dei criteri indicati Consiglio Superiore delle Antichità e Belle Arti Consiglio Superiore delle Antichità e Belle Arti nella seduta del 10 gennaio del 1974 – dal competente Comitato tecnicoscientifico nella seduta del 23.4.2009, competente a pronunciarsi sull’appartenenza o meno della Commode al patrimonio culturale nazionale, non essendo a tal fine necessario, come erroneamente ritenuto dalla ricorrente, alcun ulteriore richiamo, nelle premesse del provvedimento impugnato, alla nota dell’Ufficio Legale del Ministero di cui, a torto, si lamenta la violazione.

Nella premenzionata nota, infatti, l’Ufficio Legale del Ministero non s’era affatto spinto a valutazioni di merito riguardo all’ascrivibilità di tale Commode al patrimonio culturale nazionale, ma aveva semplicemente fornito chiarimenti, agli uffici amministrativi che ne avevano richiesto la consulenza, in merito ad alcuni profili giuridici dei criteri del 1974 sopra richiamati in particolare per quanto riguarda il carattere di "italianità" dell’opera.

E proprio l’indefettibilità di tale carattere costituisce la questione centrale del ricorso.

La nozione di "patrimonio culturale nazionale" propugnata dall’Associazione ricorrente, volta a ricomprendere in esso qualunque oggetto di interesse storico artistico sia comunque per ventura presente sul territorio italiano, trova le sue radici in una concezione dominicale – il cui culmine può ravvisarsi nel modello napoleonico di museo come "esposizione alla Patria" di una serie di opere, frutto di bottino, mostrate alla rinfusa -che non appare essere stata trasfusa nell’ordinamento giuridico vigente.

Al riguardo è appena il caso di rilevare l’inconferenza del richiamo alla Convenzione Unesco del 14.11.1970, al fine di sancire la collaborazione internazionale per la restituzione di beni culturali illecitamente trafficati, la quale acquista particolare rilevanza dell’elemento "territoriale" e della "appartenenza" di bene culturale ad un determinato Stato – appunto perché finalizzata ad attivare gli obblighi di restituzione al Paese cui sia stata sottratta – ma non comporta certo l’imposizione agli Stati che vi abbiano aderito di attribuire la stessa rilevanza ai medesimi elementi ai fini della definizione delle condizioni di appartenenza di un bene al "patrimonio culturale" e della disciplina interna di tutela.

Tanto premesso, va affrontata la questione della rilevanza del contestato carattere di "italianità" nel procedimento di dichiarazione dell’interesse storicoartistico – e, reciprocamente del suo riesame ai sensi dell’art. 128 del d.lvo n. 42/2004, che si fonda su un giudizio valutativo che deve essere condotto sulla base dei criteri individuati dal Consiglio Superiore delle Antichità e Belle Arti nella seduta del 10 gennaio del 1974, presieduta dal Prof. Giulio Carlo Argan, e divulgati con circolare del Ministero della Pubblica Istruzione prot. 2718 del 13.5.1974, confermata con CM 4261 del 17.7.1998, il cui punto 5 precisa che "il verbale dovrà fare riferimento a tali criteri’, da ritenersi tuttora vigente come riconosciuto da giurisprudenza e dottrina (cfr.TAR Liguria 906 del 14.6.2005) e dallo stesso legislatore (vedi Relazione illustrativa al d.lvo n. 62/2008 pag. 455 con riferimento all’art. 68 co. 4).

Com’è noto, tali criteri vanno interpretati ed applicati tenendo conto sia della specificità dell’oggetto sia dell’area di provenienza, in quanto, come cautamente avvertito dallo stesso Consiglio Superiore nelle premesse dell’atto di indirizzo in parola, ove dà atto della "difficoltà di esprimere criteri generali in una materia vasta e diversa".

Sotto il primo profilo è stata riconosciuta la difficoltà di applicare alle diverse tipologie di beni culturali – ed in particolare ad esemplari di arte minore ed applicata – alcuni principi di carattere generale elaborati con riferimento all’opera d’arte e che sono strettemente collegati dalla stessa natura di questi, che ha indotto l’autorevole Consesso a formulare alcune specifiche previsioni che s’attagliano a tipologia di cose diverse, quali quelle oggetto di contestazione (es. criteri a, b, d e soprattutto f del primo gruppo, nonché c del secondo gruppo).

Sotto il secondo profilo, quello della provenienza dell’opera e della difficoltà di acquisizione – cui fa riferimento in particolare il criterio di cui al punto f -, conferma che il valore di strumento culturale del bene è commisurato oltre che alla sua rarità, alla stessa difficoltà del suo reperimento, confermando quindi che il giudizio valutativo in parola ha carattere necessariamente comparativo, come evidenziato già da risalente dottrina, tant’è che è suscettibile di successive revisioni, anche in base alle variazioni nel frattempo intervenute nella consistenza di tale patrimonio, come espressamente sancito dall’art. 128 di cui si contesta l’applicazione nel caso in esame.

In tale prospettiva, assume particolare rilievo la circostanza che si tratti di un tipo di bene il cui valore culturale possa essere apprezzato anche in ciascuna opera isolatamente presa (es. dipinto) oppure un tipo di bene (es. mobile) in cui questo valore vari a seconda che sia o meno inserito del "contesto ambientale", che può essere gravemente diminuito se isolato dall’insieme di arredo di cui fa parte, specie nel caso in cui abbia funzione sociale e di rappresentanza, tanto che la ricollocazione del bene possa porsi come condizione necessaria per assicurarne l’adeguata "lettura" e quindi per svolgere la funzione pubblica perseguita dalla PA mediante la sua tutela.

La finalità perseguita dall’intervento pubblico nel settore in esame, infatti, come solennemente enunciato dall’art. 1 del D.Lgs. 2212004 n. 42 Codice dei beni culturali, consiste nella duplice funzione di "preservare la memoria della comunità nazionale" e "di promuoverne lo sviluppo della cultura".

Ciò comporta, sotto il profilo dell’applicazione del criterio oggetto di contestazione, che, se da un lato deve escludersi che il carattere di "nazionalità" del bene culturale costituisca una condizione imprescindibile affinchè questo possa essere considerato componente del patrimonio culturale nazionale – in quanto la funzione di promozione della cultura con esso perseguita non è limitata solo a quella italiana, ma deve favorire anche la conoscenza di altre culture di cui i beni in questione costituiscano "testimonianza di civiltà" -, tuttavia, dall’altro non si può neppure ritenere comunque compreso nel "patrimonio culturale nazionale" qualunque cosa di interesse storicoartistico per qualsiasi motivo presente nel territorio dello Stato, come pretenderebbe la ricorrente. Questi, per essere ritenuti elementi costituivi e parte imprescindibile del predetto "patrimonio", debbono presentare caratteri tali da rispondere alle funzioni sopra ricordate, in quanto il bene oggetto di tutela non è tanto la cosa in sé quanto piuttosto il valore culturale che questa rappresenta in quanto "testimonianza materiale di civiltà" e come "strumento" per la formazione e la crescita culturale della Comunità.

Ne consegue che l’esigenza di comprendere nel "patrimonio culturale nazionale" anche beni culturali di diversa provenienza va commisurata – secondo un giudizio che è necessariamente comparativo come sopra ricordato – alla predetta funzione sicchè si deve assicurare la presenza sul territorio nazionale di tali beni in misura sufficiente, sotto il profilo quantitativo, ed adeguatamente rappresentativa, sotto il profilo qualitativo della significatività dell’oggetto, in modo da consentire, anche in Patria, l’approfondimento della conoscenza delle civiltà straniere di cui sono testimonianza. Le relative decisioni dell’autorità amministrativa sono, com’è noto, frutto di una valutazione tecnicodiscrezionale, che implica anche una componente di discrezionalità amministrativa, che varia nel tempo, anche in considerazione dell’esigenza di approfondire i legami con diverse civiltà straniere che muta a seconda dei diversi momenti storici.

Con ciò ovviamente non si intende né sostenere una visione "nazionalistica" dell’arte né negare il carattere "universale" dell’arte, essendo noto anche all’uomo di media cultura che i capolavori dell’impressionismo fanno parte dell’identità culturale dell’uomo moderno e che i capolavori dell’arte antica hanno valore identitario per l’uomo occidentale, ma solo evidenziare l’ovvia considerazione che, nella valutazione comparativa (che in quanto tale si fonda su un concetto di "utilità marginale" di un’unità aggiuntiva rispetto a quelle già possedute) – com’è quella che deve essere effettuata al fine di decidere l’esportabilità di un dipinto, un conto è la perdita di un ulteriore ritratto di Boldini ed un conto di un’ulteriore Ninfea di Monet. Né tanto meno ignorare la possibile pluriappartenenza di un’opera a più culture contemporaneamente, ben potendo lo stesso quadro – ad esempio un paesaggio di Giotto – rivestire fortissimo valore identitario sia per l’ente locale in cui la scena si svolge o da cui l’artista proviene, sia lo Stato di appartenenza di questo, sia per la Nazione con cui l’opera abbia un valore particolare in virtù di un’acquisizione storicizzata, sia per l’Umanità intera.

Ma tali considerazioni appunto inducono a confermare la natura ed il carattere delle relative scelte in quanto attengono all’individuazione della dimensione "territoriale" rilevante dell’interesse culturale e quindi mutabili nel tempo, soprattutto con riguardo alle opere della contemporaneità, e della "politica culturale" di cui sono espressione, che per quanto "aperta ad altre culture" non può comportare il disconoscimento del valore preminente dell’elemento identitario in questione. In altri termini, sembra ovvio che per quanto una maschera africana possa far parte della cultura universale e debba essere rappresentata nelle collezioni pubbliche italiane, non è necessaria la presenza di tanti esemplari quante sono le tribù africane, con l’altrettanto ovvia precisazione che il giudizio sulla sufficienza e rappresentatività degli esemplari è frutto di valutazioni, come si è detto, riservate all’Autorità amministrativa competente; insindacabili dal giudice amministrativo salvo i limiti soprarichiamati.

Le considerazioni richiamate in merito alla funzione, alla natura ed ai caratteri dell’azione amministrativa nel settore hanno perciò immediato rilievo anche sul piano delle modalità di perseguimento di queste.

In applicazione dei predetti criteri della rarità dell’opera e della sua rappresentatività come testimonianza di altre culture, indicati dalle lettere a) ed f) del primo gruppo e c) del secondo gruppo, l’autorità competente può infatti riconoscere che l’oggetto avente valore di "testimonianza di civiltà" diversa da quella nazionale non costituisca un elemento fondamentale del predetto "patrimonio nazionale" in quanto adeguatamente rappresentato da oggetti analoghi che siano in esso già inclusi – oppure, al contrario, può riconoscerne l’imprescindibilità in quanto unico pezzo mancante di una collezione.

Ad esempio, appare evidente che se l’ascrizione al patrimonio culturale nazionale dell’ennesimo dipinto del Canaletto o del Vanvitelli (Van Wittel) può essere giustificata in quanto il predetto organo consultivo consideri di particolare valore identitario la veduta o il soggetto rappresentato – criterio considerato sub c) – e quindi possa ritenere rilevante anche la rappresentazione dello stesso luogo da diverso punto di vista (ad es. Castel Sant’Angelo visto dalla Piazza dei Fiorentini o da Sud), a diverse conclusioni il predetto organo può addivenire per quanto riguarda l’ennesima rappresentazione di ninfee di Monet di cui l’autorità competente in materia può ritenere sufficienti gli esemplari già presenti nelle collezioni pubbliche italiane.

Simili valutazioni in merito alla rarità dell’opera, della sua rappresentatività in termini di testimonianza di altre culture ed alla sua significatività per la formazione culturale della Comunità nazionale costituiscono, ovviamente, giudizi di valore non sindacabili in questa sede di legittimità, se non sotto il profilo dell’eccesso di potere, inteso sia nelle forme tradizionali sia in quelle evolute dei canoni di ragionevolezza e proporzionalità dell’azione amministrativa. Tanto più nel caso in cui la decisione sottoposta al sindacato di legittimità del giudice amministrativo riguardi valutazioni effettuate in occasione della richiesta di trasferimento all’estero di un bene che assuma un rilevantissimo valore identitario per un altro Paese e quindi comporti una valutazione comparativa degli interessi in gioco, in cui l’Autorità competente può anche ritenere prevalente, rispetto all’interesse al trattenimento forzoso di un "bell’oggetto" che sia per caso presente all’interno dello Stato, l’esigenza di una sua rilocalizzazione nello Stato di "appartenenza culturale" per il quale abbia forte valore identitario (anche l’interesse all’identità culturale nazionale dello Stato richiedente va comunque considerato trattandosi di valori fondanti riconosciuti di natura costituzionale anche a livello comunitario).

Al riguardo va peraltro ricordato che la "causa" che giustifica il trattenimento di un bene culturale all’interno del Paese non attiene alla protezione dell’opera in sé considerata, quanto alla possibilità – ipotetica ed astratta – di assicurarne in futuro la fruizione sul proprio territorio, nel caso di un eventuale, futuro intervento dello Stato volto all’acquisto di tale bene, condizione che potrebbe magari mai avverarsi; fruizione che, com’è noto, non è assicurata dalla mera presenza dell’opera sul territorio nazionale, in quanto la destinazione a pubblico servizio è limitata, ai sensi degli art. 1, 2 e 3 del Codice, ai soli beni culturali di proprietà pubblica, mentre il bene culturale di proprietà di privati non è destinato alla fruizione collettiva salvo le ipotesi eccezionali tassativamente previste dalla legge.

In tale prospettiva va perciò scrutinata la legittimità dell’impugnato provvedimento di revisione del vincolo.

Risulta incontesato che la Commode in contestazione, realizzata per Luigi XV nel 1744 da Antoine Robert Gaudreaus per il proprio appartamento privato nel Castello di Choisy, ha fatto parte degli arredi di corte fino alla Rivoluzione e poi è stata esportata in Egitto al seguito del successivi proprietari fino a pervenire in Italia nel 1962 come parte del mobilio di privato della Sig.ra Finney, in coppia con analoga Commode, entrambe, alla sua morte nel 1983, devolute all’omonima fondazione per la tutela degli anziani. Entrambe le Commode furono assoggettate a vincolo imposto rispettivamente con decreto n. 100689 e n. 100690 del 7.1.1986, e messe in vendita dalla casa d’aste Semenzato, che all’asta del 4.3.1987 aggiudicava una ad un privato e l’altra al Sig. Edmund Safra. Alla morte di questi, nel 2006 passava alla fondazione contro interessata e, come chiarito negli scritti difensivi di questa, non è mai stata esposta al pubblico né ne è stata richiesta la visione da parte di studiosi.

Alla luce delle circostanze incontestate sopra richiamate, appare evidente che l’operato del Comitato tecnico scientifico, nel ritenere insussistente un legame particolare del mobile con il nostro Paese significativo al punto da considerarlo componente del nostro Patrimonio Culturale in virtù di un" "acquisizione storicizzata" appare immune da errori di fatto o vizi logici, non essendo inficiato dalla diversa opinione espressa al riguardo dall’Associazione ricorrente secondo cui a tal fine sarebbe presente la mera presenza del mobile in Italia dal 1962.

Come sopra ricordato, peraltro, nel 1962 la Commode era pervenuta in Italia in coppia con analoga, ugualmente assoggettata a vincolo con decreto del 7.1.1986, ed aggiudicata all’asta del 4.3.1987 ad un privato; circostanza che assume particolare rilievo sotto il profilo dei criteri del 1974, in particolare quello indicato alla lett. f).

Per quanto riguarda invece il profilo dell’importanza sotto il profilo storico, è appena il caso di rilevare che, come ricordato dalla stessa Amministrazione, a seguito del matrimonio tra la figlia di Luigi XV e Filippo di Borbone, duca di Parma non è stato importato in Italia il mobile in questione – circostanza che avrebbe portato a ritenere il pregiato pezzo come testimonianza storicamente significativa dell’evento storico indicato -, bensì una Commode di analogo stile collocata nella Reggia di Colorno e poi al Palazzo del Quirinale.

Quest’ultima circostanza, nonché l’influenza del pregiato pezzo di ebanisteria su un particolare "stile provinciale" italiano, è stata oggetto di attente considerazioni da parte del Comitato Tecnicoscientifico, che si è espresso dopo aver acquisito e confrontato le diverse posizioni di autorevoli esponenti della Comunità scientifica ed esperti ministeriali che si sono pronunciati sul "giudizio di valore" da esprimere sulla Commode sia sotto il profilo intrinseco del suo pregio sia sotto il profilo della rappresentatività quale esemplare di una produzione aulica di cui si conoscono altre testimonianze con particolare riferimento proprio a quelle del Quirinale che hanno costituito oggetto di specifico studio di alcuni degli esperti consultati.

Il provvedimento di rimozione del vincolo in questione, pertanto, appare immune dai vizi di legittimità dedotti in quanto è stato adottato dall’Amministrazione resistente nel rispetto delle regole procedimentali, in conformità al parere espresso dal competente organo tecnico il quale, a seguito di approfondita istruttoria e consultazione con i massimi esperti, in applicazione dei criteri di valutazione indicati nel 1974 ed ha escluso che la Commode in questione possa ritenersi componente del patrimonio culturale nazionale – ritenendo evidentemente sufficiente la presenza sul territorio nazionale sia dell’altro esemplare della coppia di Commode importate dalla Sig.ra Finney sia di analogo esemplare nel Palazzo del Quirinale- in base a delle valutazioni che non possono essere sindacate, nella loro validità sostanziale, in questa sede e che – non essendo ravvisabili nella fattispecie profili di eccesso di potere e non essendo il giudizio valutativo in contestazione stato adottato in base a criteri di valutazione inattendibili ovvero basato su errori di fatto essenziali, né palesemente "erroneo" o illogico o irragionevole nelle conclusioni – e non è certo inficiata dalla diversa opinione espressa, al riguardo, dall’Associazione ricorrente.

Al riguardo, peraltro, al Collegio pare opportuno osservare – incidenter tantum – che appare tutt’altro che discutibile la decisione dell’Amministrazione resistente, che non ha ravvisato giusta "causa" che giustificasse il forzoso trattenimento all’interno del Paese della Commode, richiesta da un Paese per il quale la Commode ha un particolare valore identitario – come testimoniato dalla richiesta del Direttore del Louvre, che nel 1984 aveva sollecitato il rientro in Francia del mobile in questione al fine di destinarlo ad un’esposizione permanente nel Museo di Versailles; questione che ha costituito oggetto di colloquio tra l’Ambasciatore di Francia ed il Presidente della Repubblica Italiana.

Si tratta di valutazioni riservate alla PA, che non comportano alcun pregiudizio dell’interesse pubblico perseguito, atteso che, vista anche la vicinanza della sede museale, qualunque visitatore italiano potrà ben apprezzare il pregiato pezzo di ebanisteria nel suo contesto naturale, inserito nell’ambiente di provenienza ed esposto alla vista di qualunque avventore, rispetto all’alternativa di trattenere lo stesso pezzo forzatamente in Italia, ma sottratto alla pubblica fruizione e visionabile semmai solo in virtù di eventuale, e non dovuta, "graziosa concessione" del proprietario a studiosi di suo gradimento.

In conclusione, il ricorso va respinto in quanto infondato.

Sussistono giuste ragioni, vista la particolare complessità della controversia, per compensare integralmente tra le parti le spese di giudizio.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio – Sezione II quater, respinge il ricorso in epigrafe.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *