Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 08-03-2011) 28-03-2011, n. 12368

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 2 aprile 2010, la Corte di appello di Palermo, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Marsala, in data 11/2/2008, riconosciuta l’ipotesi lieve, rideterminava in mesi otto di reclusione ed Euro 200,00 di multa, la pena inflitta a D.B. M. per il reato di ricettazione di un’anfora acroma, bene d’interesse archeologico, provento di illecito impossessamento di beni culturali appartenenti allo Stato.

La Corte territoriale respingeva le censure mosse con l’atto d’appello, in punto di sussistenza dell’elemento oggettivo (reato presupposto) e soggettivo, e confermava le statuizioni del primo giudice, ritenendo accertata la penale responsabilità dell’imputato in ordine al reato a lui ascritti, provvedendo a ridurre la pena, avendo riconosciuto il fatto di particolare tenuità, di cui all’art. 648 cpv. c.p..

Avverso tale sentenza propone ricorso l’imputato per mezzo del suo difensore di fiducia, sollevando due motivi di gravame.

Con il primo motivo deduce il vizio della motivazione. Al riguardo si duole che la Corte territoriale abbia eluso le specifiche censure sollevate con i motivi d’appello in punto di insussistenza del reato presupposto ed in punto di elemento soggettivo. Con riferimento al primo aspetto eccepisce che il reperto in questione non rientrerebbe nei beni culturali, oggetto di protezione, ai sensi del D.Lgs. n. 490 del 1999, art. 2 trattandosi di un oggetto comune, privo di interesse artistico o storico. Con riferimento al secondo aspetto, eccepisce che il Tribunale non ha tenuto nel debito conto la deposizione della teste G.R., Dirigente del Servizio per i Beni Archeologici di (OMISSIS), dalla quale si evince che solo una persona esperta avrebbe potuto avvedersi del valore storico ed archeologico del reperto.

Con il secondo motivo deduce inosservanza della legge penale dolendosi che erroneamente la Corte ha desunto dal semplice possesso dell’oggetto l’esistenza di quelle condotte di acquisto, ricezione, occultamento che integrano l’elemento oggettivo del reato di ricettazione.

Successivamente il difensore del ricorrente ha depositato una memoria contenente motivi nuovi, ex art. 585 c.p.p., comma 4 con i quali lamenta che la Corte territoriale avrebbe del tutto ignorato i risultati delle prove acquisite, in particolare le dichiarazioni della dr.ssa G. e del M.llo M. (che allega ai motivi).
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

Con il primo motivo di ricorso e con i motivi aggiunti il ricorrente deduce il vizio della motivazione sotto il profilo del travisamento della prova, con specifico riferimento agli esiti di due prove testimoniali.

In diritto, occorre rilevare che: "in tema di motivi di ricorso per cassazione, a seguito delle modifiche dell’art. 606, comma 1, lett. e) ad opera della L. n. 46 del 2006, art. 8 mentre non è consentito dedurre il "travisamento del fatto", stante la preclusione per il giudice di legittimità di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito, è, invece, consentito dedurre il vizio di "travisamento della prova", che ricorre nel caso in cui il giudice di merito abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale, considerato che, in tal caso, non si tratta di reinterpretare gli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione, ma di verificare se detti elementi sussistano" (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 39048 del 25/09/2007 Ud. (dep. 23/10/2007)Rv. 238215).

E tuttavia per integrare il vizio di travisamento della prova non è sufficiente la pretermissione o l’erronea lettura di un dato processuale, se tale dato non svolge un ruolo decisivo nel percorso argomentativo seguito dal giudice di merito.

Infatti, secondo l’insegnamento di questa Corte: "Le modifiche apportate dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 8 non hanno mutato la natura del giudizio di cassazione, che rimane un giudizio di legittimità. Ne consegue che gli "altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame" menzionati ora dall’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), non possono che essere quelli concernenti fatti decisivi che, se convenientemente valutati anche in relazione all’intero contesto probatorio, avrebbero potuto determinare una soluzione diversa da quella adottata, rimanendo esclusa la possibilità che la verifica sulla correttezza e completezza della motivazione si tramuti in una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito" (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 35683 del 10/07/2007 Ud. (dep. 28/09/2007) Rv. 237652).

Orbene dalla lettura dei verbali delle deposizioni testimoniali allegate ai motivi aggiunti, non emergono elementi concernenti fatti decisivi, il cui esame sia sfuggito, ovvero sia stato omesso dalla Corte territoriale.

In particolare per quanto riguarda l’elemento oggettivo del reato presupposto, consistente nel cd. "furto archeologico", la Corte territoriale ha preso in esame le censure sollevate dall’appellante e le ha respinte con motivazione congrua, facendo specifico riferimento alla deposizione della teste G., che non risulta minimamente travisata sul punto. Quanto al fatto che la teste, in base alla sua esperienza, ha dichiarato di aver ritrovato reperti archeologici utilizzati come vasi da fiori perchè chi riceve questo oggetto non lo capisce, si tratta di una circostanza che non presenta alcun carattere di decisività circa l’assenza dell’elemento soggettivo in testa all’agente nel caso specifico.

Uguali considerazioni valgono per la deposizione del teste M., in quanto anche il fatto che l’imputato non nascondesse, bensì detenesse il reperto in evidenza nel cortile interno della sua azienda, è circostanza che non ha carattere di decisività circa l’assenza dell’elemento soggettivo.

In punto di diritto è sufficiente rilevare che la sussistenza dell’elemento soggettivo nel reato di ricettazione (vale a dire la conoscenza della provenienza delittuosa della cosa) può desumersi da qualsiasi elemento, anche indiretto, e quindi anche dal comportamento dell’imputato e dalla mancata – o non attendibile – indicazione della provenienza della cosa ricevuta, la quale è sicuramente rivelatrice della volontà di occultamento, logicamente spiegabile con un acquisto in mala fede (Cass. Sez. 2, 27.2/13.3.1997, n. 2436, Rv.

207313; conf. Sez. 2, Sentenza n. 25756 del 11/06/2008 Ud. (dep. 25/06/2008) Rv. 241458).

Del resto, secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite: "l’elemento psicologico della ricettazione può essere integrato anche dal dolo eventuale, che è configurabile in presenza della rappresentazione da parte dell’agente della concreta possibilità della provenienza della cosa da delitto e della relativa accettazione del rischio" (Cass. Sez. U, Sentenza n. 12433 del 26/11/2009 Ud. (dep. 30/03/2010) Rv.

246324).

Infine occorre rilevare che è manifestamente infondata, oltre che generica, la censura di violazione di legge sollevata con il secondo motivo di ricorso in cui si contesta che il semplice possesso dell’anfora non integra le condotte di acquisto o ricezione previste dalla norma di cui all’art. 648 c.p. in quanto è del tutto evidente che per possedere un oggetto (che non sia stato autoprodotto) è necessario averlo acquistato o ricevuto in qualsiasi modo.

Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che rigetta il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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