T.A.R. Toscana Firenze Sez. II, Sent., 22-03-2011, n. 467 Amministrazione pubblica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

In data 9 aprile 1977 veniva stipulata tra i comuni di Montecatini Terme, Monsummano Terme e Pieve a Nievole, una convenzione per la costruzione e la gestione di un impianto di depurazione delle acque fognarie. Il documento attribuiva al Comune di Montecatini il compito di provvedere alla costruzione e alla gestione dell’impianto, con l’obbligo per gli altri contraenti di rifondere le quote a loro carico non appena il Comune di Montecatini ne avesse fatto richiesta, corredata di copia degli atti tecnicocontabili, validati dal parere di una apposita commissione intercomunale.

Attraverso il contratto stipulato il 6 aprile 1987 e registrato il successivo 26 maggio il Comune di Montecatini Terme affidava alla ditta E. SNC il servizio di conduzione, gestione manutenzione dell’impianto in questione, prorogandone con successivo atto l’affidamento fino al 31 dicembre 1991.

Come riferito dall’amministrazione ricorrente i comuni intimati non hanno provveduto al rimborso dei costi di gestione ai medesimi imputabili con la conseguenza che, atteso l’inadempimento dello stesso Comune di Montecatini, la società che gestiva il servizio notificava a quest’ultimo un decreto ingiuntivo emesso dal Presidente del Tribunale di Pistoia recante l’ordine di pagamento della somma di Lire 887.583.076 (comprendente anche le quote di spettanza degli altri comuni), oltre interessi e spese, a titolo di corrispettivo del servizio per il periodo 19911992.

Analogo provvedimento veniva emesso il 27 aprile 1995 dalla medesima Autorità giudiziaria per il pagamento della somma di Euro 860.602,56, relativa a prestazioni eseguite nel periodo 1991 1993.

Anche dopo la notifica dei decreti ingiuntivi le amministrazioni convenute rifiutavano di provvedere al pagamento delle quote a loro carico eccependo che i crediti non erano esigibili in assenza del parere della commissione tecnico amministrativa prevista dalla convenzione del 1977. E ciò nonostante, ad avviso di parte ricorrente, una riunione di detta commissione si sarebbe validamente tenuta in data 5 giugno 1993, peraltro con la partecipazione dei soli tecnici designati dalle rispettive amministrazioni. In tale circostanza non venivano sollevate eccezioni, sotto il profilo tecnico, alla gestione straordinaria ed ordinaria da cui traevano origine i crediti del Comune di Montecatini Terme.

Successivamente la società E. s.a.s. cedeva all’INPS i crediti vantati nei confronti del Comune, di talché quest’ultimo, ad evitare ulteriori conseguenze pregiudizievoli, provvedeva ad effettuare il pagamento delle somme risultanti al suo debito. Più esattamente, con atto di transazione del 9 dicembre 2002, e con espressa riserva rivalsa nei confronti dei Comuni di Pieve a Nievole e Monsummano Terme, il Comune di Montecatini corrispondeva all’ente creditore la somma di Euro 645.091,01 quale sorte capitale e di Euro 217.110,79 per interessi.

Dopo la stipula della predetta transazione, le parti tentavano nuovamente una composizione amichevole della controversia senza peraltro sortire alcun effetto attesa l’esiguità degli importi offerti dai comuni debitori i quali peraltro esistevano nel corso delle trattative per la pretesa inesigibili tra del credito in ragione della mancata convocazione della commissione prevista dall’articolo tre della convenzione stipulata nel 1977.

Conseguentemente il Comune di Montecatini Terme adiva questo Tribunale per sentire condannare i Comuni intimati, previo accertamento del diritto, al pagamento delle somme in epigrafe specificate e, in via subordinata rispetto all’azione contrattuale, chiedendone la condanna per arricchimento senza causa, ex art. 2041 cod. civ..

Si sono costituiti in giudizio i Comuni di Monsummano Terme e Pieve a Nievole opponendosi all’accoglimento del gravame.

Alla pubblica udienza del 22 dicembre 2010 il ricorso è stato trattenuto per la decisione.
Motivi della decisione

Con il ricorso in esame il Comune di Montecatini Terme domanda, previo accertamento del diritto, la condanna dei Comuni di Monsummano Terme e Pieve a Nievole al pagamento della somma di euro 490.721,74, per il primo, e di euro 154.369,37 per il secondo, oltre interessi e rivalutazione dalle singole scadenze al saldo, a titolo di rimborso della quota parte, rispettivamente del 30% e del 15%, delle spese sostenute dal Comune di Montecatini per la gestione e la conduzione del depuratore intercomunale, in comproprietà con i medesimi comuni.

In subordine viene chiesta la condanna delle controparti al pagamento delle stesse somme a titolo di arricchimento senza causa ex art. 2041 cod. civ..

In limine litis è necessario esaminare le eccezioni di inammissibilità del ricorso per difetto di giurisdizione avanzate da entrambe le controparti, seppure con diverse motivazioni.

Sostiene il Comune di Pieve a Nievole che il rapporto giuridico in questione andrebbe qualificato come appalto di servizi pubblici e non come concessione di servizi, con la conseguenza che, vertendosi nella fase di esecuzione del contratto, la giurisdizione andrebbe assegnata al giudice ordinario ex art. 6 della l. n. 205/2000, vigente al momento dell’introduzione del giudizio (Cons. Stato sez. V, 9 novembre 2009, n. 6966).

Tale conclusione non muterebbe in ragione della natura pubblica dei soggetti coinvolti, trattandosi pur sempre di un rapporto obbligatorio originato da una convenzione di carattere privatistico stipulata dagli enti in contenzioso per la gestione del sevizio pubblico di depurazione fognaria.

E, in ogni caso, quand’anche volesse ipotizzarsi l’esistenza di un rapporto concessorio, ugualmente andrebbe esclusa la giurisdizione di questo giudice che non si estende alle questioni concernenti indennità, canoni e altri corrispettivi.

Per il Comune di Monsummano Terme, poiché i comuni coinvolti sono tutti comproprietari dell’impianto in questione, andrebbe escluso che, nella fattispecie, siano esercitati poteri autoritativi nella gestione e, conseguentemente, anche i rapporti obbligatori scaturenti dalla convenzione avrebbero natura negoziale e paritetica e, quindi, la cognizione della controversia spetterebbe all’Autorità giudiziaria ordinaria.

Nelle sue repliche, depositate il 19 novembre 2010, il Comune di Montecatini afferma che, invece, si sarebbe in presenza di una concessione di committenza in forza della quale sarebbe stato traslato ad esso il potere di costruire il depuratore intercomunale e gestire il relativo servizio con il correlato trasferimento a questo delle funzioni e attribuzioni pubbliche necessarie. Ciò comporterebbe, secondo un orientamento, peraltro risalente, della Suprema Corte che la controversia concernente "i corrispettivi e le indennità coinvolge la determinazione del contenuto della concessione e cioè l’individuazione dei rispettivi diritti e obblighi", attraendo a sé la cognizione sulla questione dell’esistenza o meno dei crediti e, quindi, radicherebbe la competenza del giudice amministrativo a conoscere la relativa controversia.

In subordine viene invocata l’applicabilità dell’art. 11 della l. n. 241/1990

Entrambe le tesi delle controparti, ad avviso del Collegio, vanno disattese.

Quanto alla prospettazione del Comune di Monsummano si osserva che la circostanza che non sarebbero stati esercitati poteri amministrativi non trova riscontro nella vicenda, dovendosi porre in rilievo che, nella fase genetica dell’obbligazione di cui trattasi, le Amministrazioni attraverso l’accordo raggiunto e formalizzato nella convenzione, hanno esercitato un potere pubblico funzionalizzato al soddisfacimento di un interesse di natura indubitabilmente pubblicistica, quello cioè allo svolgimento del servizio di depurazione fognaria dei comuni interessati.

Il Comune di Pieve a Nievole, per contro, pare confondere piani diversi della complessa fattispecie posta in essere. La controversia posta all’attenzione di questo Tribunale non attiene, infatti, ai rapporti tra le Amministrazioni e il soggetto privato gestore del servizio, non potendo perciò qualificarsi in termini di appalto di servizi. Trattasi, invece, con ogni evidenza, di un vincolo giuridico (della cui natura si dirà in seguito) intercorso tra pubbliche amministrazioni e che si pone a monte del contratto di affidamento del servizio in parola al soggetto privato che ne cura l’effettivo espletamento.

E’ opinione del Collegio che, in realtà, il rapporto obbligatorio di cui trattasi vada ricondotto ad un accordo, regolato dalla convenzione stipulata nel 1977 tra i comuni in lite, riconducibile alla fattispecie ora contemplata dall’art. 15 della l. n. 241/1990.

Stabilisce tale norma che "Anche al di fuori delle ipotesi previste dall’art. 14, le amministrazioni pubbliche possono sempre concludere tra loro accordi per disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune".

Peraltro, già prima della formalizzazione normativa della questione, viveva un orientamento dottrinale secondo cui che l’amministrazione poteva concludere ed eseguire accordi questione nell’esplicazione di un potere amministrativo funzionalizzato, ciò implicando che, tanto la scelta di addivenire alla stipula dell’accordo, quanto quella di recedere successivamente dal medesimo per sopravvenute esigenze di ordine pubblicistico si configurassero come scelte propriamente amministrative, soggette anzitutto ai ben noti principi generali di vincolatività nel fine, ragionevolezza, imparzialità e giustizi abilità. Il che non escludeva, peraltro, che all’accordo così concluso potessero applicarsi quei principi civilistici sui contratti e sulle obbligazioni che risultassero compatibili con le regole proprie della funzione amministrativa.

Tra gli esempi più noti si possono ricordare: gli accordi di programma per la realizzazione di opere o di interventi pubblici che richiedono l’azione integrata e coordinata di più amministrazioni statali, regionali, locali e/o di altri soggetti pubblici (art. 34 d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267); le convenzioni tra enti locali o altre amministrazioni pubbliche per la gestione in comune di servizi pubblici (previste, tra l’altro, dall’art. 30 d.lg. n. 267, cit.) (118); gli accordi cosiddetti di programmazione negoziata, diretti a definire un programma di interventi finalizzati allo sviluppo economico di una determinata area territoriale (disciplinati recentemente dall’art. 2 comma 203 l. 23 dicembre 1996, n. 662).

Tale opinione che trovava conforto nella prassi amministrativa e in talune enunciazioni legislative (ad esempio nell’art. 27 l. 8 giugno 1990, n. 142) è ora codificata, come si è detto, nell’art. 15 della legge sul procedimento amministrativo che, al secondo comma, reca la previsione che "Per detti accordi si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni previste dall’art. 11, commi 2, 3 e 5".

A sua volta l’art. 11, comma 5, precisa, con inequivocabili riflessi sulla questione all’esame, che "Le controversie in materia di formazione, conclusione ed esecuzione degli accordi di cui al presente articolo sono riservate alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo".

La giurisprudenza ha, a sua volta, tratto la conclusione che, in forza delle disposizioni richiamate, le amministrazioni pubbliche possono "sempre" concludere tra loro accordi per disciplinare lo svolgimento, in collaborazione, di attività di interesse comune, le quali ben possono riguardare attività materiali da svolgere nell’espletamento di un pubblico servizio e direttamente in favore della collettività e, correlativamente, con una regola prevalente sull’art. 5, secondo comma, della legge n. 1034 del 1971, le controversie riguardanti l’esecuzione dell’accordo concluso tra le medesime rientrano nell’ambito della giurisdizione amministrativa esclusiva (Cons. Stato, sez. VI, 8 aprile 2002, n. 1902, Cass. civ., sez. un., 2 marzo 2001, n. 87).

D’altro canto giova rimarcare che anche l’art. 133, comma 1, n. 2), del nuovo cod. proc. amm. ribadisce in proposito la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di accordi tra pubbliche Amministrazioni.

Nel merito il ricorso non è, tuttavia, suscettibile di accoglimento.

Come riferito in narrativa, la convenzione stipulata tra i tre comuni stabiliva all’art. 6 che al pagamento delle spese relative ai costi di gestione dell’impianto di depurazione intercomunale i Comuni di Monsummano Terme e Pieve a Nievole avrebbero provveduto "non appena il Comune di Montecatini ne avrà presentato la richiesta corredata di copia degli atti tecnici e contabili debitamente approvata da detta Amministrazione su conforme parere della Commissione di cui all’art. 3".

L’art. 3 della convenzione stabilisce che "tra i Comuni predetti si conviene di istituire una Commissione TecnicoAmministrativa composta dai seguenti membri: a) dai sindaci dei tre Comuni o loro delegati; da tre tecnici designati rispettivamente dalle Amministrazioni dei tre Comuni nell’ambito dei rispettivi Uffici tecnici comunali; da tre eventuali esperti esterni designati rispettivamente dalla tre Amministrazioni".

Tale commissione che aveva il compito precipuo di rendere il parere sulle richieste di rimborso avanzate dal Comune di Montecatini non si è mai espressa nel merito delle pretese di quest’ultimo, non potendo, evidentemente, ritenersi validamente costituita quella riunitasi in data 5 giugno 1993, atteso che, come ammesso dalla stessa parte attrice, ad essa hanno preso parte i soli tecnici designati dalle rispettive amministrazioni, non risultando che questi fossero investiti del potere di esprimere definitivamente la volontà dell’ente di appartenenza.

Ne segue che il credito vantato dal Comune di Montecatini non può ritenersi liquido, mancando la conferma dell’esattezza delle poste contabili in cui trova riferimento, e neppure esigibile in assenza della realizzazione della condizione apposta con l’art. 3 della convenzione.

Infatti, come già rilevato dalla Corte d’appello di Firenze nella sentenza n. 200 del 10 febbraio 2003, pronunciata nel giudizio di opposizione all’ingiunzione emessa dal Sindaco del Comune di Montecatini per il pagamento delle somme anticipate per la gestione dell’impianto di depurazione, "la necessità di tale parere non costituisce solo un onere formale, comunque carente, ma ha valenza sostanziale, poiché costituisce il modo, convenzionalmente previsto, per consentire alle amministrazioni debitrici…di verificare e controllare la necessità, l’opportunità e l’entità delle spese in questione".

Il Collegio deve, tuttavia, interrogarsi, a questo punto, in ordine alla natura di tale clausola contrattuale in quanto, pur in mancanza di una specifica allegazione in tal senso, l’accertamento del suo eventuale carattere di condizione meramente potestativa ne renderebbe la nullità rilevabile anche d’ufficio.

L’art. 1355 del cod. civ. stabilisce, infatti, che "È nulla l’alienazione di un diritto o l’assunzione di un obbligo subordinata a una condizione sospensiva che la faccia dipendere dalla mera volontà dell’alienante o, rispettivamente, da quella del debitore".

In linea di principio la condizione si reputa "meramente potestativa" quando consiste in un fatto volontario il cui compimento o la cui omissione non dipende da seri o apprezzabili motivi, ma dal mero arbitrio della parte, mentre si qualifica "potestativa" quando la volontà del debitore dipende da un complesso di motivi connessi ad apprezzabili interessi che, pur essendo rimessi all’esclusiva valutazione di una parte, agiscano sulla sua volontà determinandola in un certo senso (Cass. civ., sez. II, 21 maggio 2007, n. 11774; id. sez. I, 23 settembre 2009, n. 20444).

Nella condizione potestativa la causa produttrice dell’avvenimento previsto dipende dalla volontà di una parte che a tale evento condiziona, appunto, il verificarsi degli effetti del contratto, mentre nella condizione meramente potestativa non c’è riferimento ad un fatto volontario il cui compimento abbia un qualche apprezzabile interesse per la parte stessa, ma alla pura volontà del soggetto medesimo che in tal modo decide direttamente sulla efficacia del contratto.

Non pare che nella fattispecie si versi in una ipotesi che possa farsi rientrare nella previsione dell’art. 1355 citato.

Come riferito, deve escludersi la presenza di una clausola meramente potestativa quando, come nel caso all’esame, il soggetto obbligato riconnetta la propria volontà di realizzare la condizione ad una ponderata valutazione di seri e apprezzabili motivi, anche di carattere economico (Cass. civ., sez. III, 16 gennaio 2006, n. 728). E’ evidente, infatti, che oltre a non risultare dagli atti di causa i motivi per i quali la suddetta commissione non ha mai avuto modo di validamente costituirsi, non v’è dubbio, anche in ragione degli interessi pubblici di cui i comuni sono titolari e curatori, che la clausola contrattuale in parola non riserva alla volontà di ciascuna delle Amministrazioni debitrici il potere di provvedere alla convocazione e al funzionamento della commissione stessa, ben potendo detto evento dipendere anche dal concorso di fattori estrinseci influenti sulla determinazione della volontà dei soggetti obbligati ai quali ne compete l’apprezzamento.

In tal senso non può essere sottaciuto che tra le parti della convenzione era in atto un contenzioso, proprio in merito alle modalità con le quali il Comune di Montecatini aveva dato esecuzione alle prestazioni cui si era obbligato (cfr. doc. n. 12 depositato dal Comune di Pieve a Nievole), nonché sull’opportunità della transazione stipulata da questo con l’impresa affidataria del servizio di gestione del depuratore intercomunale.

Si può, quindi, ritenere che sussistevano ragioni non meramente emulative (condivisibili o meno, non rileva in questa sede) per le quali le Amministrazioni resistenti non hanno ritenuto di concorrere al corretto funzionamento della commissione.

D’altro canto, nemmeno può darsi ingresso, in quanto non dedotte, a censure che attengano alla violazione del principio di buona fede nell’esecuzione del contratto/convenzione stipulato tra le parti.

La parte ricorrente propone in subordine una domanda di indennizzo per arricchimento senza causa, ex art. 2041 cod. civ..

È noto, tuttavia, che tale azione, per espressa previsione normativa (art. 2042), "non è proponibile quando il danneggiato può esercitare un’altra azione per farsi indennizzare del pregiudizio subito".

In proposito la giurisprudenza è ferma nell’affermare il carattere sussidiario dell’azione generale di arricchimento e la conseguente non proponibilità di essa da parte del danneggiato che abbia altro rimedio per farsi indennizzare del pregiudizio subito (cfr., ex multis, Cass. civ., sez. III, 24 febbraio 2010, n. 4492).

Basta solo aggiungere che attraverso l’azione di arricchimento parte ricorrente eluderebbe il vincolo derivante dalla clausola dell’accordo che condiziona il pagamento all’intervento del parere sopra richiamato.

Se ne deve concludere per l’inammissibilità dell’allegazione.

Per le considerazioni che precedono il ricorso deve pertanto essere rigettato

Le spese di giudizio possono trovare compensazione considerata la novità delle questioni e la particolarità della controversia.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Seconda) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, in parte lo respinge e in parte lo dichiara inammissibile.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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