Cass. civ. Sez. I, Sent., 20-06-2011, n. 13454 Ricorso

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato l’11.7.1991, G.T. convenne in giudizio, davanti al tribunale di Roma, V. C. – dal quale aveva divorziato con sentenza in data 23.1.1990 dello stesso tribunale – per chiedere la divisione dei beni già appartenuti alla disciolta comunione legale, regime che aveva caratterizzato i rapporti patrimoniali fra esse parti durante il matrimonio.

Il C., costituendosi in giudizio, contestò la domanda e chiese la sospensione del processo, ai sensi dell’art. 295 c.p.c., adducendo la pregiudizialità di altra causa, pendente all’epoca in Cassazione, circa la contestata appartenenza alla comunione legale fra essi coniugi dei beni immobili, siti in (OMISSIS) ed in territorio del comune di (OMISSIS), acquistati durante il matrimonio.

Definita tale causa pregiudiziale con sentenza n. 5603, in data 17.5.1993, di questa Suprema Corte, nel senso della sussistenza della comunione, il giudizio instaurato dalla G. proseguì davanti al tribunale per l’istruzione, mediante consulenza tecnica d’ufficio, della domanda principale di scioglimento della comunione, e di quella riconvenzionale, concernente richiesta di condanna dell’attrice al rimborso di metà delle somme che il convenuto affermava di avere personalmente ed interamente erogato per l’acquisto, il miglioramento, la gestione e la manutenzione degli immobili caduti in comunione. In esito al processo – durante il quale, su richiesta della G., i beni da dividere erano stati sottoposti a sequestro giudiziario, cui fu sottratto, dietro reclamo del convenuto, il solo immobile in cui egli esercitava la professione di avvocato – il tribunale di Roma, con sentenza provvisoriamente esecutiva, pubblicata il 22.2.1999, dispose lo scioglimento della comunione, attribuendo distinte quote agli ex coniugi, e condannò V. C. a versare all’attrice la somma di L. 65.000.000, risultante dalla compensazione di opposte partite di dare ed avere, con interessi legali.

Per la riforma di tale sentenza propose appello il C., con quattro motivi, volti ad affermare il proprio diritto alla restituzione del 50% delle somme investite nell’acquisto d’immobili caduti in comunione; ad insistere per il rigetto delle richieste risarcitorie avanzate dalla G. e per l’accoglimento, previa riconvocazione del consulente tecnico d’ufficio o rinnovo della consulenza, delle proprie domande di rimborso di somme erogate a vario titolo per la gestione, la conservazione ed il miglioramento dei beni comuni; con rivalutazione monetaria ed interessi dai relativi esborsi al saldo.

G.T., costituendosi in giudizio, chiese il rigetto del gravame e domandò, con appello incidentale, che fosse accertato e dichiarato il proprio diritto di ottenere l’integrale risarcimento dei danni subiti per effetto dell’esclusiva utilizzazione degli immobili comuni da parte dell’ex marito.

Con sentenza depositata il 19.12.2001, la Corte d’appello di Roma, accogliendo l’impugnazione incidentale e respingendo quella principale, riformò parzialmente la decisione di primo grado e condannò il C. a versare alla ex moglie la somma di L. 185.843.000, oltre gl’interessi maturati giorno per giorno sulla somma di L. 120.843.000 e gli interessi legali sull’intera somma liquidata, a partire dalla data della sentenza. Condannò, inoltre, l’appellante al pagamento delle spese del grado nei confronti della controparte.

Per la cassazione di detta sentenza ricorse il C. con quattro motivi, cui resistette la G..

Questa Suprema Corte, con sentenza 10896/05, accolse per quanto di ragione il ricorso e per l’effetto cassò la sentenza di appello impugnata in relazione alle censure accolte e rinviò il giudizio ad altra sezione della Corte d’appello di Roma per la determinazione dell’importo effettivamente dovuto dal C. alla G..

A seguito di tale pronuncia , il C. adiva la Corte d’appello e, previa evidenziazione dell’avvenuto pagamento da parte sua delle somme determinate dalla sentenza della Corte di appello (poi cassata) per totali Euro 127.554,81, chiedeva che la G. venisse condannata a restituire la somma di Euro 93.985,12 (detratta in tal modo quella oggetto della sentenza di primo grado) oltre interessi dal 22.10.2002 al saldo e rivalutazione monetaria dalla notifica dell’atto di citazione al saldo; con vittoria delle spese del giudizio e condanna della controparte ex art. 96 c.p.c..

Si costituiva la G. per contestare l’atto proposto dal ricorrente perchè ritenuto inammissibile quale ricorso ex art. 389 c.p.c. ed infondato quanto al merito della richiesta di restituzione delle somme indicate perchè, in esito al rinvio operato dalla cassazione, il giudice di rinvio doveva rideterminare il credito vantato da essa G. secondo le decorrenze indicate e poi rivalutato ed accrescerlo di interessi legali.

La Corte d’appello di Roma, con sentenza 1189/10, in parziale riforma della appellata sentenza, determinava in Euro 94.366,78 il credito spettante alla G. nei confronti del C., da maggiorare degli interessi al tasso legale dall’11.7.1991 al 22.10.2002, pari a Euro 63.306,78, e così per un totale del credito di Euro 162.672,82 e, in conseguenza e per l’effetto di ciò, e operata la compensazione con quanto già pagato dal C. il 22.10.2002 per Euro 127.554,81, condannava quest’ultimo a pagare alla G. la somma di Euro 35.118,01 da maggiorare degli interessi legali dalla data del 23.10.2002 al saldo effettivo; compensava al 50% le spese del grado e per l’intero quelle del giudizio di cassazione.

Avverso detta sentenza ricorre per cassazione il C. sulla base di nove motivi, illustrati con memoria, cui resiste con controricorso la G. che, a sua volta, propone ricorso incidentale cui resiste con controricorso il C..
Motivi della decisione

Il ricorrente con il primo motivo del ricorso principale deduce la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione agli artt. 112 e 389 cod. proc. civ., per mancata corrispondenza tra chiesto e pronunciato e per erronea interpretazione della domanda perchè la Corte d’appello ha ritenuto che esso ricorrente avesse incardinato ex art. 392 c.p.c. il giudizio di rinvio a seguito della sentenza di questa Corte 10896/05 ed ha giudicato in conseguenza mentre, invece, il giudizio proposto era quello di restituzione ex artt. 389 c.p.c. sulla cui domanda nessuna pronuncia è stata emessa.

Con il secondo motivo ripropone la medesima questione sotto il profilo del vizio motivazionale.

Con il terzo ed il quarto deduce, ancora, la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione, questa volta, all’art. 389 cod. proc. civ. perchè si sarebbe negato ad esso ricorrente il diritto ad un autonomo giudizio di ripetizione ed ad una immediata sentenza di restituzione.

Con i motivi dal quinto al nono contesta la determinazione degli importi a lui addebitati dalla sentenza impugnata deducendo anche la violazione del giudicato interno.

Con l’unico motivo di ricorso incidentale la G. si duole della mancata dichiarazione di inammissibilità della domanda restitutoria della controparte.

I due ricorsi vanno preliminarmente riuniti ex art. 335 c.p.c..

I primi quattro motivi di ricorso principale possono essere esaminati congiuntamente e gli stessi si rivelano fondati.

Dall’atto introduttivo del giudizio innanzi alla Corte d’appello di Roma risulta chiaramente che il C., a seguito della parziale cassazione della sentenza di secondo grado da parte di questa Corte, aveva chiesto, ai sensi dell’art. 389 c.p.c., la restituzione delle somme da lui versate nelle more del giudizio alla G..

La stessa sentenza impugnata da atto che il giudizio era stato introdotto ai sensi dell’art. 389 c.p.c. e, del resto, dalle conclusioni riportate nell’atto introduttivo del giudizio risulta chiaramente come unica domanda proposta quella di restituzione della somma percepita in virtù della sentenza n. 4109/01 della Corte d’appello di Roma, parzialmente cassata dalla sentenza n. 10896/05 di questa Corte.

La sentenza impugnata non contiene alcuna pronuncia su detta domanda, ma ha ritenuto che il C. avesse riassunto, a seguito della pronuncia n. 10896/05 di questa Corte, il giudizio in sede di rinvio ai sensi dell’art. 392 c.p.c., ed ha conseguentemente emesso la sentenza impugnata come se si fosse trattato di un giudizio di tal fatta provvedendo, in osservanza del dettato della pronuncia di questa Corte, a determinare l’importo effettivamente dovuto dal C. alla G..

Nel caso di specie non può ritenersi che si verta in una ipotesi di mera interpretazione della domanda da parte del giudice di merito, il quale ha il potere – dovere di qualificare giuridicamente l’azione e di attribuire al rapporto dedotto in giudizio un "nomen juris" diverso da quello indicato dalle parti, con il limite però di non sostituire la domanda proposta con una diversa, modificandone i fatti costitutivi o fondandosi su una realtà fattuale non dedotta, è allegata in giudizio tra le parti. (Cass 15925/07; Cass 23215/10).

La domanda ex art. 389 c.p.c., avendo un petitum meramente restitutorio delle prestazioni effettuate in base ad una sentenza successivamente cassata, comportante la riduzione in pristino ovvero afta restituzione di quanto pagato, è, infatti, del tutto diversa quanto a petitum e causa petendi rispetto a quella proposta in sede di giudizio di rinvio che attiene alla decisione del giudizio per la parte ancora non definita.

Del resto non poteva ignorare la Corte d’appello che il C. aveva altresì riassunto, con separato atto ex art. 392 c.p.c., in sede di rinvio il giudizio conseguente alla cassazione parziale della sovra citata sentenza della Corte d’appello e che era stata chiesta la riunione dei due giudizi (quello ex art. 389 c.p.c., e quello ex art. 392 c.p.c.): domanda rigettata dal Presidente della terza sezione della Corte d’appello.

Circa il rapporto tra il giudizio ex art. 389 c.p.c. e art. 392 c.p.c. e la loro differente natura questa Corte ha in più occasioni affermato che la domanda ex art. 389 c.p.c., può essere proposta nello stesso giudizio di rinvio oppure in separata sede (Cass. 1980/4275, Cass. 1983/4735, Cass. 1993/11872, Cass. 2001/207; Cass. 2008/21901), ma in tale seconda ipotesi i due processi non debbono essere necessariamente riuniti innanzitutto perchè le domande di restituzione o di riduzione in pristino sono del tutto autonome da quella del giudizio di rinvio (Cass. 1987/95129, Cass. 1988/2800) e prescindono completamente dalla fondatezza o meno di quest’ultima, Cass. 1989/2841).

L’azione di cui all’art. 389 c.p.c. assolve, infatti, alla distinta e specifica esigenza di garantire all’interessato la possibilità di ottenere al più presto la restaurazione della situazione patrimoniale anteriore alla pronuncia della decisione poi annullata (Cass. 1990/3 539, Cass. 1990/8447, Cass. 1992/12662, Cass. 1993/2372, Cass. 1993/4037).

Anche
P.Q.M.

alla trattazione congiunta del giudizio di rinvio e di quello ex art. 389 c.p.c., dato che l’istruttoria e la risoluzione della lite principale potrebbero ritardare la decisione di quella sulle restituzioni o la riduzione in pristino (Cass. 1981/871, Cass. 1981/1669, Cass. 1994/11214), che non deve essere invece procrastinata neppure nell’ipotesi in cui sussistano buone probabilità che il processo di rinvio si concluda con la conferma del dispositivo della sentenza cassata (Cass. 1987/5129).

Nel caso di specie dunque la Corte d’appello si è pronunciato su una domanda che non era stata in alcun modo proposta dal C. e della quale era già stato investito un diverso giudice da quello del rinvio, omettendo al contempo di pronunciarsi sulla domanda che questi aveva effettivamente proposto.

I primi quattro motivi del ricorso vanno pertanto accolti restando assorbiti gli altri.

Da quanto fin qui detto emerge l’infondatezza dell’unico motivo di ricorso incidentale condizionato della G. che si duole della mancata dichiarazione di inammissibilità della domanda restitutoria della controparte.

Il giudizio ex art. 389 c.p.c. e quello ex art. 392 c.p.c. sono tra loro distinti e separati. Il primo assolve,infatti , alla distinta e specifica esigenza di garantire al più presto all’interessato la restaurazione della situazione patrimoniale anteriore alla pronuncia della decisione poi annullata (Cass. 1990/3539, Cass. 1990/8447), mentre il secondo ha per oggetto, nel caso di specie, la definitiva statuizione dei rapporti di dare ed avere tra le parti . Tra i due giudizi non vi è dunque alcuna interrelazione anche se è evidente che sarà la statuizione finale del giudizio di rinvio che determinerà in via definitiva quanto dovrà essere effettivamente corrisposto da un parte all’altra con il conseguente conguaglio conclusivo, che terrà conto anche delle somme restituite in adempimento della presente sentenza.

Nè può sostenersi che comunque un credito residuava a favore della G. anche a seguito della sentenza di questa Corte di cassazione, che aveva individuato il periodo cui correlare il diritto di credito di essa ricorrente incidentale, posto che la pronuncia di cassazione fa comunque venir meno l’intera statuizione sugli importi dovuti, dovendo questi essere rideterminati ex novo dalla Corte d’appello in sede di rinvio.

Va aggiunto infine che nessuna rilevanza poteva rivestire nel presente giudizio, in quanto inammissibile, la richiesta della G. proposta in via incidentale di determinare le somme ad essa dovute, poichè tale richiesta doveva essere proposta nel giudizio di rinvio.

In conclusione dunque il ricorso principale va accolto nei termini di cui sopra, mentre va rigettato il ricorso incidentale. La sentenza impugnata va pertanto cassata e, sussistendo i requisiti di cui all’art. 384 c.p.c., può emettersi pronuncia sul merito condannandosi la G. alla restituzione della somma di Euro 93.985,21, giusta domanda del ricorrente, con gli interessi legali dalla data del pagamento.

Stante la complessità della vicenda si compensano per la metà le spese del presente giudizio e quelle del giudizio di merito, che vengono liquidate come da dispositivo.

In caso di diffusione della presente sentenza vanno omessi le generalità e gli altri dati identificativi ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 1993, art. 52.

P.Q.M. Riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso incidentale ed accoglie i primi quattro motivi del ricorso principale, assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito, condanna la G. alla restituzione della somma di Euro 93.985,21 con gli interessi legali dalla data del pagamento ricevuto al saldo; compensa per la metà le spese del presente giudizio e di quello di merito e condanna la G. al pagamento dell’altra metà che ai liquida, per la fase di merito, in Euro 400,00 per diritti, Euro 600,00 per onorari oltre Euro 50,00 per esborsi e, per il giudizio di legittimità, in Euro mille/00 per onorari oltre Euro 100,00 per esborsi; per entrambi i giudizi sono dovute le spese generali e gli accessori di legge.

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