Cass. civ. Sez. V, Sent., 15-06-2011, n. 13068 Redditi d’impresa

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

A seguito di verifica compiuta dalla Guardia di Finanza erano emessi nei confronti della società Lo Scoglio del F.lli Natale & c. s.n.c. quattro avvisi di rettifica, di cui due relativi a rideterminazione del volume di affari per l’anno 1995 con riprese a tassazione a fini ILOR ed IVA per lo stesso anno, e due relativi ad accertamento di maggiori ricavi per l’anno 1996, con conseguente recupero di IVA ed applicazione di interessi e sanzioni. Tutti gli avvisi erano impugnati dalla società contribuente innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Latina, che con distinte sentenze riteneva valido il metodo di accertamento adottato dall’ufficio ma, in parziale accoglimento dei ricorsi, rideterminava in ammontare inferiore i volumi di affari indicati negli accertamenti.

Proponeva appello la società e la Commissione Tributaria Regionale del Lazio, con sentenza n. 2/40/05, in data 14-1-05, depositata il 28- 1-05, riunite tutte le cause, accoglieva i gravami ed annullava gli atti impositivi. Avverso la sentenza propongono ricorso, con sei motivi, il Ministero della Economia e delle Finanze e la Agenzia delle Entrate. La società non svolge attività difensiva.
Motivi della decisione

Preliminarmente, va rilevata la inammissibilità del ricorso proposto dal Ministero della Economia e della Finanze: nel caso di specie al giudizio innanzi la Commissione Regionale ha partecipato l’ufficio periferico di Latina della Agenzia delle Entrate successore a titolo particolare del Ministero, ed il contraddittorio è stato accettato dal contribuente senza sollevare alcuna eccezione sulla mancata partecipazione del Ministero, che così risulta, come costantemente ha rilevato la giurisprudenza di questa Corte, (ex plurimis v. Cass. n. 3557/2005) estromesso implicitamente dal giudizio, con la conseguenza che la legittimazione a proporre ricorso per cassazione sussisteva unicamente in capo alla Agenzia. Nulla per le spese per la mancata costituzione del contribuente. Sempre in via preliminare, si rileva che la causa conseguente all’atto impositivo n. (OMISSIS) concerne l’accertamento di reddito valutato a fini ILOR nel 1995 nei confronti della società ed a fini IRPEF nei confronti dei singoli soci, e che al giudizio ha partecipato esclusivamente la società.

Al riguardo, deve essere riaffermato il seguente principio di diritto: "la unitarietà dell’accertamento che è (o deve essere) alla base della rettifica delle dichiarazioni dei redditi delle società ed associazioni di cui all’art. 5 cit. TUIR e dei soci delle stesse ( D.P.R. n. 600 del 1973, art. 40) e la conseguente automatica imputazione dei redditi a ciascun socio proporzionalmente alla quota di partecipazione agli utili, indipendentemente dalla percezione degli stessi, comporta che il ricorso proposto da uno dei soci o dalla società anche avverso un solo avviso di rettifica, riguarda inscindibilmente la società ed i soci, (salvo che questi prospettino questioni personali) i quali tutti devono essere parte nello stesso processo, e la controversia non può essere decisa limitatamente ad alcuni soltanto di essi, ( D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14, comma 1) perchè non ha ad oggetto la singola posizione debitoria dei ricorrenti, bensì la posizione inscindibilmente comune a tutti i debitori rispetto alla obbligazione dedotta nell’atto autoritativo impugnato, cioè gli elementi comuni della fattispecie costitutiva della obbligazione (Cass, SS.UU. 1052/2007); trattasi pertanto di fattispecie di litisconsorzio necessario originario, con la conseguenza che il ricorso proposto anche da uno soltanto dei soggetti interessati destinatario di un atto impositivo, apre la strada al giudizio necessariamente collettivo ed il giudice adito in primo grado deve ordinare la integrazione del contraddittorio (a meno che non si possa disporre la riunione dei ricorsi proposti separatamente, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 29); il giudizio celebrato senza la partecipazione di tutti i litisconsorzi necessari è nullo per violazione del contraddittorio di cui all’art. 101 c.p.c. ed art. 111 Cost., comma 2, e trattasi di nullità che può e deve essere rilevata in ogni stato e grado del procedimento, anche di ufficio" (Cass. SS.UU. 14815 del 2008). Dato che nel caso di specie il giudizio è stato celebrato senza che fosse disposta la integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti i litisconsorti necessari, il ricorso deve essere accolto, in quanto l’intero rapporto processuale si è sviluppato in violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14; devono quindi essere cassate le decisioni impugnate (quella di primo grado, e per la causa relativa, quella di secondo grado) e la causa deve essere rinviata alla Commissione Tributaria Provinciale adita, per la celebrazione del giudizio di primo grado. Il giudice di rinvio dovrà disporre la integrazione del contraddittorio, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14.

La causa concernente l’avviso di rettifica IVA per il 1995, conseguente all’atto impositivo n. (OMISSIS) segue la stessa sorte, nonostante non abbia riflessi diretti sui soci, in quanto è fondata sul medesimo accertamento reddituale rilevante a fini ILOR ed IRPEF che dovrà essere riesaminato in primo grado con contraddittorio completo.

Con riferimento agli accertamenti relativi al 1996, con il primo motivo la Agenzia deduce violazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 5 dell’art. 2697 c.c. ed insufficiente motivazione in quanto la Commissione aveva escluso la sussistenza dell’elemento soggettivo nell’illecito tributario, con riferimento alla applicazione delle sanzioni, in quanto le violazioni contabili da cui erano derivate erano proprie del professionista a cui aveva demandato il compimento delle attività senza che fosse imputabile negligenza alcuna al contribuente, operando una inversione dell’onere della prova in ordine alla assenza di colpa, ponendola a carico dell’Ufficio anzichè del contribuente, ed inoltre non aveva considerato una circostanza decisiva emergente dagli atti e segnalata dall’Ufficio, ovvero che la parte aveva dichiarato ai verbalizzanti che la tenutaria dei registri contabili aveva più volte affermato di non avere ricevuto tutte le scritture dal precedente studio associato "Piccinni – Buttinelli" incaricato precedente; con il che veniva conclamata la "culpa in vigilando" dalla parte stessa.

Con il secondo motivo deduce violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14 ex art. 360 c.p.c., n. 4, in quanto, relativamente all’accertamento parziale di IVA per il 1996 n. RG 802859, fondato su accertamenti bancari, l’appello del contribuente era generico in quanto non censurava il punto relativo a detti accertamenti e pertanto era privo di specificità. Con il terzo motivo in via subordinata deduce violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51 ed insufficiente motivazione in quanto la Commissione aveva accolto il gravame senza prendere in considerazione le risultanze bancarie nè indicare prove addotte dal contribuente per contestare l’accertamento.

Con il quarto motivo deduce violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 53 e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 in quanto la Commissione aveva affermato erroneamente che il ricorso all’accertamento induttivo aveva un carattere sanzionatorio.

Con il quinto deduce violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 53 e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 degli artt. 2697, 2727, 2729 c.c. e vizio di motivazione in quanto aveva ritenuto che il criterio adottato dall’Ufficio per stabilire in via induttiva il numero dei pasti serviti nel ristorante basato sul numero dei tovaglioli emergenti dalle ricevute di lavanderia (ogni tovagliolo un pasto) era inattendibile in sè, ed inoltre aveva ritenuto che l’onere della prova gravante sull’Ufficio dovesse avere il grado di certezza in luogo della elevata probabilità ed aveva accolto le tesi della contribuente senza specificare gli elemento probatori a sostegno.

Infine aveva omesso di valutare circostanze di fatto che corroboravano le tesi dell’Ufficio, come le disponibilità di tovaglioli di carta che riducevano il numero di scarti ipotizzabili, ed altresì aveva dichiarato inattendibile la media aritmetica seguita dall’Ufficio affermando la necessità di media ponderata senza spiegarne il motivo.

Con il sesto motivo di ricorso sostiene violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7 in quanto la CTR qualora avesse ritenuto incongruo il valore accertato dalla Amministrazione non avrebbe dovuto limitarsi ad annullare gli avvisi ma avrebbe dovuto procedere ad una rideterminazione del valore operando una propria valutgazione.

Il primo motivo è fondato sotto il profilo del difetto di motivazione, infatti noto che in tema di sanzioni amministrativa per violazione di norme tributarie, ai fini della affermazione della responsabilità del contribuente ai sensi del D.Lgs n. 472 del 1997, art. 5 occorre che la azione o la omissione causativa della violazione sia volontaria, ossia compiuta con coscienza e volontà, e colpevole, ossia compiuta con dolo o negligenza (v. Cass. n. 27448 del 2008) e che la prova della assenza di colpa grava sul contribuente (v. Cass. n. 22890 del 2006), sicchè va esclusa la rilevabilità di ufficio di una presunta carenza dell’elemento soggettivo, sotto il profilo della mancanza assoluta di colpa. La Commissione ha tuttavia ritenuto raggiunta tale prova sul rilievo che l’atteggiamento fraudolento del professionista incaricato era stato rilevato dalla Guardia di Finanza, e della azione di responsabilità proposta dai soci nei confronti di costui, concludendo che questi avevano usato tutta la attenzione possibile.

Tale conclusione in fatto, in sè accettabile sotto il principio del rispetto dell’onere della prova, è tuttavia inficiata dalla mancata considerazione del rilievo che l’Ufficio, nel rispetto del principio della autosufficienza , ha provato di avere svolto nella deduzioni in appello, secondo cui la parte (ovvero il legale rappresentante della società,) aveva dichiarato ai verbalizzanti di essere stato più volte informato dal professionista incaricato che egli non disponeva di parte della contabilità, non consegnata dal professionista precedente.

Tale asserzione, implicando, ove fondata, una negligenza o "culpa in eligendo" della parte, doveva essere confutata, e comunque presa in considerazione, con valutazione in primo luogo della fondatezza, e quindi della attendibilità e del significato della circostanza evidenziata. Il secondo motivo è infondato, in quanto se la parte in appello non aveva censurato la rilevanza dell’accertamento sui conti bancari la conclusione non è nel senso della inammissibilità dell’appello per carenza di specificità dei motivi, ma la formazione di un giudicato interno, il cui mancato rilievo da parte della Commissione doveva formare oggetto di specifico motivo di impugnazione.

Il terzo subordinato motivo è inammissibile per quanto sopra anticipato, in quanto la omessa valutazione da parte della Commissione della questione della rilevanza degli accertamenti bancari doveva essere censurata non sotto il profilo della violazione di legge ma come omessa pronuncia ai sensi dell’art. 112 c.p.c. in ordine alle deduzioni dell’Ufficio in appello. Il quarto motivo è inammissibile per carenza di rilievo, in quanto dalla erroneità del termine usato dalla Commissione non è derivata alcuna conseguenza pratica, avendo la Commissione ammesso la legittimità del ricorso all’accertamento induttivo. Il quinto motivo non è fondato.

Il principio assodato che l’apprezzamento della sussistenza del requisito della gravità precisione e concordanza degli indizi posti a fondamento dell’accertamento attiene alla valutazione dei mezzi di prova, rimessa in via esclusiva al giudice del merito, salvo lo scrutinio riguardo alla congruità della relativa motivazione (v.

Cass. n, 1715 del 2007). Nella specie, non è in discussione la validità teorica dell’utilizzo del criterio del numero dei tovaglioli , ma è ovvio che se l’esito del metodo adottato confligge con le possibilità teoriche di servizio dell’esercizio commerciale, viene meno la attendibilità nel suo complesso della metodologia di accertamento, e ciò attiene alla prova a carico dell’Ufficio, in quanto solo a seguito della valutazione di sufficienza della medesima f onere di prova contraria si trasferisce sul contribuente. Nel caso in questione, la Commissione , con valutazione di merito non censurata in sè dall’Ufficio sotto il profilo della correttezza e congruità, ha constatato che l’esito dell’accertamento anche con le limitazioni apportate dal giudice di primo grado, portava a presupporre il raddoppio delle possibilità teoriche di somministrazione pasti da parte dell’esercizio considerato e che tale fatto da solo rendeva inattendibile il calcolo dell’Ufficio. Ha inoltre osservato che occorreva fare riferimento alla media ponderata e non aritmetica sulla base del rilievo, in sè non illogico, che un pasto non è uguale all’altro e ciò influisce sugli incassi. Tali statuizioni pertanto sfuggono a censura in sede di legittimità. Il sesto motivo è fondato.

Infatti, il processo tributario è a cognizione piena e tende all’accertamento sostanziale del rapporto controverso, con la conseguenza che solo quando l’atto di accertamento sia affetto da vizi formali a tal punto gravi da impedire l’identificazione dei presupposti impositivi e precludere l’esame del merito del rapporto tributario – come nel caso in cui vi sia difetto assoluto o totale carenza di motivazione – il giudizio deve concludersi con una pronuncia di semplice invalidazione, ostandovi altrimenti il principio di economia dei mezzi processuali, che consente al giudice di avvalersi dei propri poteri valutativi ed estimativi ai fini della decisione e, in forza dei poteri istruttori attribuiti dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 7 di acquisire "aliunde" i relativi elementi, prescindendo dagli accertamenti dell’Ufficio e sostituendo la propria valutazione a quella operata dallo stesso. (Cass. n. 21446 del 2009).

Ne consegue che la Commissione, che non ha ritenuto la illegittimità in se della pretesa fiscale, me solo della sua applicazione concreta sotto il profilo dell’ammontare del reddito evaso, doveva procedere a riformare la sentenza di primo grado modificando la decisione del primo giudice sulla base dei parametri ritenti corretti, se del caso facendo ricorso ai poteri istruttori di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7.

La sentenza deve quindi essere cassata in relazione ai motivi accolti e rinviata per nuovo esame a diversa sezione della Commissione Tributaria Regionale del Lazio, che provvederà anche sulle spese di questa fase di legittimità.
P.Q.M.

LA CORTE dichiara inammissibile il ricorso del Ministero. Pronunciando sul ricorso della Agenzia, con riferimento agli atti di accertamento n. (OMISSIS), annulla la sentenza impugnata, quella di primo grado e l’intero giudizio e rimette gli atti alla Commissione Tributaria Provinciale di Latina. Compensa per intero le spese tra le parti. Sugli altri accertamenti, accoglie il primo ed il sesto motivo di ricorso della Agenzia, rigetta gli altri. Cassa in relazione ai motivi accolti la sentenza impugnata, e rinvia anche per le spese a diversa sezione della Commissione Tributaria Regionale del Lazio.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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