Cass. civ. Sez. III, Sent., 20-06-2011, n. 13487 Assicurazione contro i danni contro gli incendi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

C.E. e C.G. convenivano in giudizio dinanzi al tribunale di Roma la compagnia assicurativa Edile s.p.a. per sentirla condannare al pagamento dei danni che assumevano di avere sopportato, nelle rispettive qualità di proprietaria e di conduttrice di un immobile, a seguito di un incendio che aveva interessato sia le suppellettili che la struttura dell’edificio.

La compagnia assicurativa deduceva che C.E. era priva di legittimazione sostanziale, non essendo la stessa parte del rapporto assicurativo, e che per C.G. la polizza non era operativa, non essendo stato pagato il relativo premio.

Il giudice di primo grado respingeva le domande, dichiarando che C.E., in quanto estranea al rapporto assicurativo, era priva di legittimazione ad agire e che era infondata la pretesa di C.G., che non risultava avesse corrisposto il pagamento della polizza.

Proponevano appello congiuntamente le soccombenti, l’una deducendo che si trattava di contratto a favore di terzo o per conto di chi spetta; l’altra sostenendo che il pagamento del premio era avvenuto tempestivamente, onde la polizza doveva essere ritenuta pienamente operativa.

La compagnia assicurativa chiedeva il rigetto del gravame.

La Corte d’appello di Roma, in accoglimento del gravame, condannava la società assicuratrice Edile s.p.a. a pagare.

La somma di Euro 18.033,64 a favore di C.G. e quella di Euro 10.060,58 a favore di C.E..

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la Sacebt s.p.a.

(già Assicuratrice Edile s.p.a.) con quattro motivi, illustrati anche con memoria.

Resistono con controricorso C.E. e G. C..
Motivi della decisione

Con il primo motivo del ricorso la Sacebt denuncia "Violazione e falsa applicazione degli artt. 214 e 216 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Assume la ricorrente che la Corte d’appello non avrebbe preso in considerazione la circostanza che la copia del contratto di assicurazione prodotta dalle attrici contenente in calce la quietanza di pagamento del premio al momento della stipula del contratto – era stata disconosciuta da essa società assicuratrice nel corso del giudizio di primo grado e che le attrici, a fronte di tale disconoscimento, non avevano chiesto la verificazione della detta scrittura privata.

Specifica la società ricorrente che la valorizzazione della polizza, da cui era derivata la prova che la Corte d’appello aveva ritenuta raggiunta circa l’avvenuto pagamento del premio, sarebbe stata assolutamente illegittima perchè in contrasto con la disciplina prevista dagli artt. 214 e 216 cod. proc. civ., la quale esclude che possa essere preso in esame un documento disconosciuto dalla parte contro cui esso è stato prodotto, qualora non vi sia stata la positiva verificazione in giudizio incidentale, introdotto con la relativa istanza della parte interessata ad avvalersene.

Il motivo è inammissibile, perchè solleva una questione nuova, non risultando dalla sentenza d’appello che la stessa sia stata affrontata.

Se, invece, tale questione fosse stata tempestivamente proposta in appello, l’omesso esame della la Corte distrettuale, doveva essere censurato ai sensi dell’art. 112 c.p.c..

La censura, peraltro, è infondata, poichè, con riguardo ad un contratto che risulti sottoscritto da un soggetto in nome e per conto di un altro, la contestazione dell’autenticità di quella sottoscrizione, che venga effettuata dal rappresentato nel rapporto con l’altro contraente, investe la firma di un terzo, e, quindi, non è riconducibile alla disciplina dettata agli artt. 214 e segg. cod. proc. civ., che si riferisce a disconoscimento della scrittura privata operato dal suo presunto sottoscrittore, con l’ulteriore conseguenza che la contestazione dell’efficacia probatoria di detto documento non richiede un disconoscimento a termini e nelle forme dell’art. 214 cod. proc. civ. con la proposizione di istanza di verificazione, a norma dell’art. 216 cod. proc. civ., nè di querela di falso e resta collegata ad una valutazione dell’autenticità della sottoscrizione del rappresentante, rimessa al libero apprezzamento del giudice del merito alla stregua degli elementi acquisiti (Cass., 8 luglio 1985, n. 4077).

La Corte d’appello ha risolto il caso in esame alla luce dell’argomento presuntivo dell’id quod plerumque accidit in tema di rilascio della quietanza e di consegna della polizza, argomento integrato, comunque, dalla deposizione dell’impiegata dell’agenzia addetta a tale compito, il che costituisce motivazione adeguata circa l’avvenuto pagamento del premio.

Con il secondo motivo si denuncia il difetto di motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, sostenendosi che la sentenza avrebbe errato nel valutare la deposizione resa dai testi escussi nel giudizio di primo grado ed in specie dal dipendente dell’agenzia assicurativa che stipulò la polizza oggetto di causa.

Del pari carente e contraddittorio sarebbe, secondo la società ricorrente, il ragionamento della Corte d’appello in relazione al tempo trascorso tra la stipula del contratto e il momento in cui sarebbe stato opposto dalla compagnia il mancato pagamento del premio.

Anche detta censura non può essere accolta.

Il motivo, anzitutto, non è autosufficiente per quanto riguarda la testimonianza, perchè non riporta l’intera deposizione o i punti della stessa che la ricorrente ritiene non adeguatamente esaminati dal giudice di secondo grado (Cass., 19 marzo 2007, n. 6440).

Per quanto riguarda, poi, l’ulteriore profilo del tempo trascorso fra l’inizio della validità del contratto e il mancato pagamento del premio, si tratta di valutazione di merito, congruamente motivata con ragionamento immune da vizi logici o giuridici e, pertanto, non sindacabile in sede di legittimità.

Con il terzo ed il quarto mezzo di doglianza – che possono essere esaminati congiuntamente, perchè riguardano la medesima questione sotto i distinti profili del vizio di motivazione ( art. 360 cod. proc. civ., n. 5) e della violazione di legge ( art. 360 cod. proc. civ., n. 3) relativamente alle norme di cui agli artt. 1981 e 1917 cod. civ. – la società ricorrente denuncia che l’assicurazione della responsabilità civile non può essere inquadrata fra i contratti a favore di terzo e che avrebbe errato il giudice di merito nell’attribuire diritti, facoltà ed azioni al proprietario dell’immobile quale preteso soggetto assicurato, laddove, anche volendo ritenere applicabile alla fattispecie in esame la norma dell’art. 1891 c.c., il soggetto assicurato doveva essere individuato nel conduttore stipulante e non nel proprietario, locatore dell’immobile.

I due motivi non sono fondati.

Nell’assicurazione per conto di chi spetta ha diritto all’indennità colui che al momento dell’evento dannoso risulti proprietario della cosa o titolare di un diritto reale o di garanzia su di essa, mentre il contraente, anche quando si trova in una relazione di custodia con la cosa, può pretendere l’indennità in luogo dell’avente diritto se quest’ultimo presti il proprio consenso ovvero se ciò sia previsto da apposita clausola (Cass., 13 dicembre 2007, n. 26253).

Questo giudice di legittimità, con riferimento all’ipotesi del contratto di leasing, ha già affermato che, in tema di assicurazione contro i danni alla cosa, il principio secondo cui, in linea generale, deve escludersi che il locatario possa avere interesse all’assicurazione del rischio del perimento o deterioramento della res intesa come cespite patrimoniale, trova un limite nell’ipotesi in cui il rischio della perdita della cosa (nella specie, a causa di incendio) sia pattiziamente posto a carico del locatario e sia, quindi, legittimamente trasferito dal proprietario-locatore all’utilizzatore, sicchè l’assicurazione di questo rischio comporta l’insorgere, in capo a quest’ultimo, di un interesse giuridicamente qualificato all’assicurazione per la perdita del bene, inteso come cespite e non come fonte di reddito, e la conseguente legittimazione a chiedere l’indennizzo (Cass., 3 ottobre 2007, n. 20751).

La suddetta regola di diritto a maggior ragione è praticabile con riferimento al contratto di locazione di immobile, nell’ipotesi, come quella di specie, in cui il conduttore, cui la locazione ha trasferito la custodia del bene locato, abbia stipulato un’assicurazione a copertura dei danni da incendio derivati, oltre che alle cose custodite nell’immobile in suo godimento, anche alle strutture dell’immobile medesime.

Invero, l’interesse giuridicamente qualificato per il conduttore all’assicurazione per la perdita del bene, inteso come cespite, è, in tal caso, evidente, stante a suo carico l’obbligazione ex lege dell’art. 1588 cod. civ. di risarcire dei danni da incendio il proprietario locatore, il quale, quindi, è proprio il soggetto assicurato, legittimato a reclamare l’indennizzo in virtù dell’assicurazione stipulata dal conduttore.

Ne consegue, in aderenza ai principi di diritto di cui innanzi, che la pretesa di C.E. meritava pieno accoglimento, dato che la copertura assicurativa era stata espressamente prevista anche per il bene del terzo.

Infatti, la clausola dell’art. 22 delle condizioni generali, stabilendo che la polizza si intendeva stipulata "per conto proprio e di chi spetta" e che "l’indennizzo liquidato a termini di polizza non può tuttavia essere pagato se non nei confronti o con il consenso dei terzi proprietari", ripete pressochè testualmente proprio la disposizione dell’art. 1891 cod. civ., regolante l’assicurazione per conto di chi spetta.

Il ricorso, quindi, è rigettato e, tenuto conto del diverso esito dei due gradi del giudizio e della particolarità della fattispecie, le spese del giudizio di cassazione sono interamente compensate.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa interamente tra le parti le spese del giudizio di cassazione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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