Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 09-03-2011) 29-03-2011, n. 12805 Violenza sessuale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il G.I.P. del Tribunale di Ascoli Piceno, con ordinanza in data 12.10.2010, sostituiva la misura cautelare della custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari nei confronti di D.A. G., indagato di tentata estorsione aggravata per aver compiuto atti idonei a costringere L.F. a consegnargli la somma di Euro 2 milioni, minacciandolo, al fine di astenersi dal testimoniare nell’ambito di altro procedimento penale nei confronti dello stesso indagato in cui era imputato del reato di violenza sessuale, incendiando un’autovettura Mercedes in uso allo stesso e cagionando lesioni allo stesso L..

Il Tribunale della libertà di Ancona, con ordinanza in data 5/11/2010, in accoglimento dell’appello del PM presso il Tribunale di Ascoli Piceno, ripristinava nei confronti dell’indagato la misura della custodia cautelare in carcere.

Proponeva ricorso per cassazione il difensore dell’imputato deducendo i seguenti motivi:

a) violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c) ed e) per difetto di motivazione dell’ordinanza impugnata, con formule meramente di stile generiche e prive di qualsiasi riferimento alla fattispecie in esame e per mancanza dei requisiti di cui all’art. 274 c.p.p., lett. c), con riferimento al pericolo di reiterazione dei reati, essendosi il Tribunale limitato a sottolineare una presunta "gravità indiziaria", mancando ogni riferimento alla personalità dell’indagato;

b) violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), con riferimento all’art. 275 c.p.p., ed e) c.p.p. per mancanza e manifesta illogicità della motivazione in ordine al criterio della scelta della massima misura cautelare a fronte di quella, di minore gravità, scelta dal G.I.P., avendo il Tribunale fatto riferimento alle modalità dei fatti, non inquadrati temporalmente, omettendo di considerare la personalità dell’agente, senza specificarne la gravità;

c) violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), per violazione dell’articolo tre della Costituzione per disparità di trattamento con l’altro coimputato R.A., rimesso in libertà, e che, in base alle dichiarazioni del pentito A., sarebbe stato il soggetto che materialmente avrebbe posto in essere i fatti estorsivi.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

In relazione alla sussistenza delle esigenze cautelari si deve osservare che il Tribunale del riesame ha esattamente valutato, per quanto riguarda il pericolo di cui all’art. 274 c.p.p., lett. c), sia l’oggettiva gravità e modalità di esecuzione dei fatti, sia la personalità dei ricorrente. Sulla correttezza di tali considerazioni del Tribunale è sufficiente richiamare il principio giuridico, più volte ribadito da questa Corte e condiviso dal Collegio, che in tema di esigenze cautelari, il pericolo di reiterazione del reato può essere desunto dai criteri stabiliti dall’art. 133 c.p., tra i quali sono ricompresi le modalità e la gravità del fatto, sicchè non deve essere considerato il tipo di reato o una sua ipotetica gravità, bensì devono essere valutate – come congruamente è stato operato nel caso di specie – situazioni correlate con i fatti del procedimento ed inerenti ad elementi sintomatici della pericolosità dell’indagato. (Sez. 4, Sentenza n. 34271 del 03/07/2007 Cc. -dep. 10/09/2007 – Rv. 237240).

La motivazione di cui sopra appare, quindi, adeguata a spiegare la scelta della conferma, per il D.A., della misura della custodia cautelare in carcere quale misura idonea a prevenire il pericolo di reiterazione di reati della stessa specie, alla luce dell’orientamento di questa Corte, condiviso dal Collegio, secondo il quale in tema di scelta e adeguatezza delle misure cautelari, non è necessaria un’analitica dimostrazione delle ragioni che rendono inadeguata ogni altra misura, ma è sufficiente che il giudice indichi, con argomenti logico-giuridici tratti dalla natura e dalle modalità di commissione dei reati nonchè dalla personalità dell’indagato, gli elementi specifici che, nella singola fattispecie, fanno ragionevolmente ritenere la misura scelta come la più adeguata ad impedire la prosecuzione dell’attività criminosa, rimanendo in tal modo superata e assorbita l’ulteriore dimostrazione dell’inidoneità delle subordinate misure cautelari. (Cass. Sez. 1A sent. n. 45011 del 26.9.2003 dep. 21.11.2003 rv 227304).

Il Tribunale ha evidenziato la mancanza di qualsiasi nuovo elemento al fine di ritenere attenuato il concreto pericolo che il prevenuto possa compiere altri delitti della stessa specie o, comunque, delitti commessi con l’uso di violenza alle persone, ad eccezione del solo decorso del tempo, avendo ritenuto, al riguardo, di non poter attribuire allo stato di detenzione sofferto dall’indagato alcun rilievo decisivo ai fini della indimostrata interruzione del sodalizio criminoso, evidenziando la gravità dei fatti da cui ha anche desunto la personalità dell’imputato e l’apprezzamento della sua capacità a delinquere sulla base di elementi concreti quali l’avere contattato soggetti già noti alle forze dell’ordine affinchè costoro, con atti di violenza fisica e morale sulle persone e sulle cose, peraltro già posti in essere, inducessero L. F. a non testimoniare nel procedimento nel quale il D.A. è imputato per violenza sessuale, elementi da cui il Tribunale ha desunto la particolare attitudine alla violenza e l’assenza di scrupoli dimostrata dall’indagato inducendo, concretamente, a ritenere il pericolo di reiterazione di reati della stessa specie.

Con riferimento alla dedotta disparità di trattamento rispetto al coimputato R., che, in base alla stessa prospettazione del ricorrente, avrebbe materialmente posto in essere le condotte estorsive su richiesta dell’indagato, quale mandante, non può non evidenziarsi il diverso ruolo assunto dai computati, mentre la scelta della misura applicabile non può che essere fondata su elementi specifici personali diversi per ciascun indagato.

E’ evidente, quindi, che le censure – generiche – proposte dal ricorrente, pur investendo formalmente la motivazione del provvedimento impugnato o la conformità dello stesso ai presupposti giuridici che lo giustificano, in realtà si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (che, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, ha motivato adeguatamente sulle ragioni che giustificano la permanenza della custodia cautelare in carcere). Tali censure sono pertanto improponibili, perchè superano i limiti cognitivi di questa Suprema Corte, che, quale giudice di legittimità, deve far riferimento solo all’eventuale mancanza della motivazione o alla sua illogicità o contraddittorietà. (Si vedano fra le tante: C SU 12/12/1994, De Lorenzo, CED199391; C 6, 15/05/2003, P., GD 2003, n 45,93).

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento.

La cancelleria si farà carico degli adempimenti informativi connessi alla definitività del provvedimento cautelare ed alla sua esecuzione (art. 28 reg. esec. C.p.p.).
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 28 reg. esec. C.p.p..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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