Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 08-03-2011) 29-03-2011, n. 12752

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

sona del Dott. SPINACI Sante, che ha concluso per il rigetto.
Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 15/02/2010, la Corte di Appello di Messina confermava la sentenza del 6/03/2006 con la quale il g.m. del Tribunale di Patti aveva ritenuto P.G.D. responsabile del delitto di cui all’art. 633 c.p. perchè, dopo aver forzato la porta d’ingresso, invadeva, al fine di occuparlo, l’alloggio di proprietà IACP. 2. Avverso la suddetta sentenza, l’imputata, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione deducendo i seguenti motivi:

1. Violazione dell’art. 633 c.p.. per non avere la Corte territoriale valutato che:

a) avendo l’imputata presentato regolare domanda di assegnazione, avrebbe dovuto trovare applicazione il disposto della L. n. 513 del 1977, art. 26, comma 4;

b) l’immobile non era goduto da alcuno perchè l’ultima assegnataria era deceduta due anni prima;

c) il dolo doveva riguardare la coscienza e volontà di invadere l’altrui bene: nel caso di specie, la P., invece, aveva ritenuto di occupare un bene di cui, a seguito della richiesta di assegnazione da parte del marito (il giudice aveva omesso di valutare, sul punto, la testimonianza del dipendente IACP, G. G. che aveva appunto confermato la suddetta circostanza:

motivo sub 3), riteneva essere stata autorizzata ad occupare;

2. violazione degli artt. 132 e 133 c.p. per non avere entrambi i giudici di merito motivato in ordine al trattamento sanzionatorio irrogato;

3. violazione degli artt. 516 e 521 c.p.p. per avere la Corte territoriale ritenuto che la condotta della prevenuta si fosse protratta fino al novembre del 2005 laddove nel capo d’imputazione era stata contestata la condotta risalente al 16/02/1997: il che, poi, aveva avuto influenza anche sulla prescrizione che era stata negata (motivo sub 5).
Motivi della decisione

3. violazione dell’art. 633 c.p.: la censura è manifestamente infondata.

La considerazione dalla quale partire è che l’assegnazione di un alloggio di edilizia popolare consiste in un complesso procedimento caratterizzato da una fase di natura amministrativa (finalizzata all’accertamento delle condizioni per l’assegnazione) alla quale segue, una volta che abbia esito positivo, una fase di natura privatistica che si conclude solo nel momento in cui all’assegnatario, previa stipula del relativo contatto, venga consegnato l’immobile, come desumibile dal D.P.R. n. 1035 del 1972, stesso art. 11 a norma del quale "dopo la stipulazione del contratto, l’Istituto autonomo per le case popolari procede alla consegna dell’alloggio all’interessato o a persona da lui delegata".

Da ciò consegue che:

– fino a che non sia stato stipulato il contratto, l’assegnatario non può vantare sull’immobile alcun diritto;

– possessore dell’immobile, fino alla consegna, resta l’Istituto Autonomo delle Case popolari al quale solo compete la tutela del medesimo sotto ogni profilo giuridico (ad es. esercizio di azioni possessorie nei confronti di terzi che pretendano di esercitare diritti sull’immobile).

Quanto appena detto serve a confutare la prima delle censure proposte: infatti, non ha alcuna rilevanza, sotto il profilo giuridico, che il marito della ricorrente avesse presentato una semplice domanda di assegnazione per ritenerla legittimata – senza neppure un provvedimento di assegnazione – a sfondare la porta di ingresso ed occupare l’immobile: ciò che rileva è che, nel momento in cui la ricorrente occupò l’immobile il procedimento di assegnazione non si era ancora concluso perchè non era ancora stata dichiarata assegnataria dell’immobile sicchè non avrebbe potuto esercitare sul medesimo alcuna azione tanto meno di natura violenta.

La L. n. 575 del 1977, all’invocato art. 26, comma 4 nel prevedere mere sanzioni amministrative nei confronti di chiunque occupi un alloggio di edilizia residenziale pubblica senza le autorizzazioni previste dalle disposizioni in vigore, è una norma che si aggiunge ma non certo elide la configurabilità penale della condotta della prevenuta.

L’occupazione effettuata, va, quindi, considerata arbitraria (per tale dovendosi intendere, come nel caso di specie, l’invasione effettuata con violenza o clandestinità: Cass. 19/2/1990, Rv 185013) a nulla rilevando il preteso stato soggettivo della ricorrente (ossia di credere che bastasse aver presentato l’istanza di assegnazione per essere autorizzata ad occupare manu militari l’immobile), anche perchè lo stesso compimento dell’azione violenta o clandestina indica uno stato soggettivo incompatibile con il preteso esercizio di un diritto soggettivo (che, ove fosse esistito, avrebbe legittimato la ricorrente a tutelarsi in sede giudiziaria).

4. Violazione degli artt. 132 e 133 c.p.: risulta dalla sentenza impugnata che alla prevenuta è stata irrogata "la misura della sanzione sui valori minimi di legge": di conseguenza, la censura va ritenuta manifestamente infondata per genericità non avendo la ricorrente neppure indicato di cosa, in concreto, si dolga.

5. Violazione degli artt. 516 e 521 c.p.p.: anche la suddetta censura è manifestamente infondata per le ragioni di seguito indicate.

Il reato in questione è, pacificamente, un reato di natura permanente sicchè la Corte territoriale, adeguandosi alla costante giurisprudenza di questa Corte di legittimità, ha correttamente rilevato che "in assenza della cessazione della condotta antigiuridica, deve ritenersi permanente fino alla sentenza di primo grado (6/3/2006), con la conseguenza che non può ritenersi maturato il termine di prescrizione".

Nel caso di specie, poi, correttamente la Corte territoriale – dopo avere rilevato che il P.M. aveva riportato nel capo d’imputazione la sola data dell’accertamento del fatto (16/02/1997) – ha applicato anche la giurisprudenza di questa Corte secondo la quale "poichè la contestazione del reato permanente, per l’intrinseca natura del fatto che enuncia, contiene già l’elemento del perdurare della condotta antigiuridica, qualora il pubblico ministero si sia limitato ad indicare esclusivamente la data iniziale (o la data dell’accertamento) e non quella finale, la permanenza – intesa come dato della realtà – deve ritenersi compresa nell’imputazione, sicchè l’interessato è chiamato a difendersi nel processo in relazione ad un fatto la cui essenziale connotazione è data dalla sua persistenza nel tempo, senza alcuna necessità che il protrarsi della condotta criminosa formi oggetto di contestazioni suppletive da parte del titolare dell’azione penale.

(Nell’affermare detto principio la Corte ha precisato che la contestazione del reato permanente assume una sua "vis expansiva" fino alla pronuncia della sentenza, e ciò non perchè in quel momento cessi o si interrompa naturalisticamente o sostanzialmente la condotta, sebbene solo perchè le regole del processo non ammettono che possa formare oggetto di contestazione, di accertamento giudiziale e di sanzione una realtà fenomenica successiva alla sentenza, pur se legata a quella giudicata da un nesso inscindibile per la genesi comune, l’omogeneità e l’assenza di soluzione di continuità, la quale potrà essere eventualmente oggetto di nuova contestazione)": SSUU 11021/1998 Rv. 211385 – Cass. 27381/2003 Rv.

225021.

Di conseguenza, manifestamente infondata deve ritenersi la doglianza sia in ordine alla pretesa violazione degli artt. 516 e 521 c.p.p. sia in ordine alla declaratoria di prescrizione.

6. In conclusione, l’impugnazione deve ritenersi inammissibile a norma dell’art. 606, c.p.p., comma 3, per manifesta infondatezza:

alla relativa declaratoria consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè al versamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 1.000,00.
P.Q.M.

DICHIARA Inammissibile il ricorso e CONDANNA la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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