Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 09-03-2011) 28-03-2011, n. 12443 Revoca e sostituzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

. Fortuna Francesco Saverio che ha chiesto l’annullamento con rinvio.
Svolgimento del processo

D.P.R. ricorre, a mezzo del suo difensore, contro l’ordinanza 1 dicembre 2010 del Tribunale del riesame di Roma (che ha rigettato l’istanza di revoca o sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere, disposta con ordinanza 28 agosto 2010 del G.I.P. del Tribunale di Roma, per reati in tema di sostanze stupefacenti), deducendo vizi e violazioni nella motivazione nella decisione impugnata, nei termini critici che verranno ora riassunti e valutati.

1.) la vicenda cautelare.

Le scansioni della vicenda cautelare risultano riassunte nel ricorso nei termini che seguono:

a) il G.i.p. presso il Tribunale di Roma, con ordinanza 5 giugno 2010 applicava la custodia in carcere nei confronti di D.P.F. e del padre di questo, D.P.R., tratti in arresto il (OMISSIS) a seguito del rinvenimento in un locale della segheria gestita da F. di un rilevante quantitativo di droga del tipo cocaina occultata in parte (25 chilogrammi) presso la detta sede dell’impresa di segheria e in parte (due kg.) consegnati da quest’ultimo al coindagato M.A. (anch’esso arrestato in flagranza). In seguito era sottoposto a fermo di p.g. (poi convalidato) L.M. il quale, da conversazioni telefoniche e ambientali intercettate, risultava avere la disponibilità di ingenti quantitativi di droga;

b) il Tribunale, cui era stata proposta istanza di riesame, con ordinanza 17 giugno 2010, confermava il provvedimento impugnato, rilevando la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza anche a carico dell’odierno ricorrente, D.P.R., che assumeva potersi identificare come il vecchio, così indicato in una conversazione tra i coindagati L. e M. registrata sulla vettura del primo, deducendo che il R. sarebbe stato sorpreso dagli operatori di p.g. mentre contava il denaro ricevuto dal figlio F. in pagamento dei due chilogrammi di droga e da questo consegnato al padre (presumibilmente, visto che la consegna non era stata osservata e soprattutto che, dal verbale di arresto, risulta che il denaro era custodito in un cassetto). c) quanto alle esigenze cautelari il Tribunale riteneva sussistente il rischio di reiterazione, sul presupposto di collegamenti dei due indagati con organizzazioni internazionali dedite al commercio di stupefacenti;

d) il 18 agosto 2010 il D.P., che, entrambi, in precedenza non avevano reso dichiarazioni, su richiesta del difensore, erano interrogati dal Pubblico ministero;

e) D.P.F. ha ammesso: di avere accettato, su richiesta di L., di custodire e nascondere un quantitativo di droga, consegnatogli da persona incaricata da quello; di aver provveduto a creare un nascondiglio in una cassa di legno custodita, unitamente a merci, attrezzi e materiali, in un magazzino della segheria di avere accettato di consegnare un quantitativo di cocaina a M. su richiesta di L., droga per la quale l’acquirente non gli aveva versato alcun corrispettivo; di conoscere L. da molto tempo, non solo perchè residente in un paese limitrofo ma perchè cliente saltuario del ristorante gestito dal suddetto; di avere chiesto e ottenuto, in diverse occasioni, prestiti in denaro da L. ai quale versava un interesse del 5% mensile. f) D.P.F. dichiarava di aver personalmente provveduto a costruire l’intercapedine nella quale era occultata la droga, senza informare il padre dell’accordo concluso con L. nè della presenza dello stupefacente;

g) D.P.R. a sua volta dichiarava: di avere attivato dal (OMISSIS) una omologa e fiorente impresa in (OMISSIS), paese nel quale si era unito ad una giovane donna dalla quale aveva avuto quattro figli; che tuttavia era solito rientrare in Italia alcune volte l’anno, l’ultima delle quali circa un mese prima del suo arresto (precisamente il (OMISSIS)); di aver proseguito nel potenziare l’impresa del figlio, al quale aveva inviato negli anni, circa 300 container con legname e semilavorati in legno, ciascuno del valore commerciale di 30 – 40 mila Euro, materiale che era venduto in Italia da F.;

h) D.P.R. dichiarava ancora che in corrispondenza dei periodi di soggiorno in Italia, egli acquistava macchinari, pneumatici, giocattoli e attrezzi che inviava con gli stessi container in (OMISSIS), in funzione delle richieste di quel mercato e dei prevedibili profitti e negava di essere stato informato dal figlio della esistenza della cocaina nel magazzino;

i) il 19 agosto 2010 veniva presentata istanza di revoca o sostituzione della misura, sia sotto il profilo dell’attenuazione della provvista indiziaria (per F.) che della insussistenza di gradi indizi (per R.), che sotto quello delle esigenze cautelari, con allegazione di documenti contabili inerenti la gestione da parte di D.P.F. anche di due distributori di carburanti (AGIP e API), ed altra documentazione;

l) con ordinanza 28 agosto 2010 il G.I.P. respingeva l’istanza, ed il provvedimento veniva impugnato al Tribunale del riesame;

m) il Tribunale del riesame con l’ordinanza 1 dicembre 2010. oggetto di ricorso, ha confermato la decisione del G.I.P..
Motivi della decisione

2.) i motivi di ricorso per D.P.R. e le ragioni della decisione di questa Corte.

Per la difesa del ricorrente, il Tribunale del riesame avrebbe rivalutato la provvista indiziaria nei riguardi del solo D.P. F., richiamandosi alla precedente ordinanza del 17 giugno, e senza considerare la valenza degli elementi (conversazioni intercettate, documenti, informazioni assunte dai difensori e persino la consulenza contabile ordinata dal Pubblico ministero, non trasmessa dal P.M. ma allegata dai difensori) intervenuti nel periodo successivo.

In particolare si duole il ricorrente:

che alla analitica elencazione dei rilievi dell’atto d’appello non sia seguita una critica puntuale, considerando in particolare la capacità delle imprese gestita da D.P.F., con l’aiuto del padre di produrre redditi sufficienti e comunque tali da contrastare l’ipotesi congetturale che le risorse della Azienda derivassero, almeno in parte, dalla importazione di stupefacente dal (OMISSIS);

che siano state ignorate le critiche versate nella memoria del 22 novembre e senza riferimenti specifici alle produzioni e alle indagini difensive, ignorando la posizione di D.P.R., ed occupandosi della valutazione della nuova provvista indiziaria a carico del figlio di questo e sostenendo illogicamente l’insussistenza di nuovi elementi rispetto alla situazione presa in esame nella precedente ordinanza che aveva confermato, in sede di riesame, la misura della custodia in carcere applicata dal G.i.p..

Con memoria difensiva depositata prima dell’udienza la difesa ha ribadito i termini delle precedenti critiche sostenendo l’attenuazione delle esigenze cautelari.

Con un primo motivo di impugnazione il ricorso deduce inosservanza ed erronea applicazione della legge, con riferimento agli artt. 273, 274 e 275 c.p.p. e art. 292 c.p.p., commi 2, 2 bis e 2 ter; nonchè motivazione manifestamente illogica e carente con riguardo alle allegazioni dei difensori e alle indagini ex art. 391 bis c.p.p., ter e octies.

Con un secondo motivo si lamenta violazione di legge e inesistenza di motivazione in ordine alle esigenze cautelari, con riferimento all’art. 273 c.p.p..

Sostiene il ricorso che il Tribunale si è limitato, incorrendo sotto altro profilo in vizio della motivazione, a richiamare la motivazione sulle esigenze cautelari espressa nella richiamata ordinanza del 17 giugno, per la quale, in quel momento, in effetti, il solo elemento utile in favore dell’indagato era dato dalla esistenza a suo carico di irrilevanti e risalenti precedenti penali, realtà questa peraltro mutata.

Entrambi i motivi risultano palesemente inammissibili attesa l’esaustiva, anche se sintetica, motivazione sul punto del provvedimento impugnato il quale non ha affatto ignorato le allegazioni e produzioni della difesa, ma ha semplicemente valorizzato i consistenti dati probatori di segno contrario, i quali non risultano essere stati intaccati dalle deduzioni e produzioni difensive, così permanendo inalterata la realtà fondante del costrutto argomentativo della decisione.

Va infatti sul punto ribadita la regola assiologica che in tema di misure cautelari, nella nozione di "elementi a favore", che devono essere valutati dal giudice a pena di nullità dell’ordinanza, rientrano soltanto gli elementi di natura oggettiva e, di fatto, aventi natura concludente, mentre restano escluse le mere posizioni difensive negatorie, le semplici prospettazioni di tesi alternative e gli assunti chiaramente defatigatori, così come non rientrano in tale nozione le interpretazioni alternative degli elementi indiziaria che restano assorbite nell’apprezzamento complessivo operato dal giudice della libertà, (cfr. in termini: Sez. 4, Sentenza n. 29999/2006).

In tale quadro inoltre le censure del ricorso appaiono comunque sostanzialmente inammissibili nella misura in cui finiscono con il proporre e pretendere una diversa e più favorevole valutazione per l’indagato.

Non è infatti sufficiente, neppure per invocare il nuovo vizio motivazionale, che alcuni atti del procedimento siano astrattamente idonei a fornire una ricostruzione diversa e più persuasiva di quella operata nel provvedimento impugnato; occorre invece che le prove, che il ricorrente segnala a sostegno del suo assunto, siano decisive e dotate di una forza esplicativa tale da vanificare l’intero ragionamento svolto dal Giudice si da rendere illogica o contraddittoria la motivazione (cfr. ex plurimis: 30402/06, 23781/06, 23528/06, 23524/06, 22256/06, 20245/06, 19855/06, 19848/06, 19584/06).

Nel caso concreto, l’ordinanza impugnata risulta aver preso in esame le risultanze degli atti, indicando le fonti probatorie di riferimento ed ha sostenuto le sue conclusioni, con argomentazioni prive di vizi giuridici ed immuni da manifesta illogicità.

A fronte di ciò il ricorso non segnala alcun atto da qualificarsi decisivo, nel senso precisato, ma propone una rinnovata ponderazione delle emergenze processuali, alternativa a quella correttamente effettuata dai giudici cautelari, così introducendo questioni che esulano dai limiti cognitivi del giudizio di legittimità, avendo il giudice cautelare fatto buon governo delle regole che presiedono alla valutazione della chiamata in reità o correità in sede cautelare.

Il ricorso pertanto, nella palese verificata coerenza logico- giuridica ed adeguatezza della motivazione, quale proposta nella decisione impugnata, va dichiarato inammissibile.

All’inammissibilità del ricorso stesso consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende che si stima equo determinare in Euro 1000,00 (mille).
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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