Cass. civ. Sez. I, Sent., 05-07-2010, n. 15836 ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITA’

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 5 maggio 2001 il Tribunale di Avellino, accogliendo le domande proposte dall’architetto T.G., condannò il Comune di Montorio Inferiore al risarcimento del danno cagionato dall’occupazione acquisitiva di un terreno di proprietà dell’attore, cominciata in forza di decreto sindacale del 9 maggio 1981, e giunta alla scadenza il 9 maggio 1988. Il terreno era stato irreversibilmente trasformato, e per esso non era stato emesso il decreto di espropriazione.

La Corte d’appello di Napoli, accogliendo parzialmente il gravame del comune, determinò con sentenza 2 marzo 2004 il danno in Euro 72.621,61 alla data della decisione, avendo aggiornato a quella data i valori accertati in causa con riferimento al maggio 1988 sulla base degli indici ISTAT dei prezzi al consumo per famiglie di operai ed impiegati, e vi aggiunse gli interessi legali sulla somma rivalutata anno per anno. Nella determinazione del danno, la corte tenne conto del fatto che la parte del fondo compresa in zona edificatoria era di fatto inedificabile, e la liquidò secondo gli stessi valori accertati per l’area agricola. La corte liquidò inoltre l’indennità per sette anni di occupazione legittima – con il criterio della frazione dell’indennità di espropriazione dei suoli agricoli per ciascuna annualità – nella somma di Euro 3.098,04, oltre agli interessi al tasso del 5% dalla scadenza di ciascuna annualità al saldo.

Per la cassazione della sentenza, non notificata, l’architetto T. ricorre con atto notificato il 22 marzo 2005, con tre mezzi d’impugnazione.

Resiste il Comune di Montorio Inferiore con controricorso e ricorso incidentale.

Motivi della decisione

I due ricorsi, proposti contro la medesima sentenza, devono essere riuniti a norma dell’art. 335 c.p.c..

Con il primo motivo del ricorso principale si deduce che, trattandosi di fattispecie di accessione invertita, la determinazione del valore del fondo irreversibilmente trasformato dall’ente nel corso dell’occupazione doveva essere riferita alla data di cessazione dell’occupazione legittima (9 maggio 1988); e che la corte territoriale avrebbe invece utilizzato le valutazioni contenute nella consulenza tecnica d’ufficio, nella quale si faceva riferimento all’anno 1981. La dimostrazione dell’assunto risulterebbe dal calcolo aritmetico che porta a far coincidere il valore stimato dal giudice di merito con la media aritmetica dei valori venali indicati dal consulente tecnico, e che erano riferiti al 1981 e non al 1988.

L’errore denunciato con il mezzo in esame non è desumibile dalla lettura della sentenza impugnata, nella quale, al contrario, sulla premessa non contestata della necessità di aver riguardo alla data del maggio 1988, si afferma che il valore accertato è avvalorato da un atto del 1991 utilizzato a fine di comparazione dal consulente, e al tempo stesso dal prezzo della compravendita più vicina, tra quelle indicate dallo stesso attore, alla data dell’acquisizione dell’area, perchè intervenuta nel novembre 1987. L’autonoma determinazione assunta dal giudice di merito non è censurata in modo corrispondente al suo contenuto, e il mezzo si traduce in una sollecitazione, rivolta alla corte, perchè riesamini gli atti del processo, inammissibile nel presente giudizio di legittimità.

Con il secondo motivo si deduce che l’indice di rivalutazione del valore del fondo indicato dalla corte, pari a 1,7768, sarebbe errato, perchè quello esatto sarebbe 1,9142, e che la motivazione sul punto sarebbe insufficiente.

Anche questo motivo attiene esclusivamente al merito della causa, e non individua alcun vizio di legittimità, tra quelli contemplati nell’art. 360 c.p.c., primo 1. L’osservazione critica, che il giudice di merito non avrebbe "dato alcuna contezza al di fuori del generico e stereotipo richiamo agli assunti prezzi al consumo per le famiglie di impiegati ed operai", è priva di fondamento, data l’univoca indicazione, nella sentenza impugnata, delle tabelle ISTAT, di dominio pubblico, degli indici di rivalutazione dei prezzi al consumo per famiglie di operai e impiegati, e, supponendo la mancata identificazione da parte del ricorrente della tabella applicabile, inficia il valore della stessa affermazione che l’indice sarebbe diverso.

Con il terzo motivo si censura per violazione di norme di diritto il calcolo dell’indennità annuale di occupazione del terreno agricolo in misura pari ad una frazione dell’indennità di espropriazione, a sua volta commisurata al valore agricolo medio di terreno a coltura seminativo arborato, laddove, nel caso di accessione invertita, e quindi di illecita appropriazione, la base del calcolo sarebbe costituita dal valore di mercato stabilito dalla stessa sentenza per determinare il danno, e non il valore agricolo medio.

Il motivo è infondato. Trattandosi di indennità di occupazione legittima di terreno agricolo, deve trovare applicazione la L. n. 865 del 1971, art. 20, comma 3 per il quale l’indennità di occupazione è determinata in una somma pari,per ciascun anno di occupazione, ad un dodicesimo dell’indennità che sarebbe dovuta per l’espropriazione dell’area da occupare, calcolata a norma dell’art. 16, vale a dire in ragione del valore agricolo medio, nel precedente anno solare, dei terreni considerati liberi da vincoli di contratti agrari, corrispondente al tipo di coltura in atto nell’area da espropriare.

La circostanza che in concreto non sia dovuta poi l’indennità di espropriazione, bensì il risarcimento del danno, non ha alcuna incidenza sull’indennità di occupazione legittima qui liquidata.

Con il ricorso incidentale il comune, denunciando la violazione della L. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 40 e delle norme del codice civile in tema di risarcimento del danno, lamenta che, nel liquidare il danno per la frazione residua dell’area, rimasta al proprietario ma del tutto inutilizzabile, la corte territoriale abbia riconosciuto al relitto un valore pari a quello di mercato. Nella fattispecie si trattava di ablazione parziale, alla quale doveva applicarsi L. n. 2359 cit., art. 40 e la riduzione di valore del bene residuo non poteva essere pari al suo valore integrale.

Il ricorso è infondato. L’accertamento di fatto, non censurato, della totale inutilizzabilità della frazione residua del fondo comporta che il danno sia pari al valore della porzione nel momento precedente all’illecita ablazione, senza che in ciò sia ravvisabile alcuna violazione delle norme invocate.

In conclusione entrambi i ricorsi devono essere respinti. Le spese del giudizio di legittimità seguono la prevalente soccombenza del ricorrente principale, e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE riunisce i ricorsi e li rigetta. Condanna il ricorrente principale al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 3.200,00 di cui Euro 3.000,00 per onorari, oltre alle spese generali e agli accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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