Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 03-03-2011) 28-03-2011, n. 12366 Porto abusivo di armi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza del 25 marzo 2010, la Corte di appello di Reggio Calabria, in riforma della sentenza pronunciata il 4 giugno 2009 dal Tribunale della medesima città nei confronti di T.B. e M.G. ha assolto entrambi gli imputati dal reato di illegale detenzione e porto di arma da sparo contestato al capo B) e previa concessione delle circostanze attenuanti generiche a M. G. equivalenti alle contestate aggravanti, ha rideterminato la pena in ordine ai residui reati di rapina aggravata e sequestro di persona nei confronti del T. in anni cinque e mesi sei di reclusione ed Euro 1.500,00 di multa e nei confronti del M. in anni tre e mesi sei di reclusione ed Euro 1.000,00 di multa.

Avverso la sentenza di appello hanno proposto ricorso per cassazione entrambi gli imputati suddetti. Nel ricorso rassegnato nell’interesse del T. si rinnova, nel primo motivo, la eccezione di inutilizzabilità concernente l’allegato fotografico della relazione della Polizia Scientifica del (OMISSIS). Si deduce, al riguardo, che sino alla udienza del 9 aprile 2009 la difesa non era stata messa a conoscenza della esistenza degli allegati fotografici recanti le impronte utilizzate per il confronto. La tesi dei giudici a quibus che hanno respinto la fondatezza dei rilievi difensivi osservando che la prova si sarebbe svolta in contraddittorio attraverso l’esame dell’esperto, viene contestata, giacchè l’assenza di quella documentazione orientava in senso contrario rispetto alla scelta del giudizio abbreviato. Dunque, la documentazione doveva essere depositata all’atto della chiusura delle indagini.

Sussisterebbero, poi, dubbi, alla stregua di varie circostanze di fatto che vengono analizzate, circa la validità del metodo utilizzato per prelevare l’impronta palmare rinvenuta sul finestrino del furgone rapinato e si contesta la validità scientifica delle operazioni effettuate dalla polizia, alla stregua delle metodologie impiegate e della lacunosa esplicitazione delle stesse. Si rinnova poi la doglianza relativa al mancato assorbimento del reato di sequestro di persona in quello di rapina, considerato che la limitazione della libertà personale della persona offesa "si è identificata ed esaurita con il mezzo immediato e diretto di esecuzione della rapina medesima, in rapporto funzionale con tale esecuzione". Si denuncia, infine, vizio di motivazione in ordine alla mancata concessione delle attenuanti generiche, non avendo i giudici dell’appello adeguatamente preso in considerazione i positivi elementi posti in evidenza in merito alla personalità dell’imputato.

Nel ricorso proposto nell’interesse del M. si lamenta violazione di legge e vizio di motivazione, in quanto l’affermazione della penale responsabilità dell’imputato si è basata sui contatti telefonici tra il medesimo ed il coimputato il giorno della rapina, desunti dai tabulati, quando in realtà si tratterebbe di elementi in sè del tutto neutri, trattandosi di contatti tra due amici. Anche l’altro dato rappresentato dalla disponibilità in capo alla famiglia del M. del locale nel quale fu occultata la refurtiva è privo di valenza probatoria, non essendo stato accertato che il locale stesso non fosse effettivamente utilizzato dalla persona che, pure, era titolare di un contratto di locazione. La Corte avrebbe infine svalutato la menomazione fisica di cui il M. è portatore, essendo privo della mano sinistra, dando della versione offerta dalla persona offesa una interpretazione non plausibile. A conforto di ciò si ricorda la circostanza che il Giudice per le indagini preliminari rigettò la richiesta di applicazione della misura cautelare nei confronti del M., proprio rilevando "l’assenza di un elemento certo che conduca il M. sulla scena del delitto durante il suo compiersi" reputando la sua condotta al più riconducibile allo schema della ricettazione.

Il ricorso del M. è infondato e deve pertanto essere respinto. I giudici del doppio grado di merito hanno infatti posto in luce il coeso quadro indiziante raccolto nei confronti dell’imputato, avuto riguardo, in particolare, alle specifiche modalità secondo le quali si è articolata la condotta criminosa, postulante, all’evidenza, la predisposizione ex ante di un adeguato supporto logistico, rappresentato, in particolare, da un locale "riservato" presso il quale poter depositare momentaneamente il veicolo rapinato ed effettuare il prelievo e l’occultamento del materiale trasportato, mettendo così a fuoco il dato di univoca valenza probatoria rappresentato dalla certa disponibilità del garage ove fu rinvenuta la refurtiva, corroborato dai rapporti intrattenuti con il correo e dalla sequenza di contatti telefonici intervenuti fra i due proprio il giorno dei fatti. Nè la menomazione di cui l’imputato era portatore ha rappresentato un elemento di decisivo contrasto rispetto alla ricostruzione dell’episodio delittuoso, avuto riguardo alla plausibile lettura che di tale particolare aspetto della vicenda è stata offerta dai giudici a quibus. Segue, pertanto, la condanna dell’imputato al pagamento delle spese processuali.

Il ricorso del T. deve invece essere dichiarato manifestamente inammissibile, in quanto il ricorrente si è limitato a riproporre le medesime censure rassegnate in grado di appello, senza alcun reale apporto critico rispetto ai puntuali rilievi svolti dai giudici del gravame per dissolvere la fondatezza delle doglianze loro devolute, in particolare per ciò che attiene alla utilizzabilità della documentazione fotografica di supporto alla consulenza tecnica, stante il pieno contraddittorio svoltosi sul punto. Non senza rilevare, peraltro, come la maggior parte dei profili attinti dai motivi di ricorso si rivelino essere, in concreto, mere deduzioni di fatto – specie per ciò che attiene alla diffusa critica circa la validità scientifica della metodologia di indagine comparativa delle impronte che ha consentito la identificazione dell’imputato – postulanti una alternativa lettura del compendio probatorio, e, come tali, del tutto eccentriche rispetto al rigoroso perimetro entro il quale è consentito l’odierno scrutinio di legittimità. Quanto, poi, alla ritenuta sussistenza dell’autonomo delitto di sequestro di persona, la motivazione offerta sul punto dai giudici dell’appello si rivela del tutto corretta ed incensurabile. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue, oltre alla condanna alle spese, anche quella al versamento alla Cassa delle ammende di una somma che si stima equo determinare in Euro mille, alla luce dei principi sanciti dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso di T.B. che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende. Rigetta il ricorso di M.G. che condanna al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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