Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
G.L., assieme ad altre persone, era chiamato a rispondere, innanzi al Tribunale di Roma, dei reati di cui agli artt. 56, 48 e 480 c.p..
Con sentenza del 27 aprile 2007 il Tribunale di Roma assolveva l’imputato dal reato a lui ascritto con formula per insussistenza del fatto.
Pronunciando sul gravame proposto dal Procuratore della Repubblica di Roma, la Corte di Appello di questa stessa città, con la sentenza indicata in epigrafe, in riforma della decisione impugnata, dichiarava l’imputato colpevole del reato di cui agli artt. 110 e 483 c.p., così qualificata l’originaria imputazione e, per l’effetto condannava il G. alla pena di mesi tre di reclusione, con ulteriori statuizioni di legge.
Avverso la sentenza anzidetta il difensore dell’imputato ha proposto ricorso per cassazione, affidato alle ragioni di censura indicate in parte motiva.
Motivi della decisione
1. – Il ricorso si fonda su due distinti motivi.
Il primo deduce inosservanza delle norme processuali di cui agli artt. 521 e 522, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. c).
Il secondo lamenta mancanza di motivazione.
In particolare, il ricorrente si duole della violazione del principio della correlazione tra imputazione e sentenza, lamentando il pregiudizio del diritto di difesa, che, in caso di nuova contestazione, avrebbe potuto, eventualmente, orientarsi, con maggiore cognizione di causa, per la scelta di un rito alternativo.
La violazione del principio della contestazione era causa di nullità della sentenza impugnata.
2. – All’esame delle censure di parte – esaminabili congiuntamente in ragione di identica ratio contestativa – giova certamente premettere una sintetica puntualizzazione della fattispecie in questione, sulla base dell’incartamento processuale, di certo consultabile stante la natura delle stesse doglianze.
– Orbene, risulta in atti che lo G. – assieme ad un cittadino extracomunitario – era inizialmente imputato del reato di cui agli artt. 110, 56, 48 e 480 c.p. perchè, in concorso tra loro, in particolare il primo (l’extracomunitario) richiedendo il rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro subordinato e all’uopo esibendo falsa dichiarazione del secondo (lo G.) attestante l’assunzione quale domestico a tempo indeterminato per 25 ore, ed il secondo predisponendo la suddetta falsa dichiarazione, condizione per il rinnovo, compivano atti idonei diretti in modo non equivoco ad indurre in errore funzionati del Ministero dell’Interno sull’esistenza dei requisiti per la concessione del rinnovo e quindi diretti ad ottenere atto autorizzativo ideologicamente falso, senza riuscire nell’intento per cause non dipendenti dalla loro volontà.
– Con sentenza del 27 aprile 2007, il Tribunale di Roma riteneva che non fossero configurabili nella fattispecie gli estremi del falso ideologico per induzione, dovendo peraltro dubitarsi dell’idoneità ingannatoria della falsa scrittura privata a firma dell’imputato.
Reputava, invece, che nel fatto potesse configurarsi il diverso reato di cui all’art. 483 c.p.. Sennonchè, un’eventuale condanna per concorso in tale illecito avrebbe integrato non già mera, diversa, configurazione del fatto ascritto in rubrica, bensì violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza. Per tali ragioni, pronunciava sentenza di assoluzione.
– Investita del gravame del PM, la Corte di Appello romana, con la sentenza oggi in esame, ha ritenuto, invece, che la diversa qualificazione giuridica del fatto, nei termini dell’art. 483 c.p., non comportasse immutazione dell’addebito, non implicando stravolgimento degli elementi essenziali della contestazione, di guisa che nessun pregiudizio delle ragioni difensive era dato, in concreto, ravvisare.
Riteneva, pertanto, di poter affermare la colpevolezza dell’imputato – previa qualificazione dell’addebito nei termini anzidetti – e, per l’effetto, lo condannava alla pena ritenuta di giustizia.
– Tale diversa opinio è oggi contestata dal ricorrente che ravvisa nella fattispecie gli estremi della violazione del principio di correlazione.
2. – La censura è fondata e merita, pertanto, accoglimento.
Ed invero, il raffronto comparativo tra la fattispecie delittuosa inizialmente contestata all’imputato e quella ritenuta dal giudice di appello ne rivela, compiutamente, la sostanziale diversità.
L’addebito per il quale è stata esercitata l’azione penale, con riferimento al combinato disposto degli artt. 56, 48 e 480, consiste infatti nella tentata induzione in errore dei funzionari preposti in ordine alla sussistenza dei presupposti necessari per il rinnovo del permesso di soggiorno, al fine di ottenere un atto autorizzativo ideologicamente falso; il fatto ritenuto in sentenza consiste, invece, nella falsa attestazione, racchiusa nella dichiarazione in atti, destinata a pubblico ufficiale e riguardante fatti dei quali l’atto richiesto sia destinato a provare la verità. Si tratta di condotte strutturalmente diverse, perseguite da norme ispirate a differente ratio punitiva.
La diversità, non solo ontologica, ma anche giuridica delle due fattispecie, è confermata dal rilievo che il falso ideologico per induzione può concorrere con il delitto di cui all’art. 483 c.p., atteso che la falsa dichiarazione del privato, prevista di per sè come reato, è in rapporto strumentale con la falsità ideologica che il pubblico ufficiale, in quanto autore mediato, ha posto in essere (così, Cass. Sez. 5, 25.9.2001, n. 38453). E, nel caso di specie, è resa ancor più evidente dalla diversa prospettazione della fattispecie materiale, in chiave di tentativo nella prima formulazione, ed in forma consumata nell’altra.
Non è, allora, revocabile in dubbio che il nuovo nomen iuris comporti uno stravolgimento del fatto originariamente contestato.
Stante la rilevata diversità si sarebbe dovuto provvedere, già in primo grado, con le forme previste dall’art 516 del codice di rito ed il primo giudice, rilevato l’error in procedendo, non avrebbe potuto emettere sentenza di proscioglimento, ma avrebbe dovuto, invece, azionare lo strumento previsto dalla legge processuale al fine di impedire gli effetti preclusivi di una pronuncia di merito, ai sensi dell’art. 649 c.p.p., ossia la previa trasmissione degli atti al PM, a mente dell’art. 521 c.p.p., comma 2.
Pure evidente, per le dette ragioni, è l’errore di giudizio in cui è incorsa la Corte di merito, che ha condannato l’imputato per un fatto diverso da quello inizialmente contestato, con ciò incorrendo nella violazione del principio della contestazione, che è ragione di nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 522 c.p.p., comma 1. Il giudice di appello, rilevata la diversità del fatto, non sanabile in base alle norme sulla modifica dell’imputazione di cui agli artt. 516 e 517, avrebbe dovuto annullare la sentenza di primo grado e disporre la trasmissione degli atti al PM, esercitando, in luogo del primo giudice, lo strumento di cui al menzionato art. 521, comma 2. (cfr.
Cass. sez. 4,9.2.2010, n. 18135, rv. 247533).
Ed invero, nel caso di specie, non sarebbe stata applicabile la specifica disposizione dell’art. 604, comma 1, che impone la trasmissione degli atti al giudice di primo grado, nel caso in cui quest’ultimo abbia condannato per un fatto diverso, con riferimento alla violazione delle regole dettate per le contestazioni dibattimentali. Invece, quella stessa norma processuale avrebbe potuto applicarsi analogicamente, ma nella sola parte in cui prevede l’annullamento della sentenza di primo grado, altrimenti suscettibile di passare in cosa giudicata, con l’effetto di determinare la preclusione di cui all’art. 649 c.p.p. che renderebbe inutile la trasmissione degli atti al PM (così. Cass. sez. 5, 27.10.2006, n. 40625, rv. 236303).
All’omessa pronuncia di annullamento in sede di appello può, ora, supplire questa Corte di legittimità, che, cassata senza rinvio la sentenza di appello, deve anche annullare la sentenza di primo grado, ordinando la trasmissione degli atti al PM competente (cfr. Cass. cit. n. 18135/2010; id. Sez. 2,25.9.1996, n. 9471, rv. 206274).
3. – Per quanto precede, entrambe le sentenze di merito devono essere annullate, nei termini di cui in dispositivo.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e quella del Tribunale di Roma in data 27.4.07. disponendo la trasmissione degli atti al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale d Roma.
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