Cons. Stato Sez. IV, 05-07-2010, n. 4244 BELLEZZE NATURALI

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Svolgimento del processo e motivi della decisione

1. La società I.S.C. s.r.l. (in prosieguo la società), proprietaria di una vasta area adiacente al parco di Villa Selvatico nel tenimento del comune di Battaglia Terme – destinata dal p.r.g. a zona termale di espansione (DT2/1) ed assoggettata a piano attuativo di iniziativa privata dall’art. 31 punto 15, delle n.t.a. – ha intrapreso da molti anni una iniziativa per realizzare una struttura ricettiva termale e residenziale temporanea (per un totale di 800 posti letto e circa 78.000 mc).

1.1. Giova fin da ora precisare che il menzionato art. 31, punto 20, primo periodo delle n.t.a. stabilisce che: "Per le caratteristiche straordinarie del sito, il Piano attuativo e i progetti dovranno essere elaborati in accordo con la Soprintendenza ai BB.AA."; completa il quadro il punto 23 del medesimo articolo secondo cui: "Per quanto riguarda la zona DT2/1, la progettazione degli insediamenti dovrà seguire i criteri di cui all’art. 26 delle n.d.a del P.A. del Parco dei Colli Euganei, con particolare riferimento al comma 5b) del suddetto articolo"; a sua volta l’art. 26, co. 5, lett. b), del Piano ambientale del parco dei Colli Euganei così recita: "i complessi termali…. isolati o marginali al contesto urbano, di nuovo impianto…. e segnalati in tavola di piano, devono essere realizzati attraverso appositi strumenti urbanistici attuativi con previsioni plano volumetriche finalizzate – in particolare – alla tutela delle preesistenze di interesse monumentale circostanti, in accordo con le competenti Soprintendenze…".

1.2. Con delibera giuntale n. 86 del 29 agosto 2006 il comune ha restituito alla società il piano di lottizzazione (in prosieguo p.d.l.) per la costruzione del centro termale chiedendo una serie di adeguamenti; in particolare, e per quanto di interesse ai fini della presente controversia, fra le innumerevoli mende del progetto, è stata registrata la mancanza del preventivo accordo con la Soprintendenza a mente dell’art. 31 punto 20 cit.

1.3. Con sentenza irrevocabile n. 4099 del 18 dicembre 2006 il T.a.r. del Veneto, sezione II:

a) ha dichiarato inammissibile il ricorso in quanto proposto contro un atto infraprocedimentale;

b) ha rilevato che alcune delle richieste di integrazione progettuale formulate dal comune fossero certamente immuni da vizi e, a titolo esemplificativo, ha evidenziato l’incompletezza della documentazione allegata al progetto e la violazione da parte di quest’ultimo dell’art. 6 delle n.t.a del p.r.g.

1.4. La società, nel dichiarato intento di adeguarsi alla sentenza ed assumendo la delibera n. 86 cit. come un preavviso di rigetto, ha provveduto a modificare il progetto del p.d.l.

1.5. Con delibera n. 54 del 5 giugno 2007 il comune ha definitivamente respinto il progetto per una lunga serie di carenze dello stesso; in particolare è stato ribadito che "il piano urbanistico proposto manca ancora di un riferimento o di un parere che comprovi la sua avvenuta progettazione in accordo con la Soprintendenza…. così come previsto all’art. 31, punto 20, delle Norme Tecniche di Attuazione. Si precisa che quanto proposto ricalca essenzialmente le previsioni di cui alla richiesta del settembre 2005 per la quale la Soprintendenza non aveva rilasciato il proprio parere favorevole".

2. Avverso la delibera n. 54 del 2007 e l’art. 31, punto 20, delle n.t.a. del p.r.g. la società è nuovamente insorta davanti al T.a.r. del Veneto articolando quattro autonomi motivi e formulando domanda di risarcimento del danno.

3. L’impugnata sentenza – T.a.r. del Veneto, sezione II, n. 3503 del 31 ottobre 2007 – resa in forma semplificata alla camera di consiglio fissata per la definizione dell’incidente cautelare, ha respinto il ricorso compensando integralmente fra le parti le spese di lite.

4. Con ricorso notificato il 20 e 21 dicembre 2007, e depositato il successivo 3 gennaio 2008, la società ha interposto appello avverso la su menzionata sentenza del T.a.r.:

a) deducendo con il primo mezzo (pagine 12 – 15), la carenza assoluta di motivazione e di istruttoria dell’impugnata sentenza;

b) reiterando criticamente, con il secondo, terzo, quarto e quinto mezzo (pagine 15 – 22), tutte le censure sviluppate in prime cure ma sollevando, al contempo, taluni profili nuovi di doglianza;

c) infine riproponendo testualmente tutti i motivi dell’originario ricorso introduttivo inclusa la domanda risarcitoria (pagine 22 – 32).

5. Si è costituito il comune di Battaglia Terme deducendo l’infondatezza del gravame in fatto e diritto.

6. La causa è passata in decisione all’udienza pubblica dell’8 giugno 2010.

7. L’appello è infondato e deve essere respinto.

7.1.Preliminarmente la sezione osserva che il thema decidendum è circoscritto dalle censure sollevate in primo grado, non potendosi tenere conto dei profili nuovi sollevati per la prima volta nel ricorso in appello o nella memoria conclusionale del 27 maggio 2010, in spregio al divieto di motivi nuovi sancito dall’art. 345, comma 1, del codice di procedura civile ed al carattere puramente illustrativo delle comparse conclusionali (cfr., fra le tante e da ultimo, Cons. St., sez. IV, 6 maggio 2010, n. 2629).

Pertanto, per semplicità espositiva, la sezione, dopo aver esaminato i mezzi che si appuntano direttamente contro l’impugnata sentenza, seguirà l’ordine dei motivi sviluppati in primo grado.

8. I mezzi articolati nei confronti della sentenza impugnata sono inammissibili ed infondati e devono essere respinti nella loro globalità.

8.1. Invero, secondo un ormai consolidato indirizzo giurisprudenziale, dal quale non vi è ragione di discostarsi (cfr. da ultimo Cons. St., sez. V, 19 novembre 2009, n. 4117; 13 febbraio 2009, n. 824):

a) presupposti della sentenza in forma semplificata sono la completezza del contraddittorio (cioè la rituale notifica del ricorso e il rispetto del termine per la discussione sull’istanza incidentale), la completezza dell’istruttoria, l’avviso alle parti;

b) l’esigenza e l’opportunità della sollecita decisione nel merito di una causa è stata rimessa dal legislatore al prudente apprezzamento del giudice e non alla volontà delle parti, alle quali è stato riconosciuto il diritto di essere avvertite dell’intenzione del giudice (di decidere immediatamente nel merito la causa) al fine precipuo di non esaurire le loro difese sul piano della misura cautelare incidentalmente richiesta e di sviluppare pertanto le proprie argomentazione difensive anche nel merito;

c) la censura proposta contro la sentenza di primo grado, con cui si denuncia la carenza dei presupposti per la pronuncia in forma semplificata all’esito della camera di consiglio fissata per la trattazione dell’incidente cautelare, oltre ad essere inammissibile se le parti, espressamente informate dell’intenzione del collegio giudicate di definire immediatamente nel merito la causa, nulla hanno obiettato (come verificatosi nel caso di specie), è anche infondata nel merito, atteso che la doglianza si sostanzia in una censura di difetto di motivazione della sentenza impugnata che non rileva nel giudizio di appello, giacché l’effetto devolutivo di quest’ultimo consente al giudice di appello di provvedere sulle domande, eventualmente integrando la motivazione mancante.

Ciò posto, dalla lettura della sentenza impugnata e dall’esame del fascicolo di causa non si rinviene alcun elemento che dimostri la carenza dei presupposti per procedere alla immediata definizione nel merito della causa in primo grado.

Come si è visto, il presupposto per la definizione immediata dell’incidente cautelare è che vi sia una "situazione manifesta" in relazione alla ricevibilità, procedibilità, ammissibilità, fondatezza o infondatezza del ricorso.

Per "manifesta" si intende una situazione che non comporta l’esame di problematiche complesse (cfr. Cons. Stato, sez. V, n. 824 del 2009 cit.); ma, poiché nel disegno della legge l’iniziativa della definizione immediata appartiene esclusivamente al giudice – tanto che può decidere in mancanza della costituzione delle parti ed anche contro la loro volontà – la sua scelta deve intendersi quale espressione di una valutazione di opportunità insindacabile, fermo il limite del rispetto del principio del contraddittorio (cfr. Cons. Stato, sez. V, n. 824 del 2009 cit.).

In ogni caso il T.a.r., come meglio si vedrà in prosieguo, ha correttamente apprezzato la consistenza dei motivi di ricorso alla stregua delle risultanze processuali.

9. Può scendersi ora all’esame delle originarie censure articolate in prime cure.

9.1. Il primo motivo dell’originario ricorso proposto davanti al T.a.r. (pagine 12 – 16), è affidato alla violazione dell’art. 10 bis, l. n. 241 del 1990 ed all’eccesso di potere per sviamento; si sostiene che il comune avrebbe fondato il provvedimento negativo su ragioni diverse da quelle poste a base della precedente delibera n. 86 del 2006 (da valere come preavviso di rigetto) in ciò frustrando la ratio della norma e manifestando il malcelato intento di rifiutare ad ogni costo l’approvazione del p.d.l.

9.1.2. Il motivo è inammissibile.

9.1.3. Come esattamente rilevato dal T.a.r. (e come emerge dal confronto documentale delle due delibere), il diniego definitivo è sostenuto dal medesimo nucleo di ragioni racchiuso nel preavviso di rigetto (segnatamente la mancata elaborazione del p.d.l. di concerto con la Soprintendenza).

E’ irrilevante, pertanto, che nella delibera n. 54 del 2007 il comune abbia inserito altre ragioni ostative al rilascio dell’approvazione del p.d.l.

Sul punto la sezione non intende discostarsi dal consolidato indirizzo giurisprudenziale in base al quale se il provvedimento impugnato risulti sorretto da più ragioni giustificatrici tra loro autonome, logicamente indipendenti e non contraddittorie, il giudice, ove ritenga infondate le censure indirizzate verso uno dei motivi assunti a base dell’atto controverso, idoneo, di per sé, a sostenerne ed a comprovarne la legittimità, ha la potestà di respingere il ricorso sulla sola base di tale rilievo, con assorbimento delle censure dedotte avverso altri capi del provvedimento, indipendentemente dall’ordine con cui i motivi sono articolati nel gravame, in quanto la conservazione dell’atto implica la perdita di interesse del ricorrente all’esame delle altre doglianze (cfr. fra le tante, Cons. St., sez. VI, 17 luglio 2008, n. 3609; sez. IV, 8 giugno 2007, n. 3020).

Tali considerazioni vanno estese alle analoghe censure sviluppate nella seconda parte del terzo motivo (da pagina 22 a pagina 24).

9.2. Con il secondo motivo (pagine 16 – 17), si deduce la violazione dell’art. 31 del regolamento edilizio comunale nonché eccesso di potere per difetto di istruttoria; sostiene la società che il comune non avrebbe acquisito il parere della commissione edilizia prima di negare l’approvazione del p.d.l.

9.2.1. La censura è infondata.

9.2.3. Risulta per tabulas che la commissione edilizia, investita della trattazione dell’affare, ha reso il proprio avviso evidenziando la mancanza del concerto della Soprintendenza sul progetto per cui è causa (cfr. allegato n. 1 al verbale della seduta della commissione in data 29 maggio 2007).

9.3. Con il terzo motivo (pagine 17 – 24), la società lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 20, l.r. n. 11 del 2004, dell’art. 31, punto 20, delle n.t.a. del p.r.g. anche in relazione all’art. 26, co. 5, lett. b) delle n.t.a. del piano ambientale, eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione e per erroneità dei presupposti.

La società sostiene che:

a) il comune, in violazione dell’art. 20, co.1, l.r. n. 11 cit. che consentirebbe la restituzione del piano attuativo ad iniziativa privata solo per contrasto con norme di legge o con gli strumenti urbanistici vigenti, ha omesso di indicare quali siano le norme di legge violate non potendosi ritenere esistente un contrasto con lo strumento urbanistico vigente;

b) il comune ha errato nell’interpretazione dell’art. 31 punto 20 delle n.t.a. che avrebbe dovuto condurre in armonia coi principi costituzionali e la vigente legislazione statale e regionale in materia di rapporti fra tutela del paesaggio, dell’ambiente e pianificazione urbanistica, senza operare stravolgimenti del corretto iter procedimentale;

c) il comune ha intrapreso una manovra ostruzionistica prolungatasi nel tempo e culminata con l’impugnato provvedimento di diniego;

d) il contrasto del p.d.l. con l’art. 26, co. 5, lett. b) delle n.t.a. del piano ambientale sarebbe stato dedotto per la prima volta in sede di diniego definitivo in violazione dell’art. 10 bis, l. n. 241 del 1990; in ogni caso il piano ambientale, letto in armonia con il quadro delle norme e dei principi di riferimento, non impone la redazione del p.d.l. in accordo con la Soprintendenza.

9.3.1. Il motivo è infondato.

9.3.2. E’ da premettere, in fatto, che non vi è alcuna prova che il comune (e la Soprintendenza) abbiano assunto nei confronti della società un atteggiamento ostruzionistico, dilatorio o, peggio, vessatorio; risulta, al contrario, che il comune si è prodigato per indire una conferenza di servizi avvisando lealmente la società che sarebbe stata inutile in mancanza di un preventivo accordo progettuale con l’autorità statale.

9.3.2.1. Il diniego di lottizzazione si fonda sulla mancanza dell’accordo preventivo progettuale con la Soprintendenza; tale accordo è richiesto espressamente dall’art. 31 punto 20 cit.; la chiarezza del tenore letterale della clausola impedisce di ricercarne letture "ortopediche".

A sua volta l’art. 31 cit. è conforme all’art. 26, co. 5, lett. b) del piano ambientale dei Colli Euganei.

L’esegesi alternativa di tale disposizione offerta dall’appellante, oltre ad infrangersi contro il chiaro tenore letterale della medesima, è in contrasto:

a) con la sua ratio, che è quella di tutelare un sito paesaggistico straordinario a livello mondiale garantendo la partecipazione procedimentale anticipata dell’autorità istituzionalmente preposta alla gestione del vincolo;

b) con la gerarchia dei valori (di rango costituzionale) in conflitto, contemplati dagli artt. 9 e 117, co. 2, lett. s) Cost., da un lato, e 41 e 42 Cost. dall’altro (cfr. sul punto e da ultimo Cons. St., sez. V, 12 giugno 2009, n. 3770);

c) con il sistema di principi che reggono la materia del governo del territorio quale risulta dalla ormai consolidata giurisprudenza costituzionale (cfr. da ultimo 29 ottobre 2009, n. 272; 23 dicembre 2008, n. 437);

d) con la assenza di norme di legge che vietino alle autorità amministrative preposte alla tutela di valori primari (nella specie la Soprintendenza), di intervenire, a monte, nella fase della elaborazione progettuale di insediamenti potenzialmente devastanti per l’ambiente ed il paesaggio.

Per concludere sul punto è sufficiente evidenziare che nell’ordinamento di settore, sotto il profilo diacronico, i piani paesistici hanno assunto nel tempo una portata territoriale e qualitativa sempre più ampia, affidandosi ad essi il compito di dettare una specifica normativa d’uso e di valorizzazione ambientale. Tale processo è stato portato a compimento nella sua massima estensione con il d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 – codice dei beni culturali e del paesaggio – attraverso il quale la tutela del paesaggio ha assunto una portata generale e comunque una decisiva prevalenza di valore rispetto alla pianificazione urbanistica, sull’intero territorio, venendo quindi a disciplinare anche immobili non soggetti a vincolo paesaggistico (come verificatosi nel caso di specie); è stato delineato un evidente recupero di funzioni e poteri da parte dello Stato in materia di paesaggio anche in osservanza degli impegni assunti con la Convenzione europea del paesaggio (conclusa a Firenze il 20 ottobre 2000 ed entrata in vigore in Italia nel settembre 2006). All’interno di questo quadro si collocano le previsioni normative che stabiliscono che i piani paesaggistici dettino misure di coordinamento con gli strumenti di pianificazione territoriale di settore, nonché con gli strumenti regionali e territoriali per lo sviluppo economico (art. 145 del codice); è coerente con tale impostazione la previsione del piano ambientale che imponga agli strumenti urbanistici sottostanti di prevedere un intervento concertativo della Soprintendenza nella fase della progettazione di un piano attuativo di iniziativa privata.

Alla luce di quanto sopra esposto emerge la piena conformità dell’art. 31 punto 20 cit. all’art. 26, co. 5, lett. b) del piano ambientale e di quest’ultimo alla disciplina introdotta dal codice dei ben culturali.

9.4. Con il quarto ed ultimo motivo (pagine 24 – 26), la società deduce l’omessa disapplicazione dell’art. 31 punto 20 delle n.t.a. per violazione del codice dei beni culturali, delle l. n. 1150 del 1942, delle ll.rr. nn. 63 del 1994 e 11 del 2004; si deduce il contrasto dell’art. 31 cit. con gli artt. 146 e 159 del codice dei beni culturali sotto il profilo che:

a) il micro sistema di settore non contempla la possibilità che uno strumento urbanistico ad iniziativa privata sia formato in accordo preventivo con la Soprintendenza;

b) si sarebbe realizzata una inversione del procedimento disegnato dalle su menzionate norme che impongono all’amministrazione procedente di chiedere il nulla osta alla Soprintendenza.

9.4.1. Il motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato e và respinto nella sua globalità.

9.4.2. Relativamente all’individuazione del contenuto dell’art. 31, punto 20 delle n.t.a., alla sua conformità all’art. 26, co. 5, lett. b) delle n.t.a. del piano ambientale ed ai principi in materia di pianificazione del territorio si rinvia a quanto illustrato nel precedente punto 9.3.

Per quanto concerne la richiesta disapplicazione del p.r.g. (poi estesa in appello alla presupposta norma del piano ambientale – cfr. pagina 17 dell’atto di gravame e pagine 9 e ss. della comparsa conclusionale), la sezione ne rileva la manifesta inammissibilità in quanto entrambi gli strumenti pianificatori in questione non hanno natura regolamentare, il che esclude la possibilità, per l’amministrazione ed il giudice, di disapplicare la relativa disciplina non potendosi configurare un conflitto apparente di norme giuridiche risolvibile con gli strumenti esegetici divisati dalle disposizioni preliminari al c.c. fra cui il criterio gerarchico (cfr. in termini Cons. St., sez. IV, 6 maggio 2010, n. 2629).

Per completezza la sezione evidenzia che il piano ambientale non è stato neppure impugnato in primo grado.

10. La reiezione completa di tutti i motivi di ricorso conduce al rigetto della domanda risarcitoria.

11. In conclusione l’appello deve essere respinto.

Le spese di giudizio, regolamentate secondo l’ordinario criterio della soccombenza, sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione quarta), definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe:

– respinge l’appello e per l’effetto conferma la sentenza impugnata;

– condanna l’appellante a rifondere in favore del comune di Battaglia Terme le spese, gli onorari e le competenze del presente grado di giudizio che liquida nella misura complessiva di euro 4.000 (quattromila/00), oltre accessori come per legge (spese generali al 12,50%, I.V.A. e C.P.A.).

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 giugno 2010 con l’intervento dei Signori:

Gaetano Trotta, Presidente

Vito Poli, Consigliere, Estensore

Salvatore Cacace, Consigliere

Sandro Aureli, Consigliere

Raffaele Greco, Consigliere

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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