Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 02-02-2011) 28-03-2011, n. 12482 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il Tribunale del Riesame di Roma, con provvedimento del 15-3-2010, dichiarava inammissibili le richieste di riesame del provvedimento del GIP di Roma con il quale era stata applicata a D.C. E. e D.A. la misura della custodia in carcere, quali indagati dei reati di associazione per delinquere e concorso in riciclaggio. Osservava che la misura coercitiva emessa non risultava eseguita nei confronti degli indagati, poichè a carico di costoro era stato emesso solo il mandato di arresto europeo ed, inoltre, i predetti non erano stati dichiarati latitanti ai sensi degli artt. 295 e 296 cod. proc. pen.. Di conseguenza, ad avviso del Tribunale, la richiesta di riesame poteva essere presentata dall’interessato o dal suo difensore solo quando il provvedimento che disponeva la misura fosse stato eseguito, sia pure in modo formale, poichè solo in tal caso era possibile osservare la rigida tempistica che regolava il procedimento di riesame.

2. Su impugnazione degli indagati, la Corte di Cassazione, con sentenza in data 25-6-2010, annullava l’ordinanza del Tribunale con rinvio.

Rilevava che nei confronti degli indagati era stato emesso mandato di arresto europeo, in esecuzione del quale essi erano stati tratti in arresto e successivamente messi in libertà su cauzione "released on bail" in attesa dell’esaurimento della procedura inglese di estradizione.

Aggiungeva la Corte di legittimità che, secondo la giurisprudenza della Corte stessa, il provvedimento coercitivo emesso dal GIP presentava autonomia rispetto alla procedura di estradizione, che a sua volta trovava fondamento nella misura restrittiva; ne discendeva che la possibilità di proporre censure di legittimità e di merito avverso il provvedimento di estradizione non escludeva la possibilità di impugnare l’ordinanza cautelare in sede nazionale con i relativi rimedi. D’altro canto, non era dubbio l’interesse dell’indagato ad impugnare la misura cautelare indipendentemente e prima della sua esecuzione.

3. Il Tribunale del Riesame di Roma in sede di rinvio, con ordinanza in data 27-9-2010, confermava la misura coercitiva emessa nei riguardi di D.E.C. e D.A.C.E..

Rappresentava che gli indagati erano soci e responsabili della società Diadem UK Ltd ed erano accusati nella loro qualità, nell’ambito della partecipazione ad una associazione a delinquere, di avere posto in essere operazioni commerciali fittizie con consapevolezza dell’inesistenza dei rapporti commerciali sottostanti all’emissione di documentazione fiscale ed all’utilizzazione di questa, al fine di appropriarsi, per proprio conto o di terzi, dell’IVA sottratta allo Stato. Erano pure accusati di riciclaggio transnazionale aggravato, per avere, in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, compiuto operazioni finanziarie dirette ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa delle somme di denaro provenienti dal delitto di fatturazione per operazioni inesistenti.

I gravi indizi evidenziati dal GIP riguardavano la realizzazione di una lunga sequenza di violazioni tributarie operate secondo il meccanismo delle cd. "frodi carosello" consistenti nell’effettuare apparenti operazioni commerciali e producendo inesistenti crediti di IVA verso lo Stato.

I reati ipotizzati facevano riferimento in prevalenza alla gestione di due società per azioni di primario rilievo, operanti nel settore delle comunicazioni: Fastweb S.P.A. e Telecom Italia Sparkle S.P.A. Dette società avrebbero presentato dichiarazioni Iva infedeli per diversi anni con evasione d’imposta dell’ordine di decine di milioni di euro per ciascuna. I reati sarebbero stati commessi mediante l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti emesse da altre società italiane ed estere (tra cui appunto la Diadem UK Ltd), procedendo quindi a complesse operazioni finanziarle destinate ad assicurare agli indagati la disponibilità delle somme sottratte al Fisco: dal che discendeva anche la contestazione di riciclaggio e di reimpiego di somme frutto di illecito.

Il Tribunale del Riesame evidenziava che, secondo le corrette argomentazioni dell’ordinanza cautelare, gli indagati avevano ricoperto un ruolo significativo non solo nelle operazioni fraudolente, ma anche nel successivo trasferimento e smistamento di ingenti somme di denaro (provenienti dagli illeciti delle frodi carosello) sui conti delle società del coindagato M. ed anche sui conti intestati agli indagati stessi o alla società Diadem Homes ltd che risultava avere lo stesso indirizzo della Diadem UK, in tal modo confermandosi il conseguimento di un effettivo lucro pure personale da parte degli istanti. Sotto altro profilo, il Collegio sottolineava che la società Diadem era priva di organizzazione operativa, era priva di propri ausili tecnici (che venivano forniti dalla stessa Fasweb), non sussistevano utenti finali.

4. D.C. e D.A. presentavano ricorso per cassazione, facendo valere diversi motivi. a) Eccepivano l’irritualità dell’avviso notificato ad essi ricorrenti presso lo studio dei difensori tramite fax. Al riguardo, rilevavano che l’art. 150 cod. proc. pen. consentiva l’utilizzo di mezzi particolari per le notificazioni di atti solo a persone diverse dall’imputato. Inoltre, nel caso di specie, avrebbe dovuto applicarsi l’art. 169 cod. proc. pen. (notificazioni all’imputato all’estero) e non, come disposto dal Tribunale, gli artt. 159 o 165 relativi alle notifiche previste per gli imputati irreperibili o latitanti da compiersi con consegna di copia dell’atto al difensore.

L’applicazione dell’art. 169 cod. proc. pen. appariva giustificata nella fattispecie in considerazione dei fatto che nel giudizio di rinvio dinanzi al Tribunale del Riesame non trovavano applicazione dell’art. 309, commi 5 e 10, sicchè lo svolgimento del giudizio incidentale de libertate non era condizionato dall’osservanza di tempi particolarmente ristretti richiedenti l’adozione di forme di notificazione celeri e non complesse. b) Il contraddittorio innanzi al Tribunale non si era svolto correttamente, atteso che i difensori degli indagati non avevano concluso per ultimi ed una espressa richiesta di replica, dopo le conclusioni esposte dal P.M., era stata respinta dal Collegio. c) Il delitto di riciclaggio non poteva ritenersi ricorrere nei riguardi di essi ricorrenti, atteso che, anche secondo l’impostazione accusatoria, la società Diadem, la quale faceva capo a loro, avrebbe ricevuto solamente gli importi relativi all’imponibile delle false fatture emesse dalle società italiane. In altre parole, le somme trasferite mediante istituti di credito austriaci dalle società italiane alla Diadem non costituivano il prezzo del reato presupposto (l’emissione di fatture per operazioni inesistenti), che eventualmente poteva identificarsi solo con l’Iva pagata dalle società telefoniche alle società emittenti le fatture, secondo la denuncia annuale presentata dalle indicate Fastweb S.P.A. e Telecom Italia Sparkle S.P.A. A sua volta, il denaro poi ritrasferito dalla Diadem alla Fastweb e alla T.I.S. costituiva unicamente il rientro della quota di imponibile nelle casse delle due società telefoniche inteso al rifinanziamento dell’emissione delle successive fatture nei confronti delle cd. società "cartiere" italiane che effettuavano operazioni commerciali fittizie.

Sul punto, che era stato oggetto di motivo di riesame, il Tribunale non aveva dedotto alcunchè. d) Contestavano la ricorrenza del delitto associativo, rilevando che i giudici di merito non avevano specificato il ruolo di essi istanti nella dinamica associativa, nè avevano preso in considerazione gli elementi fatti valere a dimostrazione dell’assenza di significativi contatti tra i D. e gli altri presunti associati. e) Contestavano la ricorrenza di reali esigenze cautelari, configurate dai giudici di merito nel pericolo connesso alla prosecuzione delle indagini per l’acquisizione o la genuinità delle prove e nel pericolo di recidiva. Chiedevano l’annullamento del provvedimento.

Veniva presentata ulteriore memoria difensiva, sottolineando la cessata attualità delle esigenze cautelari.
Motivi della decisione

1. I ricorsi debbono essere rigettati perchè infondati.

Si osserva, innanzitutto, che le eccezioni processuali sollevate non appaiono accoglibili.

Invero, la Corte di Cassazione ha ripetuta mente affermato, in modo condivisibile, che, anche in tema di procedimento di riesame, nell’ipotesi in cui non sia possibile eseguire la notifica dell’avviso dell’udienza all’indagato, l’atto è validamente notificato, anche a mezzo fax, al difensore, poichè in tale ipotesi quest’ultimo non svolge il ruolo di domiciliatario dell’indagato ma riceve la notifica nel ruolo proprio, (v. così, Cass. 12/04/2007 n. 20586; Cass. 02/10/2008 n. 41051; Cass. 03/11/2009 n. 46703).

Inoltre, correttamente il Tribunale del Riesame, in sede di rinvio, ha messo in atto quanto affermato dalla Corte di Cassazione con la prima decisione in data 25/06/2010 nel presente procedimento, nel senso che nel procedimento de li berta te, al fine di contemperare le esigenze di tempestivo controllo del provvedimento coercitivo, la notifica all’imputato non presente nel territorio italiano dell’avviso dell’udienza fissata per la trattazione del riesame è ritualmente eseguita nelle forme della notifica al difensore prevista per gli imputati latitanti o irreperibili ( artt. 159 e 165 cod. proc. pen.), e non secondo la procedura più complessa stabilita dall’art. 169 cod. proc. pen. in genere per le notificazioni all’imputato all’estero. Si aggiunge che la necessità di adottare l’indicata procedura di notificazione, idonea a consentire lo svolgimento del procedimento di riesame di misura coercitiva a carico di imputato all’estero entro breve termine, permane evidentemente anche in sede di rinvio (pur al di fuori dei termini tassativi ex art. 309 c.p.p., commi 5, 9 e 10) nel rispetto pure di quanto disposto dall’art. 5, comma 4 della Convenzione Europea per la tutela dei diritti dell’uomo.

Priva di fondamento risulta la censura concernente un’assunta violazione del contraddittorio che avrebbe avuto luogo innanzi al Tribunale del Riesame in sede di rinvio. Difatti, è giurisprudenza conforme di questa Corte di legittimità secondo cui non è invocabile nella procedura camerale l’operatività della disciplina prevista, per lo svolgimento della discussione in dibattimento, dall’art. 523 cod. proc. pen. secondo cui è possibile la replica ed, in ogni caso, l’imputato e il difensore devono avere la parola per ultimi, (v. Cass. 26/01/2005 n 9250).

2. In ordine alla contestazione sul merito del provvedimento del Tribunale del Riesame, va detto che non si palesano congrue e fornite di concretezza le deduzioni svolte concernenti la natura e qualificazione del denaro pervenuto agli indagati nel compimento dell’attività delittuosa, trattandosi comunque di somme originate da operazioni illecite, in cui sicuramente indistinguibile è la parte imponibile delle fatture emesse per operazioni inesistenti e l’IVA indebitamente conseguita in rimborso (e progressivamente rientrante nel corso delle successive operazioni nella parte imponibile), entrambe provenienti da reato.

D’altro canto, il Tribunale ha ricostruito in modo adeguato l’attività criminosa degli indagati nell’ambito di ricorrenti operazioni fraudolente e la loro partecipazione all’associazione a delinquere (v. pag. 5 ordin.)- Egualmente, riconnessa a concreti dati di fatto si palesa la ritenuta attuale ricorrenza delle esigenze cautelari.

3. Il rigetto dei ricorsi comporta la condanna del ricorrenti ciascuno al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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