Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 11-02-2011) 29-03-2011, n. 12719 Reato continuato e concorso formale

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Dott. D’AMBROSIO Vito che ha chiesto il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con l’ordinanza in epigrafe indicato il Tribunale di Salerno ha confermato il provvedimento emesso in data 18.10.2010 dal Gip presso il Tribunale della stessa città, applicativo della misura cautelare degli arresti domiciliari nei confronti di T.B., indagato, del reato di detenzione continuata ai fini di spaccio di sostanza stupefacente del tipo cocaina ex art. 81 cpv. c.p. e D.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, art. 73.

Propone ricorso per Cassazione l’imputato articolando un unico motivo, con il quale lamenta la carenza o manifesta illogicità della motivazione in relazione al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, sul rilievo che sarebbe mancato nella ordinanza impugnata ogni riferimento al quadro indiziario circa la destinazione a terzi della sostanza stupefacente, difettando del resto il rinvenimento di alcuna sostanza stupefacente nella disponibilità dell’imputato. In particolare sostiene il ricorrente che gli elementi posti alla base del provvedimento in questione si fonderebbero esclusivamente sul contenuto di intercettazioni telefoniche asseritamente dimostrative, invece, solo dei rapporti intrattenuti dal T., all’epoca consumatore di cocaina, con il fornitore della sostanza. Sotto un altro profilo, si lamenta l’illogicità della motivazione con riferimento alle esigenze cautelari, erroneamente fondate sul pericolo di reiterazione del reato ex art. 274 c.p.p., comma 1, lett. c), nonostante l’incensuratezza del T..

Il ricorso non può trovare accoglimento, laddove si risolve in una censura sulla valutazione del quadro indiziario posto a fondamento del provvedimento de libertate che esula dai poteri di sindacato del giudice di legittimità, non palesandosi il relativo apprezzamento motivazionale nè manifestamente illogico, nè viziato dalla non corretta applicazione della normativa di settore. In proposito, va ricordato che, secondo assunto non controverso, in tema di misure cautelari personali, la valutazione del peso probatorio degli indizi è compito riservato al giudice di merito e, in sede di legittimità, tale valutazione può essere contestata unicamente sotto il profilo della sussistenza, adeguatezza, completezza e logicità della motivazione, mentre sono inammissibili, viceversa, le censure che, pure investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze già esaminate da detto giudice (di recente, ex pluribus, Cass., Sez. 4, 4 luglio 2003, Pilo; nonchè, Sez. 4, 21 giugno 2005, Tavella). Ciò che, nella specie, il ricorrente fa quando si limita a contestare "nel merito" il quadro probatorio a carico evidenziato nell’ordinanza cautelare, fondato sul contenuto di intercettazioni plurime, il cui significato probatorio è stato analizzato con attenzione ed è supportato da una motivazione ampiamente esaustiva, specie ove si consideri che si tratta di una decisione de libertate. Infatti, non può essere dimenticato che, nella materia de libertate, la nozione di "gravi indizi di colpevolezza" di cui all’art. 273 c.p.p. non si atteggia allo stesso modo del termine "indizi" inteso quale elemento di prova idoneo a fondare un motivato giudizio finale di colpevolezza, che sta ad indicare la "prova logica o indiretta", ossia quel fatto certo connotato da particolari caratteristiche (v. art. 192 c.p.p., comma 2) che consente di risalire ad un fatto incerto attraverso massime di comune esperienza. Per l’emissione di una misura cautelare, invece, è quindi sufficiente qualunque elemento probatorio idoneo a fondare un giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità dell’indagato in ordine ai reati addebitatigli. E ciò deve affermarsi anche dopo le modifiche introdotte dalla L. 1 marzo 2001, n. 63: infatti, nella fase cautelare è ancora sufficiente il requisito della sola gravità ( art. 273 c.p.p., comma 1), giacchè l’art. 273 c.p.p., comma 1 bis (introdotto, appunto, dalla suddetta legge) richiama espressamente i soli commi 3 e 4, ma non dell’art. 192 c.p.p., il comma 2, che prescrive la precisione e la concordanza accanto alla gravità degli indizi: derivandone, quindi, che gli indizi, ai fini delle misure cautelari, non devono essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti per il giudizio di merito dall’art. 192 c.p.p., comma 2, e cioè con i requisiti della gravità, della precisione e della concordanza (cfr. ancora, Cass., Sez. 4, 4 luglio 2003, Pilo n. m. sul punto; nonchè, più di recente, Sez. 4, 21 giugno 2005, Tavella n. m. sul punto). La censura non coglie, quindi, nel segno: non emergono nella decisione gravata violazioni di norme di legge e, nel merito, le argomentazioni a supporto della ordinanza custodiale non sono sindacabili in questa sede, a fronte della rappresentazione, non illogica, di un quadro indiziario senz’altro grave nei termini di cui si è detto, che consente, per la sua consistenza, di prevedere che, attraverso il prosieguo delle indagini, sarà idoneo a dimostrare la responsabilità del prevenuto, fondando nel frattempo una qualificata probabilità di colpevolezza (cfr. Cass., Sez. 2, 19 gennaio 2005, Paesano).

Come si è accennato, tali principi risultano pienamente rispettati, risultando dalla motivazione dell’ordinanza gravata come si sia proceduto ad un legittimo richiamo al contenuto delle conversazioni intercettate, ritenuto significativo della contestata fattispecie incriminatrice.

In questa prospettiva, la doglianza sollevata dalla difesa circa l’interpretazione del contenuto delle intercettazioni, è inaccoglibile, invocandosi qui un controllo censorio sull’apprezzamento del quadro probatorio non esercitabile a fronte di una motivazione che non si appalesa ictu oculi illogica. Nella specie, non è dubitabile che il giudice del riesame, confermando l’ordinanza cautelare, ha evidenziato in maniera non illogica gli elementi posti a sostegno della gravità del quadro indiziario, non potendo negarsi tale valenza: al contenuto delle intercettazioni delle telefonate tra il T. e terzi soggetti, alcuni dei quali compiutamente identificati, con evidenza riferibili alla cessione della droga, rilevanti ai fini della prova del pieno inserimento del ricorrente nel mercato della droga.

Mentre non è inutile sottolineare, per corrispondere ad uno degli argomenti della doglianza, che, dal punto di vista probatorio, per ritenere il reato di detenzione a fini di spaccio e finanche quello di spaccio, non sono certamente indispensabili il sequestro o il rinvenimento di sostanze stupefacenti, poichè la consumazione di tali reati può essere dimostrata attraverso le risultanze di altre fonti probatorie, quali nella specie il contenuto delle intercettazioni (cfr., per riferimenti, Cass., Sez. 6, 14 ottobre 1986, Manara RV 174548).

La presenza del quadro indiziario sopra evidenziato, esclude con evidenza la destinazione all’uso personale, come sostenuto dal ricorrente. Non miglior sorte può avere la doglianza articolata in punto di adeguatezza della misura cautelare, avendo il tribunale ampiamente motivato sulla pericolosità sociale dell’indagato, in tal modo giustificando la scelta della misura cautelare degli arresti domiciliari, del resto già più gradata rispetto a quella della custodia in carcere.

Anche con questa doglianza, il ricorrente vorrebbe, inammissibilmente, che questa Corte esercitasse un controllo di merito, attraverso una non consentita rilettura della vicenda e una parimenti non consentita rinnovazione del giudizio di adeguatezza e proporzionalità, effettuato dal giudicante in modo rispettoso del disposto normativo ( art. 275 c.p.p., commi 2 e 3).

Mentre, parimenti in modo corretto ed adeguato il giudicante ha motivato sulla ritenuta sussistenza dell’esigenza cautelare del pericolo di recidiva. Come è noto, in tema di esigenza cautelare costituita dal pericolo di reiterazione di reati della stessa indole, prevista dall’art. 274 c.p.p., lett. c), la pericolosità sociale dell’indagato deve risultare congiuntamente dalle specifiche modalità e circostanze del fatto e dalla sua pericolosità.

Peraltro, nulla impedisce di attribuire alle medesime modalità e circostanze di fatto una duplice valenza, sia sotto il profilo della valutazione della gravità del fatto, sia sotto il profilo dell’apprezzamento della capacità a delinquere: in vero, le specifiche modalità e circostanze del fatto ben possono essere prese in considerazione anche per il giudizio sulla pericolosità dell’indagato, costituendo la condotta tenuta in occasione del reato un elemento specifico assai significativo per valutare la personalità dell’agente (ex pluribus, Cass., Sez. 1, 14 maggio 2003, Franchi; più di recente, Cass., Sez. 2, 22 giugno 2005, Pezzano).

E’ quanto risulta essere stato fatto nella vicenda de qua, per le ragioni suindicate.

Ciò che basta a ritenere incensurabile la relativa valutazione, anche perchè il giudicante non ha trascurato neppure di considerare il profilo della formale incensuratezza del prevenuto.

Del resto, come è noto, in tema di esigenza cautelare costituita dal pericolo di reiterazione di reati della stessa indole ( art. 274 c.p.p., comma 1, lett. e), non può ritenersi che tale pericolo sia escluso in modo automatico dallo stato di incensuratezza, giacchè la pericolosità sociale dell’indagato (o dell’imputato) può essere desunta oltre che dai precedenti penali, anche dai comportamenti o dagli atti concreti posti in essere dall’agente (RV 237240 ivi cit.).

Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e a quello della somma di 1000 Euro in favore della Cassa delle Ammende in considerazione delle ragioni del ricorso.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 (mille) in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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