Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 03-03-2011) 28-03-2011, n. 12389 Applicazione della pena

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G Dott. SPINACI S., che ha concluso per la inammissibilità del ricorso.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza del 26 maggio 2010, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Palmi ha applicato, a norma dell’art. 444 c.p.p., nei confronti di D.R. la pena di anni uno e mesi quattro di reclusone ed Euro 6.000,00 di multa quale imputato di usura.

Propone ricorso per cassazione il difensore il quale, nel primo motivo, la nullità del decreto di giudizio immediato per mancato rispetto del termine di comparizione.

Lamenta nel secondo motivo la condanna al pagamento delle spese di custodia cautelare, in quanto l’imputato era stato originariamente sottoposto alla misura degli arresti domiciliari, poi aggravata in quella della custodia cautelare per evasione: essendo stato poi assolto dal reato di evasione, veniva ripristinata la originaria misura degli arresti domiciliari.

Quindi, caduto l’addebito di evasione non potevano essere poste a carico dell’imputato le spese che dovevano essergli addebitate per il reato in ordine al quale era stato assolto.

Si contesta, poi, che la sentenza di cui all’art,. 444 c.p.p. legittimi la condanna al pagamento delle spese di custodia cautelare.

Nel terzo motivo si lamenta la mancata applicazione dell’art. 129 c.p.p..

Il ricorso è palesemente destituito di fondamento.

Quanto al primo motivo va rilevato che l’eventuale mancato rispetto del termine dilatorio per comparire non determina affatto la nullità del decreto di giudizio immediato, incidendo, semmai, sull’eventuale pregiudizio difensivo che ne consegue nella fase del giudizio.

Essendosi nella specie trasformato il rito in "patteggiamento" la questione diviene all’evidenza del tutto priva di rilevanza, così da rendere il relativo motivo inammissibile per carenza di interesse ancor prima che per manifesta infondatezza.

Quanto al secondo motivo, va rilevato che l’eventuale assoluzione dal reato di evasione, non incide in alcun modo con il diverso procedimento nel quale la misura domiciliare è stata modificata in peius in quella carceraria, rendendo quindi del tutto legittima la condanna alle relative spese, posto che il tema cautelare ha trovato sede e si è esaurito all’interno dei relativi procedimenti incidentali, iscritti nel procedimento di merito definito con la sentenza oggetto del presente ricorso.

Quanto, poi, alla "compatibilità" della condanna alle spese per la custodia sofferta con la sentenza di patteggiamento, la giurisprudenza di questa Corte è ormai da tempo consolidata nell’affermare che ai fini delle spese di custodia cautelare, la sentenza di patteggiamento è equiparata ad una pronuncia di condanna a norma dell’art. 445 c.p.p., comma 1 bis, con conseguente loro addebito all’imputato cui sia stata applicata la pena a richiesta (Cass., Sez. 1^, 26 giugno 2007, Servillo).

Sono infine palesemente inammissibili le diffuse deduzioni in fatto che il ricorrente pone a base delle doglianze di violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla mancata applicazione dell’art. 129 c.p.p., prospettata sul rilievo che nella specie non sussisterebbero elementi di responsabilità a carico dell’imputato.

Il ricorso è manifestamente inammissibile.

Costituisce, infatti, principio ormai consolidato nella giurisprudenza di questa Corte quello secondo cui la sentenza che applica la pena su richiesta si fonda sulla concorde volontà delle parti negozialmente espressa e che il giudice è tenuto a compiere, da un lato, l’accertamento positivo in ordine alla validità del consenso prestato, alla corretta qualificazione giuridica del fatto, alla applicazione ed alla comparazione di eventuali circostanze, alla congruità della pena ed alla concedibilità dei benefici – ove a questi l’applicazione della pena sia subordinata – e, successivamente, deve accertare la non ricorrenza delle cause di non punibilità, non procedibilità o estinzione del reato, a norma dell’art. 129 c.p.p..

Tale accertamento, peraltro, attesa la connotazione negativa che esso assume nel panorama della specifica e peculiare delibazione devoluta al giudice chiamato a definire il procedimento speciale, non comporta l’obbligo di una specifica ed analitica motivazione, soprattutto quando le ragioni del proscioglimento di cui all’art. 129 c.p.p., non siano allegate dall’imputato o non siano desumibili ex actis, essendo sufficiente che il giudice enunci l’esito negativo della indagine senza ulteriormente diffondersi sulla ricerca degli elementi di colpevolezza dell’imputato, sottesi al consenso prestato ed alla rinuncia dello stesso a contestare mediante la richiesta di applicazione della pena la fondatezza dell’accusa.

Quanto, poi, alle circostanze ed alla loro comparazione è parimenti sufficiente che il giudice ritenga la correttezza della loro applicazione e prospettazione, mentre per ciò che attiene alla pena, l’obbligo di motivazione è soddisfatto dall’esplicito giudizio circa la relativa congruità.

Pertanto, ogni censura attinente al merito del consenso, alla fondatezza della accusa ed all’accertamento positivo degli altri elementi dianzi specificati (qualificazione del fatto, applicazione e comparazione delle circostanze, congruità della pena e benefici) rimane preclusa; sicchè, il ricorso per cassazione con il quale l’imputato si dolga del mancato proscioglimento, della contestazione delle circostanze, del giudizio di comparazione, del trattamento sanzionatorio unicamente per il profilo del difetto di motivazione della sentenza – quando il giudice abbia effettuato, come nel caso di specie, gli accertamenti positivi e negativi richiesti dalla legge – deve essere dichiarato inammissibile per genericità e manifesta infondatezza del motivo.

Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento alla Cassa delle Ammende di una somma che si stima equo determinare in Euro 1.500,00 alla luce dei principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.500,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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