Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 09-03-2011) 28-03-2011, n. 12415 Relazione tra la sentenza e l’accusa contestata

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

C.C. ricorre, a mezzo del suo difensore, contro la sentenza 23 gennaio 2009 della Corte di appello di Bari, che ha confermato la sentenza 25 febbraio 2008 del Tribunale di Trani, sezione di Ruvo di Puglia, per il reato ex art. 570 c.p., deducendo vizi della motivazione nella decisione impugnata, nonchè violazione di legge, nei termini critici che verranno ora riassunti e valutati.

1.) Il tenore del capo di imputazione e le decisioni di merito.

L’imputato era accusato di essersi sottratto agli obblighi di assistenza inerenti alla potestà di genitore e alla qualità di coniuge, serbando una condotta contraria all’ordine della famiglia, in particolare facendo mancare alla moglie M.F. e alla figlia minore i mezzi di sussistenza, "non versando alla stessa alcuna somma di denaro, nè l’assegno di mantenimento di cui al provvedimento del Tribunale di Brescia del 4 luglio 2002; fatto commesso in (OMISSIS): recidiva reiterata".

Il difensore dell’imputato aveva proposto appello chiedendo l’assoluzione perchè era provato che il C. aveva versato dall’emissione del provvedimento del Presidente del Tribunale di Brescia in data 28 maggio 2002, sino alla proposizione dell’ultima delle querele, nel febbraio 2003, ed anche oltre sino ad agosto 2003, quanto dovuto; facendo, altresì, rilevare che le eventuali omissioni successive all’agosto 2003 non potevano considerarsi oggetto di contestazione in quanto la permanenza doveva intendersi riferita solo al periodo considerato dalle querele.

La Corte di appello con la gravata sentenza, ha invece rigettato il gravame, rilevando preliminarmente che la persona offesa M. F., all’udienza del 26 giugno 2006, ha, altresì, affermato di aver ricevuto, per l’ultima volta, nell’agosto 2003 l’assegno relativo al mese di giugno 2003.

L’omissione contestata, ad avviso della Corte, risulta documentalmente provata non potendosi aderire alla tesi difensiva della limitazione della contestazione sino al febbraio 2003, epoca di presentazione dell’ultima querela in atti.

Per la corte distrettuale infatti, non solo è certo che il delitto di violazione degli obblighi di assistenza familiare, di cui all’art. 570 c.p., ha natura di reato permanente, ma la contestazione è stata formulata in coerenza con la natura permanente del reato stesso, con l’indicazione dell’epoca di commissione dell’illecito nel modo seguente: "commesso in (OMISSIS)".

Per la Corte di appello l’indicazione dell’attualità della permanenza consente di ritenere che la permanenza, ovvero la consumazione del reato contestato, debba ritenersi cessata con la pronuncia della sentenza di primo grado e, conseguentemente, le omissioni denunciate all’udienza del 26 giugno 2006 dalla persona offesa e non contraddette, in alcun modo, dalla difesa del giudicabile, rimasto contumace, integrano il reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare.
Motivi della decisione

Con un unico motivo di impugnazione viene dedotta inosservanza ed erronea applicazione della legge, con riferimento all’art. 518 c.p.p. (fatto nuovo risultante dal dibattimento) art. 520 c.p.p. (nuove contestazioni all’imputato contumace), art. 521 c.p.p. (correlazione tra imputazione contestata e sentenza), in relazione all’art. 522 c.p.p. (nullità della sentenza per difetto di contestazione).

Il ricorrente, premesso che l’adempimento e quindi il corrispondente "inadempimento" avevano "scadenza mensile", sostiene che l’indicazione della "permanenza in atto", stava a significare semplicemente che "l’obbligo di corresponsione continuava a restare inadempiuto da parte dell’imputato, ma non già che egli avesse commesso nuovamente reato della stessa indole anche nei mesi successivi (pag. 3 motivi)".

Sul punto si deduce la falsità delle denunce, ed in ogni caso si afferma criticamente: 1) che la Corte di appello non poteva pronunciarsi sul mancato adempimento per le mensilità successive ad agosto-giugno 2003, mancando la rituale contestazione prevista per il contumace dall’art. 520 c.p.p.; 2) che la continuazione deve comunque ritenersi cessata con la sentenza e non con l’ultimo adempimento dell’obbligo eluso, con conseguente richiesta di applicazione dell’indulto.

1) le ragioni della decisione della Corte di cassazione.

Il tenore dell’impugnazione comporta alcune brevi indicazioni in punto di contestazione di reati permanenti, nei termini che verranno ora precisati e considerato:

a) che in tema di principio di correlazione tra accusa e sentenza, se nel decreto di rinvio a giudizio per un reato permanente viene contestata una durata della permanenza individuata con precisione nel tempo (momento iniziale e momento finale: "contestazione chiusa"), il giudice può tenere conto del successivo protrarsi della consumazione soltanto quando esso sia stato oggetto di un’ulteriore contestazione ad opera del P.M. ex art. 516 c.p.p. e, ciò, per la palese ragione che la posticipazione della data finale della permanenza (al di là del limite cronologico ultimo precisato nell’imputazione) viene ad incidere sulla individuazione del fatto come inizialmente contestato, comportandone una diversità, sotto il profilo temporale, che influisce sulla gravità del reato e sulla misura della pena e può condizionare l’operatività di eventuali cause estintive (Cass. pen. sez. 2, 47864/2003 Rv. 227077 Massime precedenti Conformi: N. 230 del 2000 Rv. 215585);

b) che quando invece la condotta – come nella specie- risulta contestata con l’individuazione della sola data d’inizio, deve ritenersi che, una volta contestata la data di accertamento del reato di cui all’art. 570 c.p., è compito dell’imputato offrire la prova che la permanenza, al momento del giudizio, è cessata (Cass. pen. sez. 6, 3331/1982 Rv. 152984 V mass n 143597; Conf. mass n 145290). c) che in tale ultima ipotesi di c.d. "contestazione aperta" è però necessario che le frazioni di condotta illecita -rientranti nel paradigma del reato permanente e collocabili temporalmente al momento corrispondente alla denuncia-querela – siano esistenti anche in minima parte, altrimenti sarebbe impossibile la congiunzione delle condotte realizzate in tali due diverse fasi temporali.

Tanto premesso occorre verificare se le condotte poste in essere sino ai febbraio-agosto 2003 abbiano o meno, già integrato il delitto ex art. 570 c.p., altrimenti, se così non fosse, le successive condotte di inadempienza esigerebbero -come sostenuto in ricorso- un’ulteriore specifica incolpazione, dal momento che esse verrebbero ad integrare un fatto autonomo e diverso rispetto a quello oggetto di imputazione (Cass. pen. sez. 3, 29701/2008 Rv. 240750 Massime precedenti Conformi: N. 2410 del 1995 Rv. 202080, N. 47864 del 2003 Rv. 227077).

Ebbene nel caso di specie dalla stessa decisione impugnata si desume che gli adempimenti "pre-2003" non sono stati conformi alle statuizioni del giudice, sia per radicali omissioni dei versamenti (mesi di (OMISSIS)), sia per ritardi nell’esecuzione stessa (mese di ottobre).

E’ quindi evidente, non contestata la materialità del delitto, la correttezza della decisione dei giudici di merito i quali hanno valutato sinergicamente, con le condotte contestate "pre-2003", anche quelle in permanenza e successive, per le quali comunque l’imputato non ha fornito la prova della cessazione della omissione.

Il ricorso pertanto risulta infondato, valutata la conformità del provvedimento alle norme stabilite, nonchè apprezzata la tenuta logica e coerenza strutturale della giustificazione che è stata formulata.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *