Cons. Giust. Amm. Sic., 02-07-2010, n. 982

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Svolgimento del processo e motivi della decisione

1. – Viene in decisione l’appello interposto dai signori Sc. avverso la sentenza, di estremi specificati in epigrafe, con la quale il T.A.R. della Sicilia, sezione staccata di Catania, ha rigettato il ricorso, proposto in primo grado dagli odierni appellanti, onde ottenere l’annullamento, tra l’altro, della determinazione dirigenziale recante a) l’acquisizione di un’area, di proprietà dei ricorrenti, destinata a parco urbano e b) la liquidazione della relativa indennità risarcitoria.

2. – Si è costituito, per resistere all’impugnazione, il Comune di Motta S. Anastasia.

3. – Il ricorso, all’udienza del 17 marzo 2010, è stato trattenuto in decisione.

4. – Con il primo mezzo di gravame gli appellanti si dolgono della violazione dell’art. 57 del D.P.R. n. 327/2001, in base al quale le disposizioni del relativo Testo unico non si applicano ai progetti per i quali, alla data di entrata in vigore dello stesso decreto, sia intervenuta la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza. Siffatta inapplicabilità ratione temporis, secondo la tesi patrocinata dagli appellanti, riguarderebbe anche l’art. 43 del suddetto D.P.R. n. 327/2001 le cui norme non verrebbero in rilievo nelle fattispecie di irreversibile trasformazione dei fondi occupati determinatesi anteriormente all’entrata in vigore del decreto. I ricorrenti deducono altresì che l’amministrazione avrebbe violato le regole che governano il procedimento amministrativo, non avendo motivato il rigetto delle controdeduzioni.

5. – Il motivo è infondato. Il T.A.R. ha giustamente osservato che, nel caso in disamina, non vi è stata applicazione retroattiva dell’istituto disciplinato dall’art. 43, pur trattandosi di una procedura ablatoria incardinata anteriormente all’entrata in vigore del succitato Testo unico. La giurisprudenza amministrativa ha difatti affermato che l’atto di acquisizione sanante si pone all’esterno del procedimento espropriativo e quindi non soggiace alla succitata disposizione transitoria (tra i molti precedenti in tal senso, Cons. St., sez. V, 11 maggio 2009, n. 2877; id., sez. IV, 21 maggio 2007, n. 2582; id., ad. plen., 29 aprile 2005, n. 2).

6. – Nemmeno può essere accolta la censura in ordine alla carente motivazione del provvedimento di acquisizione sanante, giacché l’amministrazione ha dato conto, seppure mediante una relatio alla deliberazione di G.M. n. 27/2007 (nella quale è menzionata la nota dei ricorrenti), della sussistenza di esigenze di interesse pubblico e della loro ritenuta prevalenza sull’interesse privato sacrificato; l’amministrazione ha inoltre consentito agli appellanti di partecipare al relativo procedimento.

7. – Con il secondo motivo di appello è riproposta, in secondo grado, la contestazione del criterio seguito dal Comune di Motta S. Anastasia nel determinare il valore dell’area acquisita, ricadente in zona F3, destinata a verde pubblico o attrezzato. A tal riguardo il primo Giudice ha riconosciuto la correttezza dell’operato comunale sul presupposto dell’inedificabilità del terreno, qualificazione che ne rendeva possibile l’assimilazione alle zone agricole, con conseguente applicazione dei relativi parametri di valutazione.

Gli appellanti si dolgono altresì dell’erronea individuazione del momento al quale riferire la valutazione dell’area.

8. – La censura è meritevole di accoglimento.

Questo Consiglio ha in più occasioni statuito (C.G.A. n. 52 del 18 febbraio 2009; id., n. 299 del 22 aprile 2009; id., n. 483 del 25 maggio 2009) che, nei casi di acquisizione sanante, occorre far riferimento al valore dell’immobile alla data di adozione del provvedimento di cui all’art. 43 del D.P.R. n. 327/2001.

Il Comune appellato si è invece discostato da tale direttiva esegetica, avendo determinato il valore del bene alla data del 20 giugno 2000, ossia all’inizio dell’occupazione illegittima.

9. – Erroneamente poi il T.A.R. ha giudicato corretto il metodo di computo (dell’importo dovuto) incentrato dall’amministrazione comunale sul valore medio agricolo dell’area. Ed invero, il valore venale degli immobili acquisiti ai sensi dell’art. 43 non può essere determinato in astratto, facendo cioè ricorso a criteri normativi, ma deve essere commisurato, in concreto, al valore che i beni acquisiti avrebbero in una libera contrattazione di mercato. Alla stregua di siffatto criterio bisogna dunque tener conto sia della destinazione urbanistica dei terreni sia delle caratteristiche della zona nella quale essi ricadono sia, più in generale, delle effettive possibilità di sfruttamento economico degli stessi (Cons. St., sez. IV, 19 febbraio 2010, n. 997).

Calato nella fattispecie, il principio sopra enunciato porta ad escludere la legittimità di un’assimilazione delle aree degli appellanti a un terreno agricolo sul presupposto di un’inesistente vincolo di inedificabilità assoluta: in realtà lo strumento urbanistico del Comune di Motta S. Anastasia consente nelle zone F3 un’attività edilizia, sia pur circoscritta ad impianti sportivi all’aperto o chiusi.

10. – Con il terzo motivo di impugnazione gli appellanti si dolgono del rigetto da parte del T.A.R. della richiesta risarcitoria, in ragione della liquidazione del danno già contenuta nel provvedimento adottato ai sensi dell’art. 43; di qui la preclusione, secondo il Tribunale, di una domanda relativa a voci di danno ulteriori.

11. – L’itinerario decisorio percorso dal primo Giudice, ancorché non scalfito dal mezzo di gravame in disamina, richiede tuttavia una precisazione, imposta dall’accoglimento parziale dell’appello e, correlativamente, del ricorso di primo grado (v. i precedenti §§. 8 e 9).

Se il Collegio aderisse all’impianto argomentativo sul quale poggia l’impugnazione, la domanda di un maggiore risarcimento avanzata dagli appellanti dovrebbe essere accolta, dal momento che, come sopra motivato, l’amministrazione comunale non ha correttamente applicato l’art. 43. Sennonché il Collegio ritiene, per contro, che non vi sia spazio per il riconoscimento e la liquidazione di un ulteriore danno, fatto salvo quanto il Comune resistente dovrà corrispondere ai ricorrenti ai sensi della succitata previsione del Testo unico (sul punto, v. infra).

Onde chiarire il senso di quest’ultima asserzione, occorre muovere dalla considerazione della struttura e del contenuto del provvedimento ex art. 43 del D.P.R. n. 327/2001, siccome desumibile dal tenore letterale della disposizione e delle finalità da essa perseguite.

Ebbene, ad avviso del Collegio, nell’unitario atto di acquisizione sanante coesistono e risultano nitidamente distinguibili due diversi contenuti precettivi. Il primo di essi è tipicamente autoritativo e attiene all’individuazione dei presupposti perché possa aversi una legittima ablazione di un immobile. Il secondo riguarda invece la determinazione del risarcimento spettante a fronte dell’acquisizione.

Tale struttura composita del provvedimento comporta, per un verso, che dovrà giudicarsi illegittimo un atto di acquisizione ipoteticamente privo della determinazione del risarcimento, posto che l’art. 43, comma 2, lett. c), individua in tale determinazione un contenuto essenziale del provvedimento e quindi un indispensabile requisito legittimante l’ablazione (non sono quindi de plano trapiantabili nella fattispecie i principi enunciati dall’Adunanza plenaria, nella decisione del 24 maggio 2007, n. 7). Per altro verso, una volta consolidatasi o accertata la legittimità del momento autoritativo del provvedimento, gli altri aspetti della determinazione relativa all’acquisizione sanante non si prestano a un sindacato di legittimità, richiedendo un diverso intervento giurisdizionale. In altri termini, allorquando emerga che l’amministrazione, pur avendo indicato e determinato il risarcimento, non abbia tuttavia correttamente applicato i criteri di liquidazione indicati nel comma 6 del medesimo art. 43, non si è al cospetto di un’illegittimità sanzionabile con l’annullamento dell’atto né l’errato computo dell’importo spettante al proprietario si riverbera sulla legittimità dell’acquisizione. Tale conclusione è sorretta dalla considerazione che la perimetrazione dell’area del risarcimento è stabilita direttamente dalla legge, in forza del ridetto comma 6, e pertanto l’applicazione dei criteri legali attiene a profili squisitamente paritetici della vicenda, non ricorrendo alcuna intermediazione discrezionale dell’amministrazione. La questione allora esorbita dallo schema binomiale dell’illegittimità/azione costitutiva di annullamento, per rifluire nel diverso ambito della corretta attuazione di un obbligo (recte, obbligazione) legale, al cui eventuale inadempimento si correla, secondo il tipico rapporto tra norma, fatto ed effetto, un’azione di accertamento e di condanna. Icasticamente può insomma affermarsi che solo rispetto al momento autoritativo dell’atto di acquisizione si contrappongono interessi legittimi del proprietario: quando invece non difetti la legittimità del provvedimento, allora contro la pretesamente erronea stima del quantum debeatur può unicamente eccitarsi il sindacato giurisdizionale sull’esatta applicazione dei richiamati parametri legali di commisurazione. In questa ipotesi si è infatti in presenza di un’obbligazione risarcitoria di natura aquiliana, ma di fonte legale, intermediata, nella fase genetica, dall’esercizio di un potere tipico autoritativo. In conclusione, il proprietario vanta, con riguardo alla corretta determinazione del risarcimento (che, si ribadisce, deve essere comunque contenuta nel provvedimento di acquisizione), un diritto soggettivo di contenuto patrimoniale, il cui rispetto può essere domandato all’amministrazione o, nei casi patologici, al giudice amministrativo, provvisto in materia di giurisdizione esclusiva. Se quello appena descritto è il quadro di riferimento sostanziale e processuale entro il quale va collocata la vicenda, può trovare conferma la riferita statuizione contenuta nella sentenza impugnata.

Sebbene l’ammontare del danno vada in concreto computato dall’amministrazione secondo i criteri sopra stabiliti, nondimeno gli appellanti non hanno titolo e legittimazione a vedersi riconosciuto un risarcimento diverso da quello loro spettante ai sensi dell’art. 43. 12. – D’altronde i ricorrenti nemmeno hanno domandato l’accertamento di un danno diverso da quello conseguente all’ablazione, ma hanno unicamente richiesto (v. il terzo motivo di impugnazione e il ricorso di primo grado), quali voci ulteriori rispetto a quanto già liquidato dall’amministrazione, gli interessi e la rivalutazione monetaria sulla somma liquidata a titolo di risarcimento fino al soddisfo, nonché, sempre fino al soddisfo, gli interessi legali maturati sull’indennità per l’occupazione legittima. In disparte quest’ultima voce (la cui cognizione esula dalla giurisdizione sul risarcimento del danno ex art. 43, comma 6, del D.P.R. n. 327/2001, attribuita al giudice amministrativo), si tratta di competenze sicuramente dovute, ma tecnicamente non diverse dalle voci indicate dal Comune nel provvedimento impugnato, giacché a queste accessorie (accessorium sequitur principale).

13. – In conclusione, l’appello merita parziale accoglimento nei limiti sopra precisati e, per l’effetto, negli stessi limiti, deve essere riformata la sentenza impugnata; pertanto, in parziale accoglimento del ricorso di primo grado, il risarcimento spettante agli appellanti ai sensi dell’art. 43 del D.P.R. n. 327/2001 dovrà essere rideterminato secondo i criteri sopra stabiliti. A tal fine il Comune resistente è condannato, a norma dell’art. 35 del D.Lgs. n. 80/1998, a formulare una proposta agli appellanti entro 60 (sessanta) giorni dalla notificazione, a cura dei ricorrenti, della presente decisione. 14. – Le superiori considerazioni esauriscono l’oggetto dell’impugnazione e, quindi, ogni altra difesa, richiesta istruttoria o questione è reputata dal Collegio irrilevante o ininfluente ai fini della definizione della controversia.

15. – In ragione della reciproca soccombenza delle parti, nei due gradi, è giustificato disporre la compensazione integrale delle spese processuali dell’intero giudizio. In quest’ultima statuizione è quindi assorbita la pronuncia sull’ulteriore censura degli appellanti diretta a rimuovere la condanna al pagamento delle spese processuali disposta dal T.A.R.

P.Q.M.

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando, accoglie in parte l’appello e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie in parte il ricorso di primo grado e condanna l’amministrazione comunale appellata al pagamento delle somme determinate secondo i criteri e le modalità indicate in motivazione.

Compensa integralmente tra le parti le spese processuali del doppio grado del giudizio.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Palermo dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in sede giurisdizionale, nella camera di consiglio del 17 marzo 2010, con l’intervento dei signori: Riccardo Virgilio, Presidente, Chiarenza Millemaggi Cogliani, Gabriele Carlotti, estensore, Filippo Salvia, Pietro Ciani, componenti.

Depositata in segreteria il 2 luglio 2010.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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