T.A.R. Lazio Roma Sez. III quater, Sent., 22-03-2011, n. 2469Equo indennizzo Rapporto di pubblico impiego

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

erbale;
Svolgimento del processo

Il ricorrente è stato dipendente dell’Istituto Nazionale di Statistica dal 23 ottobre 1961 in qualità di ausiliario giornaliero con mansioni di manovalanza e assegnato all’Ufficio Economato, reparto magazzino meccanografico, ove ha prestato servizio fino al 1966. In data 2.2.1966 è stato immesso in ruolo e dal 1967 ha ricoperto l’incarico di usciere cui è seguito un naturale sviluppo di carriera.

Riferisce che nel 1991 è stato colpito da una grave emorragia in ragione della quale fu ricoverato presso il Policlinico Umberto I di Roma e trovato affetto da ulcera duodenale da stress (duodenite erosiva), pancreatite, ipertensione arteriosa.

Con apposita domanda presentata in data 23.3.1992 ha chiesto il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio delle predette infermità, sulla quale la C.M.O. dell’Ospedale Militare di Roma, previa visita medica, ha espresso parere favorevole, giudicando le predette infermità contratte per causa di servizio, con ascrivibilità, per cumulo, alla catg. 6^ di cui alla tab. A annessa al d.P.R. n. 834 del 30.12.1981.

Con provvedimento n. 632/P del 27.8.1997, l’ISTAT ha riconosciuto dipendente da fatti di servizio le infermità di cui sopra e ascrivibili, per cumulo, alla 6^ ctg. Max di pensione di cui alla Tabella A annessa al DPR 834 del 30.12.1981.

In data 22.9.1997, il ricorrente ha presentato domanda per la concessione dell’equo indennizzo, ma l’Amministrazione ha respinto la relativa istanza, recependo il parere negativo espresso dal C.P.P.O..

Pertanto, il ricorrente, con ricorso notificato il 31 luglio 1998, ha adito questo Tribunale e dopo aver premesso che il Giudice adito ha la possibilità di pronunciarsi direttamente sulla fondatezza della pretesa vantata di riconoscimento del diritto all’equo indennizzo, ha dedotto motivi di violazione di legge (art. 68 d.P.R. n. 3 del 1957 e art. 48 d.P.R. n. 686 del 1957), eccesso di potere per travisamento ed erronea valutazione dei fatti, motivazione insufficiente, contraddittorietà tra più atti.

Si è costituito in giudizio l’ISTAT per resistere al ricorso e ha controdedotto alle censure proposte con il gravame, rilevandone la infondatezza.

Con nota conclusionale parte ricorrente ha replicato argomentando ulteriormente sulla propria posizione.

Alla pubblica udienza del 9 marzo 2011 la causa è stata introitata per la decisione.
Motivi della decisione

Il ricorso non merita accoglimento.

Giova premettere che il giudizio espresso dal Comitato per le pensioni privilegiate ordinarie (C.P.P.O.) in ordine al nesso causale tra le infermità riscontrate ed il servizio reso dal dipendente involge valutazioni di carattere tecnicoscientifiche, sulle quali, in sede di giudizio di legittimità, non è consentito al giudice alcun sindacato nel merito, né questi può sostituirsi all’Amministrazione.

Il ricorrente censura il provvedimento impugnato, in quanto l’Amministrazione avrebbe recepito il parere del C.P.P.O. senza fornire adeguata motivazione in ordine alla preferenza di tale giudizio rispetto a quello favorevole espresso dalla C.M.O., né il parere dello stesso C.P.P.O. risulta adeguatamente motivato sulle ragioni di difformità di giudizio rispetto alle valutazioni della C.M.O.. Parimenti, l’Amministrazione ha richiamato integralmente, per relationem, le generiche e apodittiche affermazioni espresse dal C.P.P.O. senza motivare la decisione di conformare la propria volontà a tale parere. L’eccesso di potere sarebbe ravvisabile anche nel travisamento e nell’erronea valutazione dei fatti e presupposti posti a base dei provvedimenti impugnati.

Giova in proposito richiamare il consolidato orientamento giurisprudenziale, dal quale non vi è motivo di discostarsi, secondo cui l’Amministrazione è tenuta a motivare in modo specifico solo i casi in cui ritenga di non adeguarsi al parere del Comitato per le Pensioni Privilegiate Ordinarie, ma non quando ritenga di condividerlo. In tal caso, infatti, adeguandosi ad esso realizza una ipotesi di motivazione per relationem, con la conseguenza che non occorre che l’Amministrazione espliciti le ragioni che la inducono a disattendere il precedente riconoscimento della dipendenza da causa di servizio (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 11.7.2008, n. 3487; TAR Lazio, Sez. I, 5 agosto 2010, n. 30115).

In particolare, in materia di equo indennizzo, il C.P.P.O ha il compito di esprimere un giudizio conclusivo, anche sulla base di quello reso dalla Commissione medica ospedaliera, sicché i pareri espressi dai due Organi consultivi tecnici non sono pari ordinati. Il giudizio espresso dal C.P.P.O. è un momento conclusivo anche sulla base di quello espresso dalla C.M.O., pertanto, in quanto momento di sintesi e di superiore valutazione dei giudizi espressi da altri organi, il parere del C.P.P.O. si impone all’Amministrazione, la quale è tenuta solo a verificare se l’Organo in questione, nell’esprimere le proprie valutazioni, ha tenuto conto delle considerazioni svolte dagli altri organi e, in caso di disaccordo, se le ha confutate, con la conseguenza che un obbligo di motivazione in capo all’Amministrazione è ipotizzabile solo per l’ipotesi in cui essa ritenga si non poter aderire al parere del Comitato, che è obbligatorio ma non vincolante (Cfr. Cons. Stato, sez. V, 5 marzo 2010, n. 1293; idem 16 agosto 2010, n. 5712).

Va aggiunto altresì che il Comitato è tenuto a fare riferimento all’accertamento eseguito dalla Commissione Medica unicamente con riguardo alla diagnosi, essendo, invece, l’unico organo competente ad emettere il giudizio definitivo circa la dipendenza o meno da causa di servizio della patologia già diagnosticata. Ciò comporta che, una volta accertata dalla Commissione medica una determinata patologia, la mancata riferibilità a causa di servizio, ad opera del primo, non integra alcuna contraddittorietà (cfr T.A.R. Lazio, Roma, sez. I, 10 maggio 2010, n. 10480).

Infatti, il parere del Comitato, anche per la variegata e qualificata estrazione tecnica dei suoi componenti, fornisce, a livello centrale, ogni auspicabile garanzia circa l’attendibilità della determinazione assunta in materia di equo indennizzo. Nella specie la richiesta del ricorrente è stata respinta con argomentazioni, anche sintetiche, ma sufficienti a rendere comprensibili le ragioni del diniego poi impugnato per il riscontrato contrasto con il parere espresso dalla competente Commissione medica, la cui determinazione si considera, peraltro, definitiva solo ai fini del rimborso delle eventuali spese di cura, ricovero e protesi di vario genere, ma non per l’ottenimento dell’equo indennizzo (cfr. art. 5bis, del DL 21.9.1987, conv. con mod. dalla Legge 20.11.1987, n. 472 e art. 11 DPR n. 461 del 2001). Va altresì posto in rilievo che in casi di tal genere non deve essere annullato in sede di autotutela il diversificato parere della C.M.O, che conserva la sua definitiva operatività ai limitati fini delle spese di cui sopra, mentre l’Amministrazione ben può disconoscere tale dipendenza d’infermità da causa di servizio in ossequio al parere del Comitato, ove ritenuto decisivo, secondo quanto rilevato in precedenza (cfr.Tar Toscana, sez. I, 23 giugno 2008, n. 1670).

Il ricorrente censura il parere espresso dal Comitato, in quanto non sarebbe convincente sul piano tecnico, ma considerato astratto e senza riferimento alla fattispecie concreta delle infermità del ricorrente, ritenute invece dipendenti da causa di servizio dalla C.M.O..

Occorre ribadire in proposito quanto già in precedenza osservato circa la diversità e l’autonomia del procedimento da cui discende la declaratoria di dipendenza da causa di servizio delle infermità dei pubblici dipendenti rispetto a quello preordinato alla concessione dell’equo indennizzo, adottati da organi diversi.

Al riguardo, occorre richiamare la Corte costituzionale, la quale con sentenza 21.6.1996 n. 209 ha chiarito che il predetto art. 5 bis del DL n. 387 del 1987, conv. con mod. dalla Legge n. 472/1987, non contrasta con gli artt. 3 e 97 Cost., né col principio di ragionevolezza nella parte in cui, quanto alla dipendenza di un’infermità da causa di servizio, per un verso, conferisce definitività ai giudizi delle Commissioni mediche ospedaliere a fini vari e, per altro verso, fa salvo il parere, eventualmente diverso, del Comitato per le pensioni privilegiate ordinarie, per la concessione dell’equo indennizzo e della pensione privilegiata ordinaria.

In questi ultimi casi, infatti -ha precisato la Corte- non occorre appurare la semplice origine da causa di servizio della malattia, ma pure se ed in che misura si sia verificato un effetto invalidante, apparendo allora razionalmente giustificato, alla luce delle rilevanti conseguenze sulla spesa pubblica, che in dette ipotesi, anche a costo di possibili difformità valutative, l’apprezzamento sia affidato al parere, nemmeno vincolante, di un organo imparziale per la sua stessa composizione, il quale contribuisce a realizzare il principio del buon andamento attraverso l’arricchimento degli elementi di giudizio posti a disposizione dell’Amministrazione.

Segue da ciò che, in materia di equo indennizzo, l’indirizzo giurisprudenziale maggioritario è quello precedentemente espresso secondo cui l’ordinamento mette a disposizione dell’Amministrazione una serie di pareri resi da organi consultivi diversi, ma affida al Comitato il compito di esprimere un giudizio conclusivo di sintesi anche sulla base di quello reso dalla Commissione medica ospedaliera.

Quanto ai rilievi evidenziati circa la incompletezza e la non corrispondenza al vero del giudizio del Comitato, laddove non riconoscerebbe alcun nesso eziologico tra le patologie e la causa di servizio, va osservato che costituisce consolidato principio giurisprudenziale quello secondo cui il giudizio medico legale circa la dipendenza di infermità da cause o concause di servizio rientra nella discrezionalità tecnica degli organi de quibus, in quanto si fonda su nozioni della scienza medica specialistica e su dati di esperienza di carattere tecnicodiscrezionale che, in quanto tali, sono sottratti al sindacato di legittimità del G.A., salvi i casi in cui si ravvisi irragionevolezza manifesta o palese travisamento dei fatti, che non ricorrono nel caso in esame.

In particolare, nella specie, non sembra poter assurgere ad eventi causali o concausali eccedenti la soglia ordinaria del rischio, lo svolgimento dell’attività nei locali e ambienti utilizzati presso la sede di via Licoride non risultando dimostrato e documentato che le ordinarie incombenze o le prestazioni siano state svolte in condizione di particolare gravosità e ripetitività tali da influire nocivamente, sotto il profilo concausale, sulle affezioni del ricorrente.

Richiamando, quindi, le precedenti considerazioni e affermata, in armonia con la richiamata giurisprudenza amministrativa, unanime sul punto, la preminenza procedimentale del parere del Comitato e del suo contenuto, il Collegio ritiene che le censure dedotte siano infondate e che il ricorso debba essere respinto.

Stimasi comunque equo, data la materia del contendere, disporre la compensazione delle spese di giudizio tra le parti.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza Quater)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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