Cass. civ. Sez. III, Sent., 02-07-2010, n. 15710 DANNI IN MATERIA CIVILE E PENALE

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Svolgimento del processo

Con sentenza 25 – 27 gennaio 2006 il giudice di pace di Sassari condannava P.M. e S.O., in solido tra loro, al pagamento in favore di A.A. della somma complessiva di Euro 432,00, oltre interessi, a titolo di risarcimento dei danni dalla vettura di proprietà dell’attore.

Quest’ultimo, con l’atto di citazione, aveva esposto che il (OMISSIS) aveva parcheggiato il veicolo di sua proprietà in via (OMISSIS), sotto un terrazzino della abitazione di P.M..

In questo terrazzino, l’artigiano S.O. – su incarico del proprietario – stava effettuando alcuni lavori di saldatura ad arco e smerigliatura.

Per effetto di un forte vento, i residui di tali lavorazioni erano caduti sulla vettura dell’attore, provocando danni da abrasione della vernice alla carrozzeria della vettura (danni che richiedevano interventi del carrozziere, con una previsione di esborsi per la somma esposta nelle conclusioni).

Il giudice di pace richiamava la consulenza tecnica di ufficio e i dati meteorologici registrati nella giornata del (OMISSIS) dall’ENEA, rilevando che i danni lamentati avrebbero potuto agevolmente essere evitati procedendo ad adeguata schermatura o protezione del terrazzino, in modo da evitare la caduta sul piano stradale delle scorie della saldatura.

Sulla base di tali premesse, il giudice riteneva che la domanda attrice fosse meritevole di accoglimento.

Avverso tale decisione, il P. ed il S. hanno proposto ricorso per Cassazione, sorretto da un unico motivo.

Il Procuratore Generale presso questa Corte ha concluso, per iscritto, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., per il rigetto del ricorso.

Motivi della decisione

Con l’unico motivo i due ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4) in relazione agli artt. 113, 115, 132 c.p.c., all’art. 118 disp. att. c.p.c., all’art. 2697 c.c. e all’art. 92 c.p.c..

Il primo giudice, ad avviso dei ricorrenti, sarebbe giunto alla decisione finale violando le norme processuali sul regime probatorio.

La motivazione adottata, infatti, non consentirebbe di ricostruire la "ratio decidendi".

Nè vi era, nella sentenza impugnata, una qualche spiegazione in ordine ai nesso causale tra condotta ed evento denunciati.

Non vi era prova della entità del danno materiale lamentato: il solo preventivo di spesa non poteva dirsi attendibile, perchè indicativo della valutazione economica di una prestazione d’opera con fornitura di materiale, che non costituiva documento idoneo a provare l’avvenuto onere economico sostenuto dall’attore.

Da ultimo, rilevano i ricorrenti, anche la condanna al pagamento delle spese doveva ritenersi priva di qualsiasi giustificazione.

Il ricorso deve essere rigettato.

Nel caso di specie, i ricorrenti deducono formalmente violazione di norme processuali, ma in realtà sottopongono a questa Corte la violazione di regole sostanziali, formulando censure inammissibili in questa sede, considerato che la decisione impugnata è stata resa dal giudice di pace nell’ambito della giurisdizione equitativa necessaria (nei limiti all’epoca vigenti).

Secondo la giurisprudenza di questa Corte: "Le sentenze pronunciate dal giudice di pace secondo equità, ai sensi dell’art. 113 c.p.c., comma 2 sono ricorribili in cassazione, per violazione delle norme processuali, delle norme della Costituzione e di quelle comunitarie, nonchè per violazione dei principi informatori della materia e per nullità attinente alla motivazione, che sia assolutamente mancante o apparente, o fondata su affermazioni in radicale ed insanabile contraddittorietà; ne consegue che la violazione dell’art. 2697 c.c. sull’onere della prova, che pone una regola di diritto sostanziale, dà luogo ad un "error in iudicando" non deducibile con il ricorso per cassazione, avverso le sentenze pronunciate dal giudice di pace secondo equità" (Cass. S.U. 14 gennaio 2009 n. 564).

La motivazione della sentenza impugnata non appare contraddittoria nè apparente.

Le censure relative alla condanna alle spese del giudizio, infine, sono inammissibili.

Quando il giudice di pace abbia pronunciato la propria sentenza secondo equità, nel regime anteriore alle modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 40 del 2006,avverso tale decisione è inammissibile il ricorso per cassazione col quale si denunci l’erronea quantificazione delle spese di lite, in violazione delle tariffe fissate dal Consiglio Nazionale Forense e approvate con decreto ministeriale.

Tale censura si fonda, infatti, sulla violazione non di una norma processuale, ma di una norma sostanziale e priva di rilievo costituzionale o comunitario, come tale pienamente derogabile nei giudizi secondo equità. (Cass. 3 marzo 2009 n. 5065).

Tra l’altro, il giudice di pace aveva esposto, distintamente, tutte le somme riconosciute a titolo di diritti, onorari e spese di causa.

Sarebbe stato, dunque, preciso onere dei ricorrenti spiegare in quale modo erano stati violati i limiti tariffari.

Nulla di tutto ciò è possibile rinvenire nel ricorso per Cassazione.

E’ appena il caso di richiamare, sul punto, la consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale: "La parte che censuri una sentenza con riguardo alla liquidazione delle spese di giudizio, lamentando la violazione dei minimi o dei massimi previsti dalla tariffa professionale, ha il preciso onere di fornire al giudice della impugnazione gli elementi essenziali per la nuova determinazione del compenso dovuto al professionista, indicando, in maniera specifica, gli importi e le singole voci che ritiene dovuti, in luogo di quelli erroneamente liquidati dal primo giudice".

Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato.

Nessuna pronuncia in ordine alle spese del presente giudizio, non avendo l’intimato svolto difese in questo giudizio.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso.

Nulla per le spese del presente giudizio.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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