Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 10-03-2011) 28-03-2011, n. 12420 Abuso di ufficio

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. con sentenza del 17.2.2008-23.1.2009 la Corte d’appello di Palermo, in accoglimento dell’impugnazione del pubblico ministero, dichiarava G.E., già sindaco di (OMISSIS), responsabile del reato di abuso d’ufficio dal quale era stato assolto, perchè il fatto non costituisce reato per mancanza di dolo, dal Tribunale di Trapani, il 12.2.2008.

Il fatto per il quale si procede si colloca nel (OMISSIS) quando E., pacificamente senza rispettare la competenza della giunta comunale e provvedendo solo oralmente, aveva autorizzato la cooperativa La Mattanza arl (ente di diritto privato esercente attività di pesca del tonno con finalità di privato lucro e profitto) ad usufruire di un immobile del demanio statale, che il Comune aveva in locazione dall’Agenzia del Demanio (con ciò realizzando anche una non consentita sublocazione demaniale), per il deposito delle reti da pesca (circa ottanta chilometri di reti d’acciaio, trecentomila metri quadrati di rete e tremila galleggianti), senza il pagamento di alcun corrispettivo. Il tutto si era protratto per 16/17 mesi.

Secondo il Tribunale, pacifica la violazione di legge, tuttavia il sindaco avrebbe agito per fronteggiare un’emergenza (era venuto meno l’accordo tra la Cooperativa e il proprietario del deposito dove in precedenza le reti venivano custodite, che comportava un esborso di circa 30.000 Euro ogni tre mesi di locazione) e per salvaguardare sia il costoso materiale che le esigenze turistiche e igienico sanitarie (il materiale era stato stoccato in paese, sul (OMISSIS)), utilizzando oltretutto un immobile in sostanziale disuso. In particolare la Corte d’appello riproduceva alle pagine da 6 ad 8 le argomentazioni con le quali il primo Giudice aveva spiegato di ravvisare nell’azione dell’imputato l’intento di soddisfare in via primaria un interesse pubblico, mancando così il dolo di abuso, avendo il sindaco adottato, pur con violazione di legge, un provvedimento necessario, e mancando la prova che egli avesse inteso perseguire in via principale un fine privato.

Dopo aver dato ampio conto dei motivi d’appello, la Corte distrettuale ha argomentato l’accoglimento dell’impugnazione evidenziando, in sintesi, che il Tribunale aveva recepito la prospettazione difensiva senza confrontarsi con dati obiettivi che invece fondavano la ricostruzione in termini di specifica volontà di recare un vantaggio di natura patrimoniale alla Cooperativa anche nella piena consapevolezza dell’illegittimità della propria azione, quale il protrarsi della situazione per circa sedici mesi in assenza di alcuna sua formalizzazione, nonostante la conoscenza del canone che per quell’immobile il Comune corrispondeva al demanio militare e del vantaggio economico che contemporaneamente veniva recato a soggetto privato che operava per finalità di lucro. Secondo la Corte doveva pertanto escludersi che il sindaco avesse agito per finalità prevalentemente pubbliche, rispetto alle quali l’interesse privato della Cooperativa scemasse a mero intento coincidente, mentre i termini della questione non mutavano per il fatto che la contestazione riguardasse il solo mese di luglio e pertanto una "perdita" per il Comune di scarso rilievo, tenuto conto che dallo stesso esame dell’imputato doveva evincersi che questi aveva in effetti inteso erogare una sorta di contributo all’ente privato, come già accaduto in passato da parte della stessa Pubblica amministrazione, e che tale finalità veniva corroborata dall’inerzia successiva, anche dopo che ad opera del Comando della polizia municipale e della commissione comunale dei lavori pubblici era stata segnalata l’anomalìa della situazione.

2. Il ricorso personale dell’imputato si articola su tre motivi:

– inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 323 c.p. con riferimento alla ritenuta sussistenza del dolo intenzionale ed alla violazione dello statuto comunale, perchè pur "non iure" la condotta contestata non avrebbe procurato alcun ingiusto vantaggio nè esso sarebbe stato intenzionalmente voluto, perchè – come giudicato dal Tribunale – E. avrebbe agito solo per eliminare la situazione di oggettiva pericolosità, per la sanità e l’incolumità pubblica, data dalla presenza delle reti e delle attrezzature in periodo di afflusso turistico, in un contesto in cui sarebbero mancate soluzioni alternative difettando altri siti idonei e, comunque sarebbe mancata l’intenzionale volontà di arrecare un vantaggio al private- violazione di legge e vizi di motivazione per "travisamento del fatto" ed "errata valutazione delle prove", perchè impropriamente la Corte distrettuale avrebbe tratto dal successivo protrarsi della vicenda elemento per valutare diversamente dal Tribunale lo stato di emergenza che nel mese di (OMISSIS) era presente; corretto sarebbe stato l’apprezzamento delle testimonianze sul punto evidenziate dal Tribunale, contraddittorio invece essendo l’assunto della Corte palermitana che ha dato maggior rilievo all’aspetto afferente il canone rispetto a quello della sicurezza e dell’ordine pubblico;

– violazione di legge in relazione agli artt. 522 e 516 c.p.p. per l’erroneo mutamento del fatto oggetto della contestazione, con riferimento alla condotta di danno mai contestata ed a periodo temporale non oggetto di contraddittorio, perchè la Corte d’appello avrebbe dovuto limitare la propria valutazione alla situazione esistente nel mese di (OMISSIS), unico contestato, senza oltretutto introdurre un aspetto – quello del danno per la mancata corresponsione di alcun canone – del tutto estraneo alla contestazione originaria.

2.1 Il ricorrente ha depositato memoria contenente anche la sentenza assolutoria della Corte dei Conti Sezione giurisdizionale per la Sicilia, intervenuta nelle more della trattazione del processo penale in appello.

3. Il ricorso deve essere rigettato, con le conseguenze di legge.

3.1 Secondo il costante insegnamento di questa Corte suprema, l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, perchè il sindacato demandato alla Corte di cassazione è limitato a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’intrinseca adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento. Dai poteri della Corte di cassazione esula la "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito. In particolare, non può integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (S.U., Sent. 6402 del 30.4 – 2.7.1997, Dessimone e altri). La Corte di cassazione pertanto non può sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma può, e deve, solo saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione, mediante un raffronto tra l’apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri e diversi modelli di ragionamento mutuati dall’esterno (S.U., sent. 12 del 31.5 – 23.6.2000, Jakani), tra cui ovviamente quelli dedotti dal ricorrente. Ciò, perchè nel momento del controllo della motivazione la Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga la migliore ricostruzione dei fatti, nè deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se la giustificazione contenuta nella sentenza impugnata sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento (Sez. 4, Sent. 4842 del 2.12.2003 – 6.2.2004).

Proprio in ragione di tali limiti, anche l’illogicità della motivazione censurabile a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. E), è solo quella evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile "ictu oculi" (S.U., Sent. 47289 del 24.09 – 10.12.2003, Petrella). Nè la novella codicistica introdotta con la L. n. 46 del 2006, ammettendo l’indagine extratestuale per la rilevazione dell’illogicità e della contraddittorietà della motivazione, ha modificato la natura del sindacato della Corte di cassazione, il cui controllo rimane limitato alla struttura del discorso giustificativo del provvedimento impugnato e non può comportare una diversa lettura del materiale probatorio, anche se plausibile, sicchè, per la rilevazione dei vizi della motivazione, occorre che gli elementi probatori (omessi, inesistenti o travisati) indicati in ricorso siano decisivi e dotati di una forza esplicativa tale da vanificare l’intero ragionamento del giudice del merito (Sez. 3, sent. 37006 del 27 09 – 9.11.2006).

Quando poi, come nella specie, la sentenza d’appello abbia riconosciuto una responsabilità esclusa in primo grado, la verifica di legittimità dovrà estendersi al controllo dell’avvenuto specifico e completo confronto argomentativo del giudice d’appello anche con le ragioni essenziali per le quali il primo giudice era pervenuto a conclusioni differenti (Sez. 6, sent. 22120 del 29.4 – 27.5.2009).

3.2 Ora, l’articolata sentenza della Corte d’appello si sottrae alle censure del ricorso, nell’ambito dei vincolanti limiti sopra esposti.

La Corte palermitana ha dato ampio conto delle argomentazioni assolutorie, trascrivendo letteralmente brani corposi della sentenza di primo grado sui punti determinanti che caratterizzano la causa sul piano logico e giuridico, a fronte di una ricostruzione dei fatti non contrastata nei suoi passaggi essenziali, in particolare quanto alla palese e protratta illegittimità formale della condotta del sindaco, anche accedendo all’ipotesi difensiva dei motivi di necessità ed urgenza.

Ha poi ritenuto sussistente uno specifico vantaggio economico della cooperativa, rappresentato dalla mancata corresponsione di alcun tipo di canone per la pur parziale occupazione della zona di deposito, con un palese miglioramento rispetto alla situazione pregressa di corresponsione a un privato di canone, ancorchè prospettato come esoso (trentamila euro a trimestre, secondo la ricostruzione delle sentenze), che costituiva parametro concorrente a quello del corrispettivo annuo della locazione che il Comune doveva al Demanio.

Quindi ha specificamente argomentato che tale inequivoco consistente e privato vantaggio economico fosse, per stessa ammissione dell’imputato (pag. 18 sentenza d’appello), espressamente perseguito, in via diretta e principale, con la condotta tenuta, quale sorta di "contributo" all’attività della cooperativa, anche per la sua rilevanza sociale.

Quanto al periodo temporale successivo al (OMISSIS), la Corte distrettuale non illogicamente nè arbitrariamente ha valorizzato l’assoluta assenza di alcuna iniziativa del sindaco per procedere alla formalizzazione della situazione di fatto che aveva determinato, da ciò traendo argomento per confermarsi nell’apprezzamento di fatto che fin dall’inizio l’imputato aveva avuto l’intenzione di aiutare la cooperativa, con modalità del tutto illegittime.

Si tratta di un apprezzamento complessivo articolato, attento alle argomentazioni del primo Giudice, sorretto da motivazione tutt’altro che apparente ed immune dai vizi logici soli rilevanti ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. E), rispetto al quale in definitiva i tre motivi di ricorso sollecitano una diversa e, nelle deduzioni difensive conformi alla decisione di primo grado, più adeguata valutazione del complessivo materiale probatorio. Ma questo, per quanto prima ricordato, non è consentito in questa sede di legittimità.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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