Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 17-02-2011) 30-03-2011, n. 13131 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ordinanza del 21 maggio 2010 il Tribunale di Reggio Calabria quale giudice del riesame confermava l’ordinanza applicativa della custodia cautelare in carcere emessa dal GIP del Tribunale di Reggio Calabria dell’8 marzo 2010 nei confronti di Z.M. indagato per il delitto di associazione per delinquere di stampo mafioso (art. 416 bis c.p.). Ricorre avverso il suddetto provvedimento lo Z. – a mezzo del proprio difensore – deducendo vizio di motivazione, omessa da parte del Tribunale del Riesame con riferimento all’art. 195 c.p.p., in tema di testimonianza indiretta.

In particolare la difesa, dopo aver delineato gli elementi salienti per l’utilizzabilità della testimonianza indiretta come enunciati nella giurisprudenza di merito e di legittimità, rileva che il Tribunale, di fronte alle censure mosse in ordine alla inutilizzabilità della testimonianza "de relato" resa da S. M. e B.T., nonostante da tempo il teste diretto ( S.P.) fosse deceduto, nulla avrebbe argomentato sul punto.

Deduce, ancora, vizio di motivazione per carenza e/o manifesta illogicità con riferimento all’art. 292 c.p.p., comma 2, lett. c), essendosi il Tribunale limitato a confermare la gravità del quadro indiziario senza alcuna motivazione specifica, tanto più se riguardata alla luce di una motivazione carente nell’ordinanza di custodia cautelare adottata dal GIP, poi richiamata per relationem dal Tribunale.

Ravvisa, a tale proposito, anche un vizio di illogicità in relazione all’esiguità di argomenti adoperati per confermare la gravità del compendio indiziario riguardante lo Z., in modo del tutto sproporzionato rispetto alla restante parte della motivazione riguardante altri aspetti della vicenda non riferibili all’indagato.

Con un terzo motivo la difesa lamenta mancanza o manifesta illogicità della motivazione in punto di omessa valutazione dei criteri di adeguatezza della misura e di sussistenza delle esigenze cautelari, limitandosi ad una motivazione apparente costituita dal ricorso a formule stereotipate e senza alcun riferimento ad alcuni elementi positivi prospettati dalla difesa quali il decorso del tempo.

Il ricorso non è fondato.

Quanto al primo motivo, la dedotta inutilizzabilità delle dichiarazioni de relato provenienti da S.M. e B. T. e vertenti su circostanze apprese da S.P., defunto ancor prima che i due soggetti rendessero tali dichiarazioni, va rilevato che i divieti di testimonianza indiretta previsti per il dibattimento non sono estensibili alla fase delle indagini preliminari, con la conseguenza che laddove il teste abbia riferito su circostanze apprese da altri che non può più – per disparate ragioni – essere sentito quale fonte diretta, non è applicabile il disposto di cui all’art. 195 c.p.p. (Cass. Sez. 5, 8.7.2004 n. 45994 rv 231391; Cass. 18.4.1995, Corvaia).

Il discrimine è quindi costituito dal modo di utilizzazione di tali fonti che non vengono in rilievo come prove, ma soltanto come elementi indizianti posti a fondamento della misura, la cui efficacia a tali limitati fini non viene quindi meno.

Quanto al secondo motivo, va anzitutto, ricordato che il Tribunale del Riesame ha rigettato l’eccezione di nullità dell’ordinanza di custodia cautelare per difetto di motivazione sia per ciò che afferiva al compendio indiziario sia per ciò che afferiva alle esigenze cautelari, non solo affermando il principio – pacifico in giurisprudenza – del potere di integrazione della motivazione dell’ordinanza in sede di riesame del provvedimento, ma soprattutto evidenziando la completezza e congruità motivazionale dell’ordinanza custodiale.

Con il che viene meno quella specifica censura rivolta al Tribunale del Riesame sull’erroneo presupposto che avendo il Tribunale integrato, sia pure con argomentazioni ritenute di scarso rilievo, la motivazione dell’ordinanza custodiale, questa fosse stata ritenuta carente da parte del Tribunale.

Fatta tale precisazione va detto che sotto il profilo della adeguatezza, esaustività e logicità della motivazione, l’ordinanza impugnata si presenta esente da censure di sorta.

Non solo il Tribunale ha valutato in modo analitico le testimonianze (de relato) di S.M. e B.T., persino soffermandosi su possibili discrasie, valutate poi di trascurabile significato e non incidenti sul quadro indiziario complessivo in punto di attendibilità di dette dichiarazioni, ma ha analizzato in modo esauriente altri elementi indizianti, ritenuti altrettanto gravi, in quanto riferibili a fatti oggettivi quali le conversazioni telefoniche ed ambientali intercettate rispetto alle quali nulla ha rilevato la difesa nemmeno sotto il profilo di una loro eventuale inutilizzabilità.

E – con specifico riguardo al ruolo dello Z. all’interno del gruppo delinquenziale, il cui radicamento sul territorio e la cui piena operatività sono stata evidenziati attraverso una puntuale analisi delle varie intercettazioni comprovanti rapporti tra i vari sodali e interessi illeciti quali oggetto di tali rapporti – il Tribunale ha soffermato la propria attenzione su una congerie di elementi quali rapporti di frequentazione tra lo Z. ed esponenti dell’organizzazione criminosa ( C.G., U.A. – ritenuto in posizione di vertice – P. C., PA.Lu., D.R.), traendo poi logico spunto per ritenere lo Z., grazie a questi rapporti di estrema familiarità sovente sfocianti in veri e propri summit mafiosi, uno degli emissari di U.L., adoperato per mettere a segno le estorsioni programmate dall’associazione in danno di S.P. (appartenente a clan avversario).

Non può quindi definirsi illogica la motivazione in quanto costituita da poche righe riguardanti lo Z. a fronte della gran parte della ordinanza dedicata ad altri aspetti, non solo perchè necessariamente occorreva fornire una visione generale dell’associazione criminale nell’ambito della quale veniva collocato il ruolo dello Z., ma anche perchè il suo inserimento nel gruppo criminale viene trattato in più parti, sia quando si passano in rassegna le dichiarazioni (de relato) di S.M. e B.T., sia quando si esamina la struttura e composizione dell’organizzazione delinquenziale, sia quando si passano in rassegna le dichiarazioni di chi organizzava le riunioni conviviali (pranzi) per i vari sodali, tra i quali lo Z., sempre presente. In ultimo – con riferimento a quella parte dell’ordinanza censurata per difetto di motivazione in punto di valutazione delle esigenze cautelari – lungi dall’apparire ispirata a clausole di stile, l’ordinanza impugnata applica in modo assolutamente puntuale – oltre che riferito alla realtà dei fatti sottoposti ad esame quali elementi sintomatici della associazione mafiosa – i principi enucleati dall’art. 275 c.p.p., comma 3 in tema di presunzione di adeguatezza della misura cautelare superabile solo in presenza di concreti elementi dai quali risulti l’insussistenza di (tutte le) esigenze cautelari di cui all’art. 274 c.p.p..

Inoltre va rilevato che in reati come quelli di criminalità organizzata di stampo mafioso l’elemento tempo, in assenza di comportamenti virtuosi da parte dell’associato che dimostrino una netta inversione di tendenza nella sua condotta di vita, ovvero il recesso dall’organizzazione, o il suo scioglimento, non può certo costituite quell’elemento positivo da prendere in considerazione per superare la presunzione di adeguatezza della misura cautelare in atto (Cass. Sez. 6, 30.4.1996 n. 1810); nè occorre una motivazione specifica in ordine alla rilevanza del fattore tempo laddove tale elemento debba essere valutato con riferimento a reati in materia di criminalità organizzata (Cass. Sez. 2, 13.5.1997 n. 33221).

Peraltro il Tribunale ha escluso l’incidenza positiva del fattore tempo privilegiando – con argomentazione logica, ancorchè sintetica;

l’aspetto legato alla tendenziale permanenza della condotta illecita rapportata all’inserimento in una organizzazione criminale di specifica pericolosità, senza che ne fosse seguita l’acquisizione di elementi di discontinuità: i soli che avrebbero potuto in ipotesi giustificare una elisione della misura cautelare. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Va altresì disposta ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p. la trasmissione del presente provvedimento alla Direzione della Casa Circondariale ove il ricorrente trovasi detenuto.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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