Cass. civ. Sez. V, Sent., 15-06-2011, n. 13061 Accertamento Dichiarazione Ricavi, plusvalenze, sopravvenienze attive

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Ministero dell’economia e delle finanze e l’agenzia delle entrate impugnano, con due motivi, la sentenza n. 102/4/04 della commissione tributaria regionale delle Marche del 19.10.2004, con cui veniva rigettato l’appello proposto dalla seconda avverso la decisione di primo grado, che aveva annullato l’avviso di rettifica della dichiarazione Iva per il 1995 da parte dell’ufficio nei confronti di L.G., che gestiva un’azienda agrituristica.

La contribuente non si è costituita.
Motivi della decisione

Preliminarmente va rilevato che il Ministero non era stato parte nel giudizio di secondo grado, e perciò non poteva impugnare la sentenza del giudice di appello; pertanto il ricorso proposto anche da esso va dichiarato inammissibile.

Invero in tema di contenzioso tributario, una volta che l’appello avverso la sentenza della commissione provinciale era stato proposto soltanto dall’ufficio periferico dell’Agenzia delle entrate, succeduta a titolo particolare nel diritto controverso al Ministero delle finanze nel corso del giudizio di primo grado, e la società contribuente aveva accettato il contraddittorio nei confronti del solo nuovo soggetto processuale, il relativo rapporto si svolgeva soltanto nei confronti dell’agenzia delle entrate, cne ha personalità giuridica ai sensi del D.Lgs. n. 330 del 1999, e che era divenuta operativa dall’1.1.2001 a norma del D.M. 28 dicembre 2000, senza che il dante causa Ministero delle finanze fosse stato evocato in giudizio, l’unico soggetto legittimato a proporre ricorso per cassazione avverso la sentenza della commissione tributaria regionale allora era solamente l’agenzia delle entrate. Pertanto il ricorso proposto dal Ministero deve essere dichiarato inammissibile per difetto di legittimazione (V. pure Cass. Sentenze n. 18394 del 2004, n. 19072 del 2003).

1) Col primo motivo la ricorrente agenzia denunzia violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 2, e art. 2729 c.c., giacchè la CTR non considerava che l’accertamento era scaturito dalla verifica della Guardia di finanza, che aveva riscontrato l’esistenza di una contabilità in nero, costituita dall’agenda tenuta dal figlio della titolare dell’azienda, e che perciò faceva scattare la prova presuntiva di maggiori ricavi, i quali costituivano il presupposto per il metodo analitico – induttivo seguito per l’accertamento, e ciò a prescinderò dall’esattezza o meno delle cifre riportate dai verificatori, il cui errore era dovuto alle correzioni e cancellature riscontrate nell’elenco di sinistra dell’agenda stessa, senza che ciò infirmare la fondatezza dell’accertamento medesimo.

Il motivo è fondato. La CTR osservava che la verifica si basava su quel documento, che veniva tenuto in modo confusionario, e perciò a sua volta non costituiva fondamento attendibile per la rettifica operata. L’assunto non è esatto, dal momento che si trattava comunque di contabilità parallela in nero, e che perciò faceva scattare la prova presuntiva mediante l’accertamento induttivo a carico della verificata, che poteva semmai solo fornire quella contraria a sostegno della propria contestazione, con conseguente spostamento dell’onere della prova sulla contribuente, che però non l’aveva assolto. Va premesso che il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, consente all’Amministrazione finanziaria la rettifica analitico – induttiva della dichiarazione presentata dalla contribuente, sulla base dei dati e degli elementi desumibili dalle scritture contabili di questa, solo se ed in quanto esse fossero state regolarmente tenute, ovvero presentassero vizi formali di modesta entità, in guisa tale che le loro stesse risultanze fossero idonee a fondare presunzioni semplici, purchè gravi, precise e concordanti, dell’inesattezza della dichiarazione stessa ed il conseguente potere di rettifica che ne risultava giustificato attraverso la motivazione delle singole poste aggiunte o corrette (V. pure Cass. Sentenze n. 1628 del 1995, n. 10850 del 1994, n. 4307 del 08/04/1992).

Sul punto perciò la sentenza impugnata non risulta motivata in modo giuridicamente corretto.

2)Col secondo motivo la ricorrente deduce violazione dell’art. 112 c.p.c., D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 2, 7 e 36, con riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, in quanto il giudice di merito non considerava che con l’appello l’amministrazione insisteva sull’esattezza del metodo seguito, sicchè, anche se chiedeva la conferma della rettifica, pur riconoscendo l’errore di calcolo dell’imponibile non contabilizzato, tuttavia era implicito che la pretesa fiscale veniva di riflesso ridimensionata, e quindi il giudice di appello doveva decidere il merito, tenuto conto delle cancellature riportate nella colonna di sinistra dell’agenda requisita al figlio della contribuente, e che avevano indotto la polizia tributaria in errore di calcolo.

La censura va condivisa. La CTR rilevava che la diversa lettura dei dati dell’agenda come riportati nel processo verbale e poi nella rettifica, ed inoltre la richiesta di conferma di essa nonostante il riconoscimento del minore importo dell’imponibile da parte dell’agenzia non potevano fare accogliere l’appello senza incorrere nel vizio di estrapetizione. L’assunto non è esatto. Posto che la commissione investita dell’appello rilevava l’errore di calcolo rispetto ai dati indicati nell’agenda, allora doveva stabilire essa stessa l’ammontare di quanto era stato sottratto a tassazione sulla base dei dati a sua disposizione, essendo appunto giudice del merito, sulla scorta anche di quanto preteso eventualmente in più dalla parte pubblica con l’atto impositivo, ben potendo semmai determinare un imponibile d’importo inferiore. Invero in tema di contenzioso tributario, il giudice – in relazione alla natura del processo tributario, annoverabile tra quelli cosiddetti di impugnazione-merito – può quantificare il debito fiscale scendendo nel merito della pretesa tributaria, allorquando quest’ultima sia parzialmente infondata, come nella specie, ma non quando l’atto impositivo che la rappresenta sia viziato da radicale nullità (V. pure Cass. Sentenze n. 13868 del 09/06/2010, n. 25376 del 2008).

Ne deriva che il ricorso dell’agenzia va accolto, con conseguente cassazione della decisione impugnata, con rinvio al giudice "a quo", altra sezione, per nuovo esame, e che si uniformerà ai suindicati principi di diritto.

Quanto alle spese dell’intero giudizio, non va emessa alcuna pronuncia in ordine a quelle inerenti al rapporto tra il Ministero e la contribuente in relazione al giudizio di legittimità mentre per il resto esse saranno regolate dal giudice del rinvio stesso.
P.Q.M.

LA CORTE Dichiara inammissibile il ricorso del Ministero; accoglie quello dell’agenzia; cassa la sentenza impugnata, e rinvia, anche per le spese, alla commissione tributaria regionale delle Marche, altra sezione, per nuovo esame.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *