Cons. Stato Sez. V, 02-07-2010, n. 4226 IN ATTESA DI CLASSIFICAZIONE

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Svolgimento del processo

Con deliberazione di Giunta Regionale n. 6216 del 23 novembre 2001, recante "Determinazione del piano annuale dei volumi delle prestazioni in regime di accreditamento provvisorio e correlati limiti di spesa sostenibili in ragione d’anno per il 2001 e 2002", La Regione Campania ha stabilito i limiti di spesa sanitaria per gli anni 2001 e 2002 fissando il tetto di lire 2.753,687 miliardi quale limite finanziario al volume di prestazioni di assistenza specialistica, riabilitativa,integrativa ed ospedaliera che il Servizio Sanitario Regionale, in relazione ai suddetti anni, si impegnava ad acquistare dai soggetti privati provvisoriamente accreditati. Tale tetto complessivo deriva dalla media dei volumi di attività erogati dal settore privato negli anni 1999 e 2000, integrata da una quota fittizia pari a 171,176 miliardi di lire, con un decremento rispetto al 2000 pari al 10,5%, ripartito nei diversi settori dell’assistenza specialistica (6,9%), riabilitativa (11%), integrativa (40,8%) e ospedaliera (3,5%).

L’esigenza di fissare un tetto di spesa – come emerge dalle premesse del provvedimentoderiva dalla necessità di scongiurare il rischio di un aumento dell’imposizione fiscale per effetto di disavanzi, in virtù dell’entrata in vigore del D.Lgs. 506/2000 sul federalismo fiscale, di rispettare il patto di stabilità di cui alla L 405/2001 nonché di arginare il notevole aumento dei volumi e dei costi delle prestazioni sanitarie fornite dagli erogatori provvisoriamente accreditati, mantenendo adeguati livelli di assistenza sanitaria anche mediante l’aumento di produttività delle strutture pubbliche.

Con la stessa deliberazione, è stato stabilito che nell’ambito del limite massimo complessivo di spesa sostenibile per ciascuna AA.SS.LL, derivato dall’abbattimento del 10,5 % della spesa storica 2000, i direttori generali: i) individuassero, in base al fabbisogno di prestazioni sanitarie del territorio di competenza, in linea con gli obiettivi programmatici loro affidati dalla Giunta Regionale, le tipologie e i volumi di prestazioni sanitarie erogabili dai soggetti provvisoriamente accreditati, stipulando appositi accordi contrattuali ai sensi dell’art. 8 quinquies del D.Lgs. 502/92, nell’ambito della riduzione complessiva prevista, abbattendo lo storico prodotto nell’anno 2000 in modo proporzionale alla percentuale di incremento di fatturato registrato tra l’anno 1999 ed il 2000; ii) assegnassero a ciascun soggetto privato provvisoriamente accreditato, nell’ambito della mission e del case mix individuati (in relazione alle risorse umane e tecnologiche possedute ed alla complessità organizzativa),il volume annuale massimo delle prestazioni erogabili, le regressioni tariffarie e le modalità dei compensi per i volumi eventualmente eccedenti quelli concordati; iii) organizzassero la verifica dell’andamento, per ogni settore, dell’attività su base trimestrale in modo da consentire rientri in corso d’opera, prevedessero un pagamento mensile in percentuale compresa tra il 50 e l’80%, con conguaglio successivo alla verifica e monitorassero la spesa in modo che, in caso di tendenziale superamento del tetto stabilito, potessero essere applicate regressioni percentuali tariffarie ulteriori rispetto a quelle concordate ed, in caso di superamento, dovesse essere dichiarato cessato il rapporto contrattuale.

Quanto alle strutture pubbliche, la delibera ha stabilito che i direttori generali ottimizzassero e razionalizzassero le risorse mediante aumento produttivo o riconversione o accentramento di funzioni assegnando obiettivi di produttività, il cui mancato raggiungimento avrebbe comportato la rideterminazione delle risorse,sulla base della effettiva produttività realizzata mediante concentramento e unificazione delle funzioni e riallocazione di risorse eccedenti a funzioni carenti, previa concertazione con le organizzazioni sindacali.

Contro la deliberazione regionale ed il provvedimento della A.S.L. con cui sono stati stabiliti i tetti di spesa ha proposto impugnazione il ricorrente.

Nelle more del giudizio di primo grado, è intervenuta la sentenza del TAR Campania, Sez. I, n. 7845/2002, seguita da altre analoghe pronunce, che ha accolto parzialmente il ricorso proposto da ANISAP (Associazione Nazionale delle Istituzioni Sanitarie Ambulatoriali Private) e da strutture sanitarie private contro la deliberazione n. 6216 del 2001, nei limiti della censura di mancata introduzione di effettive misure di contenimento della spesa sanitaria relativa alle strutture pubbliche, nonché di quella relativa alla contraddittorietà ed oscurità della previsione del meccanismo di regressione tariffaria, con conseguente annullamento in parte qua della delibera, salvi gli ulteriori atti dell’amministrazione regionale.

La sentenza è stata parzialmente riformata dalla Sezione Quinta del Consiglio di Stato che, con decisione n. 2296 del 22 aprile 2004, accogliendo in parte l’appello di ANISAP e degli altri ricorrenti in primo grado, ha giudicato illegittima la fissazione dei tetti di spesa con effetto retroattivo relativamente all’anno 2001, essendo interamente trascorso l’esercizio annuale di riferimento, in violazione delle aspettative dei singoli operatori che avevano fatto affidamento sulla situazione in atto.

Il TAR, decidendo sul ricorso dell’odierno appellato, ha considerato la deliberazione n. 6216/2001 atto definitivamente annullato in sede giurisdizionale con effetti validi erga omnes e fondate le censure per illegittimità derivata della delibera aziendale gravata, in quanto atto applicativo del tetto di spesa riferito alla tipologia di prestazioni sanitarie erogate dal ricorrente, sulla quale si riflettono i vizi riscontrati nella presupposta delibera regionale

Ha, pertanto, dichiarato improcedibile il ricorso per sopravvenuta carenza di interesse con riguardo alla delibera regionale n. 6216 mentre lo ha accolto per il resto, annullando la deliberazione aziendale e stabilendo l’obbligo per l’amministrazione soccombente di adottare le determinazioni consequenziali adeguandosi ai vincoli derivanti dagli effetti conformativi in virtù delle sentenze parzialmente caducatorie del TAR e del Consiglio di Stato.

Avverso detta sentenza ha proposto appello la Regione Campania, sostenendo che i profili di illegittimità evidenziati prima dal TAR (mancata introduzione di effettive misure di contenimento della spesa pubblica sanitaria ed erronea previsione del meccanismo di regressione tariffaria) e poi dal Consiglio di Stato (retroattività della fissazione dei tetti rispetto all’anno 2001) non incidevano sulla parte della delibera in cui erano fissati i tetti di spesa alle strutture private provvisoriamente accreditate relativamente all’anno 2002, non comportando le suddette decisioni alcuna soddisfazione dell’interesse concreto dei ricorrenti, così apparendo erronea la sentenza che da tali decisioni faceva discendere un travolgimento della delibera 6216 e degli atti applicativi relativi ai tetti di spesa del 2002.

Inoltre, gli effetti conformativi delle sentenze si riferirebbero esclusivamente al ripristino del meccanismo della regressione tariffaria annua, non potendosi dare alcuna esecuzione alle pronunce sotto il profilo dell’effettivo intervento sulla spesa pubblica per l’anno 2002, essendo intervenuta la sentenza a fine 20032004. Peraltro, la Regione Campania con delibere di Giunta Regionale n. 1843/05 e n. 800/06 ha operato sensibili tagli di spesa anche nel settore pubblico, recependo i principi ispiratori delle predette decisioni.

Si è costituita in giudizio la parte appellata, depositando memorie difensive.

All’udienza del 26 gennaio 2010 il ricorso è stato discusso, ed il collegio se ne è riservata la decisione.

Motivi della decisione

L’appello è infondato.

Va, preliminarmente, puntualizzato che con il ricorso di primo grado l’interessato ha provveduto ad impugnare sia la deliberazione regionale contenente la determinazione del piano annuale dei volumi delle prestazioni in regime di accreditamento provvisorio e dei correlati limiti di spesa sostenibili in ragione d’anno per il 2001 e 2002, sia l’atto applicativo costituito dalla delibera aziendale di fissazione del tetto di spesa per la singola struttura, e che quest" ultimo è stato annullato per illegittimità derivata dal primo provvedimento.

Non può quindi farsi questione circa le conseguenze dell’ invalidità ad effetto caducante e dell’invalidità ad effetto viziante nell’ambito del rapporto esistente tra deliberazione regionale e deliberazione aziendale, nei termini descritti dal precedente di questa Sezione (Cons. St. Sez. V, n. 6115/09).

Nel presente giudizio, il TAR ha fatto invero corretta applicazione dei principi sull’invalidità ad effetto viziante – che,secondo consolidata giurisprudenza (ex multis Cons. St. Sez. V, n. 6115/09; n. 4053/08) richiede apposita impugnativa dell’atto consequenziale sorretto da nuova valutazione (nella specie proposta), resistendo questo all’annullamento dell’atto presupposto sino alla sua caducazione – ed ha proceduto all’ annullamento della deliberazione aziendale in quanto affetta dai medesimi vizi che inficiavano l’atto presupposto.

Quanto, peraltro, alla natura di atto applicativo rivestita dalla delibera aziendale rispetto all’atto di pianificazione e programmazione regionale non si ritiene sussistano dubbi, anche riguardo a quanto affermato dalla stessa Regione appellante ("Alla luce di tali incontestabili rilievi, appare oltremodo stupefacente la appellata decisione del TAR napoletano che…….ha ritenuto automaticamente travolti dal giudicato di annullamento parziale della predetta delibera 6216/01 anche gli atti applicativi relativi ai tetti di spesa del 2002.").

Per meglio inquadrare il rapporto tra la deliberazione regionale ed il provvedimento aziendale, occorre ribadire che la deliberazione regionale, atto di pianificazione autoritativa e di programmazione destinato ad avere effetti sul bilancio regionale per il contenimento della spesa sanitaria, oltre ad individuare il limite massimo generale attinente al volume delle prestazioni sanitarie, impone alle destinatarie Aziende sanitarie, attraverso i loro direttori generali (peraltro, nel ristretto termine di trenta giorni dalla sua pubblicazione), di fissare i volumi annuali di prestazioni per singole funzioni in applicazione di criteri predeterminati, di assegnare, tenendo conto della mission e del case mix individuati, il volume massimo per ogni soggetto erogatore e, nel contempo, di stabilire, secondo le linee indicate, obiettivi di aumento di produttività per le strutture pubbliche. La funzione programmatoria vincolante, tendente a garantire la corretta gestione delle risorse disponibili, dettata dalla necessità che l’attività dei vari soggetti operanti nel sistema si svolga nell’ambito di una seria ed effettiva pianificazione finanziaria, è stata peraltro già evidenziata nelle precedenti pronunce della Sezione che si sono occupate della materia della fissazione dei tetti di spesa sanitaria (tra le altre, Cons. St. sez. V, sent. n. 499/2003).

Rispetto dunque ad una necessaria attività programmatoria a livello regionale, la fissazione dei volumi di prestazione per i singoli soggetti erogatori da parte delle aziende sanitarie si pone come attività applicativa e concretamente lesiva dell’interesse dei soggetti incisi.

Occorre pertanto accertare, seguendo il ragionamento del TAR, se il giudicato di annullamento dell’atto di programmazione rivesta efficacia erga omnes; se l’annullamento parziale implichi l’obbligo per l’amministrazione di rideterminarsi; se, infine, i riscontrati vizi dell’atto di programmazione si riverberino sull’atto applicativo determinandone l’illegittimità derivata.

In ordine all’efficacia dell’annullamento della deliberazione regionale n. 6216/2001, non può che rilevarsi che la corretta determinazione dei volumi delle prestazioni sanitarie e dei costi massimi per ciascun anno 2001 e 2002 dipende in effetti dall’applicazione da parte della ASL dei criteri dei quali non può che predicarsi il carattere generale.

L’annullamento non può non avere quindi effetti erga omnes e cioè anche a favore della parte ricorrente, in ragione della natura generale delle disposizioni contenute nella delibera in questione, secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale (Cons. St. Sez.IV n.7992/2009; n. 5848/2003;n. 4977/2003; Sez. VI n. 4450/2002), con la conseguenza che il suo ricorso avverso la delibera regionale correttamente è stato dichiarato improcedibile dal primo giudice.

In sensi analoghi, peraltro, la Sezione I del Consiglio di Stato ha espresso il parere 26 maggio 2004 su analoga controversia.

Sulla portata del giudicato in ordine agli effetti cassatori ed agli effetti conformativi, il Collegio non può che prendere atto di quanto enunciato nella sentenza del TAR n. 7845/2002 (e di altre, identiche, intervenute sulla stessa questione) nonché in quella del Consiglio di Stato n.2296/2004, confermativa della prima salvo che per la ulteriore estensione della illegittimità alla fissazione retroattiva dei tetti relativi all’anno 2001.

Nella prima testualmente è stabilito che "Le decisioni regionali infatti si palesano sostanzialmente razionali e devono sotto tale profilo essere giudicate legittime, salvo il solo aspetto della mancata previsione di effettivi interventi di ridimensionamento e di contenimento della spesa anche sul versante delle strutture pubbliche (dovendo per tale aspetto giudicarsi fondate le censure di parzialità e di violazione del principio di libera scelta, che è alla base del nuovo assetto del sistema sanitario nazionale ad assistenza diretta), e salvi taluni profili concernenti la non razionale configurazione in concreto data alla regressione tariffaria." Il TAR ha inoltre parzialmente accolto le doglianze proposte in merito allo squilibrio della delibera regionale tra le strutture private e pubbliche, stabilendo che gli interventi di ottimizzazione del settore pubblico sono "privi di concretezza ed attualità" ed il richiamo motivazionale alla precedente delibera n. 3513 del 20 luglio 2002 "risulta anch’esso inadeguato agli effetti del raggiungimento di quell’equilibrata distribuzione dei sacrifici tra sistema pubblico e strutture private che, per quanto detto, costituisce un requisito di legittimità dell’intervento di controllo della spesa sanitaria".Ha, pertanto, accolto parzialmente il ricorso "nei limiti della censura di mancata introduzione di effettive misure di contenimento della spesa sanitaria relativa alle strutture pubbliche, nonché di quella relativa alla contraddittorietà ed oscurità della previsione del meccanismo di regressione tariffaria, con conseguente annullamento, in tali limiti, dell’impugnata delibera della giunta regionale della Campania n. 6216 del 23 novembre 2001, salvi gli ulteriori atti dell’amministrazione regionale."

Il Consiglio di Stato ha rilevato che "i profili fallaci della determinazione regionale individuati dal TAR sulla base delle censure dei ricorrenti, sono costituiti, essenzialmente, dalla mancata previsione di effettivi interventi di ridimensionamento e di contenimento della spesa anche sul versante delle strutture pubbliche (dovendo per tale aspetto giudicarsi fondate le doglianze di parzialità e di violazione del principio di libera scelta, che è alla base del nuovo assetto del sistema sanitario nazionale ad assistenza diretta), e della irrazionale configurazione data in concreto alla regressione tariffaria".

Alla luce di tali rilevanti principi, non può condividersi quanto sostenuto dall’appellante sulla sostanziale superfluità delle pronunce e sull’inesistenza di un obbligo conformativo dell’amministrazione in ordine alla revisione dei criteri indicati nella deliberazione n. 6216. E’ infatti evidente che l’effetto distorsito rilevato nella decisione regionale, di far gravare cioè i tagli della spesa pubblica esclusivamente sulle strutture private, non può non riflettersi sulle delibere applicative in quanto se le risorse disponibili fossero state equamente ripartite tra settore pubblico e settore privato, l’incidenza del tetto sul settore privato sarebbe stato sicuramente minore, per cui la rilevata necessità di riequilibrio non può che ripercuotersi sulle delibere attuative.

Quanto imposto dal giudice amministrativo in ordine al ridimensionamento ed al contenimento della spesa anche sul versante del settore pubblico serve infatti a soddisfare l’interesse – che coincide anche con quello delle strutture privatea garantire la libertà di scelta dell’utente tra strutture equiordinate (art. 8 bis, commi 1 e 2 del D.Lgs, n. 502 del 1992) e l’efficace competizione fra le strutture accreditate (art. 8 quater, comma 3 lett. b) del D.Lgs. n. 502 del 1992) nonché, tendenzialmente, ad assicurare l’acquisto a seguito di valutazioni comparative della qualità e dei costi e,quindi, l’economicità della scelta (art. 8 quinquies, c. 2 del D.Lgs. n. 502 del 1992) (Cons. St. sent. n. 2296 cit.).

Le delibere attuative quindi sono affette dai medesimi vizi rilevati per la delibera regionale in quanto anche per queste è dato rilevare il medesimo squlibrio nell’incidenza dei tagli tra settore pubblico e privato che incide negativamente sul principio di libera scelta, di efficace competizione, e dell’acquisizione delle prestazioni sulla base di valutazioni comparative di qualità e costi.

Irrilevante appare, inoltre, la circostanza che le pronunce siano intervenute a distanza di tempo rispetto al periodo di riferimento dei tetti, dal momento che il passare del tempo non preclude all’amministrazione di rivedere ora per allora le misure considerate secondo modalità di cui è, comunque, escluso il sindacato nel presente giudizio, attenendo, semmai, all’esecuzione del giudicato.

Non assumono inoltre rilievo le delibere di giunta regionale successivamente adottate che non incidono sui periodi oggetto della presente controversia.

Così delineata la portata delle citate pronunce, non può negarsi che, oltre agli effetti demolitori (parziali) dell’atto programmatorio regionale impugnato, il giudicato amministrativo abbia imposto – così come affermato dal TAR – all’amministrazione regionale anche vincoli conformativi preordinati al soddisfacimento dell’utilità concreta per la parte ricorrente ed atti a garantire, come visto, la tutela della libertà di scelta ed il mantenimento di un sistema competitivo tra settore pubblico e settore privato.

Di qui l’illegittimità derivata dell’ atto applicativo costituito dalla deliberazione aziendale di fissazione dei volumi per ciascun soggetto erogatore, che, risentendo della riscontrata illegittimità ed insufficienza dei criteri e degli obiettivi prefissati posti alla sua base, è affetto dai medesimi vizi rilevati nella deliberazione regionale consistenti, oltre che nella retroattività in riferimento all’anno 2001 e nel meccanismo di regressione tariffaria, nella mancata adozione di altrettanto adeguate ed effettive misure di contenimento della spesa sanitaria anche sul versante delle strutture pubbliche.

In conclusione, l’appello deve essere respinto.

La complessità delle questioni trattate giustifica tuttavia la compensazione delle spese.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione Quinta, definitivamente pronunziando sul ricorso meglio in epigrafe indicato, respinge l’appello e, per l’effetto, conferma la sentenza di primo grado.

Spese compensate.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 gennaio 2010 con l’intervento dei Signori:

Stenio Riccio, Presidente

Gianpiero Paolo Cirillo, Consigliere

Filoreto D’Agostino, Consigliere

Marco Lipari, Consigliere

Francesca Quadri, Consigliere, Estensore

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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