Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 02-02-2011) 28-03-2011, n. 12478 Ammissibilità e inammissibilità

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Il GIP del Tribunale di Benevento, con ordinanza emessa in data 20.4.2010, sciogliendo la riserva di cui all’udienza camerale, indicava al P.M., ai sensi dell’art. 409 c.p.p., comma 4, gli ulteriori accertamenti da farsi, fissando all’uopo il termine di sei mesi, in relazione al procedimento a carico di L.P., S.M.P.; D.V.G. e Le.Li. a fronte della richiesta di archiviazione avanzata dal P.M., pur in presenza della necessità di ulteriori accertamenti, non essendo stata richiesta la proroga del termine delle indagini in tempo utile.

Avverso tale ordinanza ricorrono per cassazione con un unico atto e tramite il comune difensore di fiducia P.L. e S.M. P. deducendo la violazione di legge attesa l’abnormità del provvedimento impugnato, poichè la richiesta di archiviazione non era stata avanzata prima della scadenza del termine massimo originario o eventualmente prorogato di durata delle indagini preliminari, citando al riguardo talune pronunce di questa Suprema Corte.

Il Procuratore generale in sede, all’esito dell’articolata e puntuale requisitoria scritta, ha concluso perchè venga dichiarata l’inammissibilità del ricorso. E’ stata depositata una memoria difensiva nell’interesse dei ricorrenti. Il ricorso è inammissibile ai sensi dell’art. 591 c.p.p., comma 1, lett. b), essendo stato proposto avverso un provvedimento non impugnabile.

L’art. 409 c.p.p., comma 6, infatti, consente di impugnare, nei casi di nullità previsti dall’art. 127 c.p.p., comma 5, esclusivamente il provvedimento conclusivo, emesso dal G.I.P. all’esito dell’udienza camerale, con il quale sia stata disposta l’archiviazione. Pertanto, per il principio di tassatività vigente in materia di impugnazioni ex art. 568 c.p.p., comma 1, l’ordinanza con la quale il G.I.P. abbia disposto ulteriori indagini non è ricorribile.

Inoltre, tale provvedimento non può neppure essere qualificato quale atto abnorme, come rappresentato dai ricorrenti, trattandosi di un’ordinanza espressamente prevista dall’art. 409 c.p.p., comma 4, sicchè la stessa non può essere considerata un provvedimento avulso dal sistema processuale, ovvero espressione dell’esercizio da parte del giudice di un potere non riconosciutogli dall’ordinamento, nè determina una stasi del procedimento, condizioni necessarie perchè il provvedimento possa configurarsi come abnorme (cfr. Sez. un. 26.3.2009 n. 25957, Rv. 243590). Peraltro, va rilevato che l’orientamento giurisprudenziale di questa Corte si è ormai consolidato nel senso che non è precluso al GIP di prescrivere il compimento di "indagini coatte" e di fissarne il relativo termine, anche se la richiesta di archiviazione sia stata formulata fuori del limite temporale stabilito per il compimento delle indagini preliminari (Cass. Sez. 6^, n. 11906 del 28.1.2003, Rv. 224821; Sez. 5^, n. 45752 del 30.10.2007, Rv. 238496; Sez. 1^, n. 3191 del 28.4.2000, Rv. 216009 ed altre conformi).

Invero, i termini di cui agli art. 405 e 407 c.p.p. (concernenti rispettivamente l’esercizio dell’azione penale e la durata massima delle indagini preliminari), attengono soltanto al compimento delle indagini autonomamente svolte dal PM, e non anche al compimento delle ulteriori indagini da svolgere, ai sensi dell’art. 409 c.p.p., comma 4, su indicazione del GIP. Quest’ ultimo, quindi, può provvedere a tale indicazione pur quando i suddetti termini siano scaduti e la scadenza abbia preceduto la stessa richiesta di archiviazione. Ciò, come correttamente osservato dal P.G., anche in adesione a quanto ritenuto dalla Corte Costituzionale (ord. 436/91), secondo cui il decorso del termine per il compimento delle indagini preliminari non comporta la decadenza del PM dal potere di formulare le sue richieste, a seguito delle quali la disciplina dettata in materia dagli artt. 405 e 407, non ha più modo di operare perchè al rigoroso meccanismo legale che predetermina la durata delle indagini preliminari viene a sostituirsi una "flessibile" delibazione giurisdizionale, volta a calibrare il termine in funzione delle ulteriori indagini indicate come necessarie dal giudice.

Nè l’interpretazione offerta dalla citata sentenza 436/91 può ritenersi sostanzialmente superata dal sopraggiunto articolo 111 della Costituzione che, nel fissare il principio della "ragionevole durata del processo", implicherebbe la necessità che il GIP "dissenziente" sulla richiesta di archiviazione possa rinviare gli atti al PM soltanto se i termini massimi delle indagini preliminari non siano scaduti.

Si deve, infatti, rilevare che il principio enunciato dal citato art. 111, va contemperato con le esigenze di tutela di altri diritti ed esigenze costituzionali garantiti e rilevanti nel processo penale (ordd. Corte Costit. nn. 458/02, 339/01, 204/01, 32/01): fra questi assume rilevanza il principio di obbligatorietà dell’azione penale e quello – connesso – di legalità, evocati dalla stessa Corte Costituzionale allorquando ha affermato che "fine primario e ineludibile del processo è la ricerca della verità" (sentt. nn. 111/93, 255/92).

Laddove, poi, il GIP rimanga dissenziente rispetto all’esito investigativo sottopostogli dal PM, qualora quest’ultimo, indulgendo all’inazione, avesse interamente consumato i termini per l’espletamento delle indagini preliminari, il medesimo dovrebbe necessariamente acquietarsi agli esiti investigativi sottopostigli, con sostanziale rinuncia ai compiti di controllo demandatigli a tutela dell’osservanza della legalità del procedere e dell’obbligatorietà dell’azione penale". Tanto conferma la perdurante validità dell’insegnamento espresso dalla Corte Costituzionale, non solo con la citata sentenza n. 436/91, ma anche con altra pronuncia (n. 478/93) che ha ritenuto il giudice, in sede di archiviazione, dotato "del più ampio potere di apprezzare se, in concreto, le risultanze dell’attività compiuta nel cor so delle indagini preliminari siano o meno esaurienti ai fini della legittimità dell’"inazione" del pubblico ministero".

Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, a norma dell’art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno al versamento della somma, che si ritiene equo liquidare in Euro 300,00, in favore della cassa delle ammende, non ravvisandosi assenza di colpa in ordine alla determinazione della causa di inammissibilità.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno al pagamento della somma di Euro 300,00 in favore della cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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