Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 23-02-2011) 28-03-2011, n. 12502 Violenza sessuale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Brescia ha confermato la pronuncia di colpevolezza di B.P. in ordine al reato di cui agli artt. 81 cpv. e 609 bis c.p. e art. 609 ter c.p., u.c., a lui ascritto per avere costretto, con violenza o minacce e comunque abusando delle condizioni di inferiorità fisica e psichica della persona offesa, P.S. a compiere e subire atti sessuali consistiti in leccamenti dei seni, in baci e sfregamenti sulla vagina, nonchè nel farsi toccare il pene.

Secondo le risultanze fattuali riportate dalla sentenza la vicenda si è snodata tra il 2003 e il 2005 periodo in cui il B. era convivente con la nonna paterna della piccola S..

Quest’ultima alla presenza di entrambi aveva detto che lo zio P. le aveva toccato la "passerina".

In prosieguo di tempo la bambina aveva raccontato, in modo più articolato, gli abusi sessuali subiti ad opera del B. alla nonna materna, che dopo alcuni giorni aveva riferito il narrato ai genitori della nipote, i quali avevano presentato denuncia.

Nel corso delle indagini preliminari emergeva che anche tali G. E., cognato della madre di S., ed un vicino di casa, A. S., avevano commesso analoghi abusi sessuali in danno della minore. Si procedeva, quindi, ad audizione protetta della minore e veniva disposta dal P.M. una consulenza psicologica sulla medesima.

Il B., l’ A. ed il G. risarcivano il danno subito dalla parte lesa e tutti e tre gli imputati presentavano istanza di patteggiamento alla quale prestava consenso il P.M..

Il G.U.P. accoglieva l’istanza di A. e G., mentre rigettava quella del B. e rimetteva la definizione della posizione di quest’ultimo ad altro giudice.

Dinanzi al nuovo G.U.P. il B. reiterava l’istanza di patteggiamento, che veniva ritenuta inammissibile, in quanto mera riproposizione di quella già rigettata, perchè ritenuta inadeguata.

Il giudizio di primo grado proseguiva nelle forme del rito abbreviato che si concludeva con l’affermazione di colpevolezza dell’imputato.

La Corte territoriale ha rigettato i motivi di gravame con i quali l’appellante aveva censurato l’ordinanza con la quale il G.U.P. aveva dichiarato inammissibile la reiterazione dell’istanza diretta alla definizione del procedimento ai sensi dell’art. 444 c.p.p.; censurato la valutazione della attendibilità della minore, deducendo che era possibile ipotizzare l’intervento di fattori di origine familiare o comunque esterni che potevano avere influito sul narrato della persona offesa, e, comunque, lamentando la mancata verifica da parte del giudice di primo grado della credibilità della minore e della genesi del narrato; censurato infine il giudizio di comparazione delle circostanze e la dosimetria della pena.

Avverso la sentenza ha proposto ricorso il difensore dell’imputato, che la denuncia per violazione di legge e vizi di motivazione.
Motivi della decisione

Con il primo mezzo di annullamento il ricorrente denuncia la violazione ed errata applicazione dell’art. 446 c.p.p., commi 1 e 4, e art. 448 c.p.p., comma 1.

Con il motivo di gravame viene censurata la declaratoria di inammissibilità della richiesta di definizione del giudizio ai sensi dell’art. 444 c.p.p., reiterata dinanzi al G.U.P., al quale erano stati rimessi gli atti a seguito dell’astensione del primo giudice che la aveva respinta.

Si deduce, in sintesi, che la sentenza impugnata ha erroneamente condiviso la valutazione del giudice di primo grado in ordine alla inammissibilità dell’istanza, ritenendola incompatibile con la richiesta di giudizio abbreviato.

L’istanza di definizione del processo ai sensi dell’art. 444 c.p.p. è stata, invece, riproposta dinanzi al nuovo G.U.P. prima della richiesta che si procedesse con il rito abbreviato.

Tale istanza doveva ritenersi ammissibile ai sensi dell’art. 448 c.p.p., comma 1, sia pure applicato analogicamente alla presente vicenda processuale, caratterizzata dal fatto che l’imputato non è stato rimesso dinanzi al giudice del dibattimento, bensì dinanzi ad altro G.U.P. che, in quanto giudice diverso, avrebbe dovuto procedere ad una nuova delibazione circa l’accoglibilità della richiesta.

Con il secondo mezzo di annullamento si denuncia la violazione ed errata applicazione dell’art. 192 c.p.p., nonchè mancanza di motivazione della sentenza.

Si menzionano i criteri indicati dalla giurisprudenza di questa Corte ai quali ci si deve attenere nella valutazione della attendibilità della persona offesa minore e si deduce che sulla base dei citati criteri il giudice di appello era stato sollecitato ad effettuare una accurata e doverosa indagine in ordine alla attendibilità della minore P., evidenziando tutti gli elementi dichiarativi, le circostanze fattuali e le considerazioni tecnico-psicologiche che sorreggevano un giudizio di inattendibilità del portato testimoniale della persona offesa e, quindi, di insussistenza dei fatti addebitati all’imputato.

Si deduce, quindi, riportando testualmente stralci della motivazione della sentenza, che la Corte territoriale ha sostanzialmente ignorato le censure dell’imputato sul punto, argomentando invece su fatti che rientrano nel notorio, riguardanti l’influenza di un ambiente familiare degradato sull’insorgere di fenomeni di pedofilia, sui comportamenti degli appartenenti a "comunità di pedofili", sui fenomeni di indifferenza o meglio connivenza che caratterizzano l’atteggiamento dei familiari di bambini abusati.

Tali rilievi non sono affatto coerenti con la vicenda di cui si tratta e non riguardano le censure formulate con i motivi di gravame.

Si osserva anche che i giudici di merito hanno attribuito sostanzialmente valore confessorio alla condotta processuale dell’imputato, alle dichiarazioni rese in sede di interrogatorio di garanzia, il cui contenuto peraltro è stato travisato, e ad altri elementi, dei quali era stata espressamente contestata, nei motivi di gravame, la rilevanza per pervenire alla affermazione di colpevolezza dell’imputato.

Con il terzo mezzo di annullamento si denuncia la violazione ed errata applicazione dell’art. 192 c.p.p., nonchè mancanza e contraddittorietà della motivazione della sentenza in relazione alla valutazione del contesto familiare.

In sintesi, si deduce che erano stati dedotti nei motivi di appello i rilievi del consulente di parte, che contestando le conclusioni del perito di ufficio, aveva evidenziato l’esistenza di una condizione di forte disagio della bambina, dovuta ad un periodo di crisi preadolescenziale, concomitante con difficoltà nei rapporti con le figure familiari; elementi che potevano influire sui giudizio circa l’attendibilità della persona offesa e, unitamente all’accertamento del contesto familiare degradato in cui si erano svolti i fatti, offrire una valutazione alternativa dell’intera vicenda.

Si denuncia, quindi, la omessa disamina di tali deduzioni e la carenza di motivazione sul punto.

Con l’ultimo mezzo di annullamento si denuncia carenza di motivazione della sentenza in ordine al trattamento sanzionatorio.

Si deduce che la sentenza impugnata risulta sostanzialmente avere fondato il giudizio negativo sulla personalità dell’imputato sulle sue scelte processuali, che rientrano nel legittimo esercizio del diritto di difesa.

Il ricorso non è fondato.

Osserva in primo luogo la Corte che la questione processuale dedotta con il primo mezzo di annullamento non è fondata.

E’ stato già reiteratamente affermato da questa Corte, infatti, che la richiesta di giudizio abbreviato, anche se nel caso in esame è stata formulata subordinatamente alla richiesta di accoglimento dell’accordo sulla pena con la pubblica accusa, implica rinuncia al rito della applicazione della pena sull’accordo delle parti, attesa la alternatività dei riti (sez. 3, 11.7.2007 n. 32234, Lupo, RV 237023; sez. 5, 22.9.1999 n. 11945, De Rosa G ed altri, RV 214855;

sez. un. 11.11.1994 n. 12752, P.M. in proc. Abaz, RV 199397).

Peraltro, deve essere rilevato che sia la sentenza impugnata che quella di primo grado contengono sostanzialmente anche un giudizio di merito negativo in ordine alla accoglibilità della richiesta di patteggiamento, stante la maggior pena inflitta all’imputato, sicchè la doglianza si palesa, in ogni caso, infondata, indipendentemente dall’applicazione dell’enunciato principio di diritto.

Quanto ai denunciati vizi di motivazione della sentenza impugnata osserva la Corte che, stante la uniformità della decisione, la motivazione della sentenza di appello è integrata da quella della pronuncia di primo grado.

Orbene, tale sentenza ha dato ampiamente conto delle ragioni in base alle quali le dichiarazioni della parte lesa sono state ritenute pienamente attendibili; ragioni che non appaiono inficiate dai rilievi esposti in ricorso ed in precedenza nel gravame dinanzi alla corte territoriale.

Il giudice di primo grado infatti ha correttamente applicato i principi di diritto elaborati da questa Corte in tema di valutazione della attendibilità delle dichiarazioni rese da persone offese minori con particolare riferimento all’ipotesi che le stesse siano state vittime di abusi sessuali (cfr. sez. 3, 26.9.2007 n. 39994, Maggioni e ami, RV 237952; sez. 3, 7.11.2006 n. 5003 del 2007, Miloti ed altro, RV 235649).

Ed, infatti, è stata valorizzata sul punto la genesi spontanea e progressiva del narrato della minore, venuto alla luce nel corso degli anni, prima mediante confidenze alla nonna paterna e poi a quella materna; la reiterazione del narrato a vari soggetti e da ultimo in sede di incidente probatorio; il carattere analitico delle descrizioni; la attendibilità intrinseca di quanto dichiarato dalla minore secondo la relazione peritale effettuata su incarico del G.I.P., sulle cui conclusioni, secondo la sentenza di primo grado, non ha mosso contestazioni neppure il consulente della difesa con riferimento alla compatibilità del quadro sintomatologico della minore con gli ipotizzati abusi.

Quanto alla condotta dell’imputato, si deve rilevare che la sentenza di primo grado ha valorizzato in primo luogo la sostanziale ammissione dei fatti da parte del B. in presenza della nonna paterna della persona offesa e successivamente anche del padre della bambina e solo in termini aggiuntivi indicato il comportamento processuale dell’imputato, che anche in sede di interrogatorio di garanzia non ha sostanzialmente contestato quanto era stato dichiarato dalla nonna paterna della minore.

Sicchè sul punto della affermazione di colpevolezza vi è una motivazione assolutamente esaustiva che le denunciate carenze motivazionali della sentenza di appello non inficiano, considerato il carattere sostanzialmente ripetitivo delle argomentazioni dell’appellante in relazione ad elementi già valutati ed oggetto di esaustiva motivazione.

Quanto al trattamento sanzionatorio lo stesso ha formato oggetto di adeguata motivazione, nella correlazione di entrambe le pronunce di merito, essendo stata evidenziata la natura invasiva degli atti sessuali posti in essere, la loro idoneità a causare una precoce sessualizzazione della minore, la pervicacia con la quale l’imputato ha approfittato per un tempo non trascurabile del rapporto di fiducia ingenerato nella minore e nella sua famiglia.

Sicchè anche sul punto il riferimento della sentenza di appello alla condotta processuale dell’imputato si palesa un obiter dictum che non inficia la sostanziale tenuta logica della decisione di merito in ordine alla determinazione del trattamento sanzionatorio applicato.

Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p. segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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