T.A.R. Lazio Roma Sez. II bis, 05-07-2010, n. 22612 EDILIZIA E URBANISTICA

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Svolgimento del processo e motivi della decisione

1. L’impresa edile ricorrente riferisce che, con atto di vendita stipulato l’11.6.2001, acquistava dalla dante causa Frasa s.r.l. un compendio immobiliare sito in Via Ardeatina 285. Considerata l’esistenza del vincolo archeologico sulle particelle 60,167,175 e 176. L’efficacia dell’atto era sottoposta a condizione sospensiva connessa al mancato esercizio da parte del Ministero dei Beni Culturali ed Ambientali del diritto di prelazione ex TU n. 490/99 (già l. n. 1089/39).

2.La predetta Amministrazione con "atto di rettifica" del 18.7.01 ampliava le trascrizioni del vincolo su altre particelle catastali, ed esercitava la prelazione nei confronti degli immobili in questione con decreto dell’8.8.2001, impugnato al TAR Lazio da parte dell’odierna ricorrente. L’ordinanza di diniego della misura cautelare (Sez. II n. 7240/01) era riformata dal Consiglio di Stato, Sez. VI con l’ordinanza n 900/2002 che accoglieva l’istanza cautelare proposta avverso il decreto di esercizio della prelazione nei limiti in cui il provvedimento impugnato incideva nelle particelle non oggetto della trascrizione originaria. La controversia era infine definita, in senso conforme, dalla sentenza di questo Tribunale, Sezione II Quater, n. 357/2007.

3. Il predetto atto di compravendita faceva espresso riferimento alle concessioni edilizie in sanatoria rilasciate alla dante causa solo un mese prima. Infatti, narra l aricorrente, l’impresa dante causa, con istanza depositata il 29.9.1986, aveva chiesto il condono edilizio ai sensi della l. n. 47/85 al fine di sanare le irregolarità compiute sul terreno di sua proprietà sito in Roma, Via Ardeatina n. 285, di mq. 5207 e mq. 25111 rispettivamente negli anni 61 e seguenti e 80 e seguenti. In particolare, riferisce ancora la ricorrente, all’atto del primo acquisto (1961) esistevano sul terreno edifici per 330 mg. adibiti ad uffici. Nel 1965 era stata costruita una tettoia di mq. 266 circa con licenza edilizia che si era poi trasformata in edificio uso ufficio e aumentata di ulteriori 97 mq. circa. Nel 1965 era realizzato un magazzino di vendita con uffici per mq. 150 circa per il quale era stata rilasciata (1969) la licenza di commercio. Nel 1972 erano realizzati un ampliamento della superficie ad uffici per mq. 44 circa, l’allargamento della superficie di vendita con uffici per mq. 248 circa, una autorimessa di mg. 45 circa e laboratori per complessivi mq. 103 circa.

Parte ricorrente aggiunge che dopo circa otto anni dalla presentazione della istanza di condono, in data 13.5.1994, la Soprintendenza Archeologica di Roma aveva notificato alla dante causa, ai sensi della l. 241/90, l’avvio del procedimento per la predisposizione di vincolo sul foglio 923 partt. 60, 167, 175, 176. Svolto il procedimento, il vincolo era stato imposto con d.m. 15.6.95, che sembrava riferito anche a molte altre particelle catastali, nonostante il procedimento avesse riguardato solo quattro particelle, sulle quali il vincolo veniva infine trascritto (nn. 60, 167,175,176). Successivamente, il 21.2.95 la dant ecausa aveva presentato un progetto di manutenzione relativo ai manufatti insistenti nelle particelle di cui sopra, sul quale la Soprintendenza sospendeva la valutazione. L’11.5.2001, a pagamenti avvenuti, erano infine rilasciate le concessioni in sanatoria.

4. Poco dopo l’acquisto del compendio immobiliare da parte della ricorrente, la Soprintendenza Archeologica di Roma, che come si è detto era stata investita della questione ai fini della possibile prelazione, cCon lettera dell’1.7.2001 n. 20544, faceva presente al Comune che le concessioni in snatoria a suo tempo rilasciate avrebbero dovuto avere il parere obbligatorio della Soprintendenza. Si chiedeva dunque di annullare le concessioni edilizie e di acquisire il parere dell’Ufficio. Inoltre con "atto di rettifica" del 18.7.01 il Ministero ampliava, come sopra evidenziato, le trascrizioni del vincolo su altre particelle catastali, oltre ad esercitare la prelazione di cui si è già detto.

5.Il Comune, dopo un fitto scambio epistolare con la Soprintendenza, in data 24.4.02 avviava il procedimento amministrativo per il riesame del1’istanza di condono, in quanto erano state rilasciate le concessioni edilizie in sanatoria senza l’acquisizione del necessario nullaosta dalla Soprintendenza Archeologica, ex art. 32 comma 3 della l. 47/85.

La Soprintendenza in data 1.5.5.2002 faceva presente di aver già espresso parere negativo in data 24.2.88 con la nota 518 e di averlo ribadito nella nota 20685 del 12.7.01 di trasmissione anche della suddetta nota. In data 20.5.02 la Società ricorrente inviava a propria volta le sue deduzioni. Infine il Comune, preso atto delle osservazioni della ricorrente e della decisione dell’Ad. PIen. del C.d.S. n. 20/99, ritenuto che, dato il parere negativo della Sopru1tendenza Archeologica, non sussistevano i presupposti per il rilascio delle concessioni in sanatoria, annullava tutte le concessioni emesse in data 11.5.2001 in favore della dante causa.

6. La ricorrente riferisce ancora che, essendo venuta ufficiosamente a conoscenza dell’annullamento, adiva questo Tribunale per ottenere l’annullamento, previa sospensione degli effetti, della determinazione dirigenziale n. 271 del 10.10.2002 del Direttore dell’Ufficio Speciale

Condono Edilizio del Comune comunicata il 17.10.2002 con la quale, vista la nota della Soprintendenza Archeologica di Roma n. 20544 dell’11.7.2001, vista la successiva nota della Soprintendenza Archeologica di Roma n. 20865 del 12.7.01, venivano annullate le concessioni edilizie in sanatori a nn. 259927, 259929, 259930, 259931, 259932, 259935, 259937, 259939 e 259940 dell’11.5.2001 emesse sull’istanza di condono n. 17892/011010, presentata in data 29.9.1986 dalla dante causa, nonché per l’annullamento delle predette note della Soprintendenza Archeologica e di ogni atto presupposto, conseguente e comunque connesso a quelli impugnati, affermando che il provvedimento impugnato sarebbe stato ad essa del tutto inopponibile, in quanto riferto a concessioni edilizie relative a mutamenti di destinazione o ampliamenti catastalmente

acquisiti ed oggetto di titolo di proprietà debitamente trascritto, salvo che per le particelle per le quali i1 vincolo archeologico era stato trascritto nel 1997 (particelle 60, 167, 175, 17(j), in relazione alle quali, peraltro, l’annullamento delle concessioni in sanatoria (relativo alle sole particelle edificate 175 e 17, sanate in parte qua per ampliamenti e mutamenti di destinazione rispetto ai manufatti esistenti pre 1967 ed ormai assentiti, sarebbe comunque illegittimo.

7. Vengono dedotti in particolare i seguenti motivi di censura:

1) Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 32 l. n. 47/85 ed il difetto dei presupposti, poiché il vincolo archeologico ad essa opponibile riguardava solo quattro particelle (60, 167, 175, 176), in quanto nei confronti dell’acquirente, ad ogni effetto di legge, non sarebbe opponibile il vincolo archeologico non trascritto. Quindi, ai afferma, non poteva essere emesso l’annullamento delle concessioni in sanatoria, essendo successivo al trasferimento il parere sfavorevole, preso a presupposto da1l’annullamento disposto a seguito della revisione. La determinazione impugnata si baserebbe difatti sul parere negativo del 12 luglio 2001, del tutto ignoto alla ricorrente ed emesso dopo la vendita dei beni legittimamente riferita agli edifici cosi come sanati. Inoltre, l’efficacia del vincolo archeologico poteva estendersi nei confronti dell’acquirente, si afferma, solo per le particelle trascritte;

2) Con il secondo motivo, relativo al parere negativo espresso il 12.7.2001 dalla Soprintendenza, sono dedotti la violazione della l. n. 47/85, l’erroneo esame della situazione di fatto, il travisamento dei fatti ed il difetto dei presupposti, in quanto tale parere riguardava l’intero complesso immobiliare, del quale la ricorrente era già divenuta proprietaria dall’11.6.2001. Quindi, il parere negativo espresso non avrebbe dovuto riferirsi alle particelle per le quali il vincolo non era efficace nei confronti del nuovo titolare dei beni. Né poterva essere opposta l’assenza del parere della Soprintendenza Archeologica, necessariamente successivo alla apposizione del vincolo con d.m. del 1995: a tal fine l’espressione del dissenso del 1988 cui fa riferimento la nota della Soprintendenza Archeologica del 12.7.2001 sarebbe irrilevante, non essendovi all’epoca alcun vincolo archeologico;

3) Con il terzo motivo viene denunciata la violazione delle leggi nn.47/85; 1089/1939 e TU 490/99 nonché il difetto assoluto di motivazione, in quanto, pur ove si prescindesse dalle precedenti censure, l’annullamento ed il presupposto parere sarebbero totalmente privi della esposizione delle

ragioni a sostegno dell’annullamento all’esito di una ponderazione fra l’affidamento della ricorrente e le esigenze di tutela archeologica.

In particolare, il parere negativo espresso dalla Soprintendenza Archeologica, e preso a presupposto dell’annullamento impugnato, nulla dice a riguardo. Con la nota 12.7.2001 la Soprintendenza ha precisato che aveva espresso nel 1. 988 un parere negativo. Ma questo era

inconferente in quanto non sussisteva all’epoca alcun vincolo ex lege 1089/39, ed in quanto non considerava la preesistenza di numerosi edifici preesistenti alle domande di condono nel valutare meri ampliamenti dell’esistente o mutamenti di destinazione d’uso;

4) Con il quarto motivo si denuncia la violazione della l. 241/90, il difetto di istruttoria, i1 difettoso iter procedimentale, in quanto, pur se la determinazione impugnata si basava sull’avvio del procedimento di riesame delle concessioni edilizie comunicato, oltre che alla dante causa, alla stessa C. in quanto acquirente dei beni interessati dalle concessioni in sanatoria, la comunicazione di avvio del procedimento non sarebbe peraltro mai pervenuta alla ricorrente, nei confronti della quale, avendo la stessa acquistato i beni in quanto legittimamente assentiti in sanatoria, la determinazione di annullamento era finalizzata a fare stato. Il mancato avviso dell’avvio del procedimento amministrativo alla ricorrente vizierebbe irreparabilmente la determinazione impugnata;

5) con il quinto motivo di ricorso viene dedotta la violazione dei principi in n1ateria di autotutela nonché il difetto e l’errore della motivazione. Mancando una chiara esposizione delle ragioni dell’annullamento d’ufficio di concessioni edilizie in sanatoria ritualmente emesse, in relazione ad

individuati abusi insistenti su particelle vincolate specificamente indicate.

8. In data 29.4.2003 il Comune di Roma ha poi notificato alla rincorrente la determinazione n. 17 emessa il 24.1.2003, con la quale sono state nuovamente annullate nei suoi confronti, con provvedimento identico a quello precedente dell’ottobre 2002, le summenzionate concessioni edilizie in sanatoria. La stessa impresa ha quindi impugnato la nuova determinazione con motivi aggiunti, deducendo le seguenti ulteriori censure:

1) Con il primo motivo aggiunto viene ribadito il primo motivo del ricorso principale, deducendo la violazione della 1.n. 47/85, art. 32, ed il difetto ed erroneità dei presupposti, in quanto il vincolo archeologico in relazione al quale sarebbe stato espresso il parere negativo era opponibile alla ricorrente solo quanto a quattro particelle;

2) il secondo motivo aggiunto è riferito alla illegittimità del presupposto parere negativo del 12.7.2001, relativamente al fatto che, dopo il trasferimento dei beni dell’11.6.2001, lo stesso parere negativo ha riguardato anche le particelle per le quali il vincolo non era efficace nei confronti della ricorrente, così come già dedotto con il secondo motivo del ricorso principale;

3) con il terzo motivo aggiunto viene dedotto il difetto di motivazione, in quanto non sarebbe stata esposta alcuna ragione di incompatibilità del vincolo con gli specifici ampliamenti o mutamenti di destinazione d’uso (neppure individuati) relativi a manufatti preesistenti, come ampiamente argomentato con il ricorso principale;

4) con il quarto motivo aggiunto viene ribadito il vizio di omessa comunicazione dell’avvio del procedimento amministrativo nei confronti della ricorrente, in quanto il riesame delle concessioni edilizie non le sarebbe stato comunicato ai fini dell’emanazione di un atto di annullamento identico a quello già emesso, senza alcuna rinnovazione del procedimento. Era invece imprescindibile, si afferma, la previa comunicazione al soggetto sul quale il riesame per l’emanazione del parere faceva stato, in quanto acquirente dei beni legittimamente assenti ti con le concessioni in sanatoria rilasciate prima del trasferimento, né sarebbe applicabile il richiamo all’art. 21 octies, 2° comma, della l, 241./1990, in quanto la norma è stata emanata successivamente all’annullamento in oggetto.

5) con il quinto motivo viene ribadita.la omessa valutazione degli interessi del privato al mantenimento di quanto acquistato legittimamente perché munito di concessioni in sanatoria, rispetto ad una generica affermazione dell’interesse pubblico non riferita ai singoli ampliamenti o mutamenti di destinazione d’uso, non individuati nell’ambito del1 generico atto di annullamento.

9. Il Comune ed il Ministero intimati si costituivano in giudizio per contrastare, con proprie ampie ed argomentate memorie, le argomentazioni di parte ricorrente e per sostenere l’infondatezza del ricorso, ricostruendo anche la complessa vicenda proprietaria degli immobili. Chiedevano inoltre lo svolgimento di una CTU per accertare quali particelle immobiliari e quali immobili fossero stati in realtà assoggettati a vincolo archeologico regolarmente trascritto, qualora tale circostanza fosse stata ritenuta rilevante da questo Tribunale. In vista dell’esame di merito le parti in giudizio argomentavano le proprie tesi con ulteriori memorie. A seguito della pubblica udienza del 28 gennaio 2010, il ricorso veniva infine introitato dal Collegio e deciso, in relazione alla complessità della fattispecie e delle questioni giuridiche dedotte, nelle Camere di consiglio del 28 gennaio, 25 febbraio ed 8 aprile 2010.

10. Ai fini della decisione, il Collegio ritiene in primo luogo necessario procedere ad una puntuale ricostruzione della complessa e controversa vicenda, sia quanto ai successivi passaggi proprietari dei singoli immobili ed alle relative variazioni catastali, sia quanto al susseguirsi nel tempo di procedimenti e prevedimenti che hanno portato, in un primo tempo, alla trascrizione del vincolo archeologico limitatamente ad alcuni lotti, e quindi con riferimento solo ad alcuni immobili, sia in relazione alle censure dedotte da parte ricorrente, sia in relazione alla richiesta istruttoria, di parte resistente, di CTU volta a chiarire le variazioni catastali intervenute nel tempo, e quindi ad accertare l’identità fra gli immobili a suo tempo vincolati e quelli oggetto di domanda di condono.

All’esito della predetta ricostruzione, peraltro emerge la non necessità di esperire il predetto incombente istruttorio. Infatti, da un lato, la continuità del comportamento dei diversi proprietari nella realizzazione e gestione dei nuovi manufatti abusivi (in disparte ogni considerazione circa la denunciata "contiguità" fra soci, amministratori e persino sedi), unitamente alla circolarità delle responsabilità dei danti causa nei confronti dei nuovi proprietari via succedutisi nel tempo, quanto alla conoscenza dei vincoli dell’area non risultanti dalle trascrizioni, salda ed unifica le diverse imprese in una unitaria posizione soggettiva ed in un comune interesse a proporre i singoli motivi di ricorso contro tutta la sequenza provvedimentale, talchè l’accertamento dei reali rapporti fra le stesse imprese e delle vicende catastali dei singoli lotti potrà, se del caso, rilevare a fini civilistici e penali, ma non a quelli del presente giudizio. D’altro lato, come verrà più avanti argomentato in dettaglio, gli atti impositivi del vincolo si rivelano, all’esito della predetta ricostruzione, estesi a tutto il complesso immobiliare, e comunque solo dichiarativi di una oggettiva situazione generale dei luoghi ad essi preesistente, consentendo al Collegio di non accedere, anche a fini di economia e snellezza processuale, alla predetta richiesta di CTU.

10. Entrando nel merito, ed esaminando le diverse censure secondo un possibile ordine logico oltrecè secondo l’ordine di presentazione, il Collegio osserva che un primo gruppo di doglianze concerne la pretesa illegittimità dell’impugnato annullamento, intervenuto dopo l’acquisto degli immobili da parte della ricorrente, relativamente ai lotti per i quali il vincolo archeologico non era stato tempestivamente trascritto, e non era quindi conoscibile dalla medesima ricorrente al momento dell’acquisto immobiliare.

In realtà, osserva il Collegio, l’intera area era già perimetrata dal vincolo ex lege 1497/39 (cui è seguita la legge 431/85) e nel 1998 la Soprintendenza aveva confermato tale perimetrazione per estenderla anche alle aree limitrofe e sottolinearne la continuità. Quindi, le aree erano di interesse ambientale ed archeologico e perciò vincolate ope legis ai sensi della legge n. 431/85, art. 1, lett. m), rispetto alla quale la successiva perimetrazione del vincolo aveva effetto solo dichiarativo di un preesistente interesse pubblico generale, riferito all’oggettivo stato dei luoghi e preminente rispetto allo jus edificandi privato. Pertanto, in sede di riesame del titolo indebitamente rilasciato, la mancata trascrizione del vincolo per alcune particelle catastali poteva eventualmente rilevare ai fini dei rapporti fra successivi proprietari, ma non poteva certamente elidere la necessaria ponderazione delle esigenze pubblicistiche di tutela dell’immanente vincolo archeologico. A propria volta, la documentazione trasmessa dal Comune nel 2002 era del tutto identica a quella in base alla quale la stessa Soprintendenza si era espressa nel 1988, ed il nuovo parere non poteva, quindi, che rispecchiare il contenuto di quello espresso con la nota n. 81 del 1988. Né possono esservi dubbi circa la valutazione archeologica espressa dalla Soprintendenza nel 1988 (ante apposizione del vincolo specifico del 1995, di cui vi era però chiara premessa nella legge e nelle stesse valutazioni contenute in quel parere),e poi, a conferma, con le successive note del 2001. D’altronde, osserva ancora il Collegio, anche l’atteggiamento successivo del Ministero non lascia adito a dubbi, con l’attivazione del diritto di prelazione, valutato negativamente dal Consiglio di Stato e poi dal TARsotto un profilo diverso da quello in esame, relativo all’indubbia incidenza della trascrizione del vincolo ai fini dei successivi passaggi di proprietà del singolo immobile.

Conclusivamente, l’originario interesse paesisticoambientale ed archeologico ex lege del sito, da un lato, costituiva un dato oggettivo ben conoscibile dall’acquirente, nei cui confronti era quindi pienamenet opponibile indipendentemente dalla parziale apposizione del vincolo archeologico; e d’altro lato precludeva necessariamente, ex lege, la possibilità di rilasciare titoli edilizi in sanatoria senza il previo parere favorevole della Soprintendenza, parere non solo non reso in senso favorevole ma anzi espresso i senso chiaramente negativo in una pluralità di note facilmente conoscibili e consultabili, secondo l’ordinaria diligenza, dalla ricorrente prima di procedere all’acquisto.

Viene, inoltre, in rilievo la decisione del Consiglio di Stato (Ad. Plen.) n 20/99, secondo cui la pubblica amministrazione deve necessariamente tener conto delle qualificazioni giuridiche vigenti al momento della valutazione, indipendentemente dall’epoca di realizzazione del manufatto, in quanto la disposizione di portata generale di cui all’articolo 32, primo comma, della legge 28 fèbbraio 1985, n.47, relativa ai vincoli che pongono limiti all’edificazione, deve interpretarsi nel senso che l’obbligo di pronuncia da parte dell’autorità preposta alla tutela del vincolo sussiste in relazione alla esistenza del vincolo al momento in cui deve essere valutata la domanda di sanatoria, a prescindere dall’epoca d’introduzione del vincolo, atteso che tale valutazione corrisponde alla esigenza di vagliare l’attuale compatibilità, con il vincolo, dei manufatti realizzati abusivamente.

Le vicende relative alla successiva trascrizione del vincolo archeologico solo per alcune delle particelle interessate non risultano, pertanto, decisive ai fini della legittimità della valutazione dell’interesse pubblico generale di tutela archeologica dell’area compiuta, dalla Soprintendenza e di conserva dal Comune, in sede di riesame del condono, a suo tempo indebitamente rilasciato senza il previo parere favorevole della Soprintendenza.

11. Un secondo ordine di censure concerne l’affermata inidoneità delle note della Soprintendenza, richiamate nelle premesse delle impugnate delibere, a sorreggere l’annullamento dei condoni a fini di tutela archeologica, in quanto non afferenti alla materia archeologica, bensì paesistica.

Al riguardo, il Collegio osserva che per edificare in area vincolata, e quindi per il rilascio del condono, non è sufficiente (ex art. 32 L. 47/85) che il Ministero non si sia pronunciato negativamente, in quanto occorre, viceversa, che il titolare del vincolo abbia espressamente aderito alla domanda, in quanto la disciplina e la giurisprudenza equiparano il silenzio eventualmente serbato al rifiuto (art. 32 c. III L. 47cit.). Peraltro non vi è neppure dubbio, così come esaustivamente ed autorevolmente argomentato dalla Difesa del Comune, che le note richiamate in premessa (la prima del 1988, la seconda del 12 luglio 2001) esprimevano chiaramente l’opposizione della Soprintendenza a qualsiasi modificazione dello stato dei luoghi, motivando adeguatamente il predetto giudizio, in modo non incongruo o illogico, sia sotto il profilo ambientale che sotto il profilo archeologico, secondo un comune filo motivazionale che lega le due note. Del resto, la data delle concessioni è successiva alla citata sentenza n. 20/99 della A.P. del Consiglio di Stato, che conferma l’obbligatorietà del parere. Pertanto, essendo stato rilasciato il condono omettendo l’acquisizione del parere favorevole della Soprintendenza per i Beni Archeologici, la stessa ne ha doverosamente chiesto l’annullamento, ed il Comune ha altrettanto doverosamente avviato il procedimento di riesame ed annullamento dei condoni rilasciati, informandone debitamente la ricorrente, subentrate nelle more nella proprietà dell’immobile, oltreché la dante causa che ottenne indebitamente il titolo.

12. Viene, quindi, in esame l’ulteriore serie di censure, di ordine procedurale, volte a far valere l’incompetenza della Soprintendenza ai fini del rilascio del parere obbligatorio presupposto e la violazione delle previste garanzie procedimentali da parte del Comune. Peraltro, il Collegio osserva che il parere è stato reso e debitamente motivato dalla Soprintendenza, organo competente in base all’interesse archeologico generale del’area, universalmente riconosciuto di rilevo nazionale, come indirettamente confermato dalla legge regionale istitutiva del Parco (L.R.66/88). Il diniego risulta altresì debitamente motivato dalla ritenuta incompatibilità fra l’imponente intervento edilizio ed i valori archeologici ed ambientali tutelati. Neppure possono essere accolte le ulteriori censure procedurali riferite al procedimento di annullamento in autotutela, che si palesava dovuto ed a contenuto vincolato in presenza di un parere archeologicoambientale nettamente negativo, discendendone la non necessità della comunicazione di avvio del procedimento, secondo un criterio di effettività sostanziale della predetta tutela formale, in quanto volta a consentire l’intervento dialettico, nel procedimento, delle ragioni dei soggetti privati interessati, rispetto al quale la successiva entrata in vigore della novella alla legge n. 241/1990, costituita dal nuovo art. 21 octies, 2° comma, assumeva un valore meramente confermativo della preesistente disposizione secondo la predetta linea applicativa.

Da questo punto di vista, la riedizione dell’impugnato annullamento nel 2003, fatta oggetto di motivi aggiunti, risulta meramente confermativa del primo provvedimento impugnsato, senza la necessità, ma neppure la possibilità, di una nuova ed autonoma istruttoria, diversa dal mero accertamento di un parere necessario ed obbligatorio di contenuto negativo del soggetto titolare di tale potestà: il nuovo diniego non poteva, quindi né sanare precedenti illegittimità (peraltro ritenute dal Collegio non sussistenti alla stregua delle precedenti valutazioni), né crearne di nuove sotto il profilo procedurale e formale e dell’omesso avviso di avvio del procedimento.

Conclusivamente, il procedimento seguito dal Comune si profila legittimo, così come ampiamente argomentato dalla sua Difesa in giudizio, in quanto preceduto dall’avviso di avvio, peraltro non necessario in ragione della sua natura dovuta, rispettoso della partecipazione della ricorrente ed adeguatamente motivato dalla sussistenza di un parere negativo, già reso, e confermato, dalla competente Soprintendenza al momento della decisione.

Il ricorso deve essere, in conclusione, respinto. Tuttavia sussistono motivate ragioni, in relazione alla complessità della situazione e delle questioni dedotte, per compensare fra le parti le spese di giudizio

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione Seconda Bis,

definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo respinge poiché non fondato.

Compensa fra le parti le spese di giudizio,

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nelle camere di consiglio del 28 gennaio, 25 febbraio ed 8 aprile

2010, con l’intervento dei Signori:

Eduardo Pugliese, Presidente

Raffaello Sestini, Consigliere, Estensore

Francesco Arzillo, Consigliere

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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