Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 03-02-2011) 30-03-2011, n. 13105 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza emessa in data 2 Dicembre 2009, la Corte di Appello di Napoli ha confermato la sentenza emessa il 15 Luglio 2009 dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Napoli che, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche, ha condannata la Sig.ra D.S. alla pena di tre anni di reclusione e 20.000,00 Euro di multa per il reato previsto dal D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73 per avere detenuto circa 396 grammi di marijuana, contenenti oltre 47 grammi di principio attivo.

Con la sentenza qui impugnata la Corte di Appello di Napoli ha confermato la decisione di primo grado respingendo l’impugnazione volta ad ottenere l’applicazione dell’ipotesi attenuata prevista dal D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 5.

Avverso tale decisione la Sig.ra D.S. ricorre tramite il Difensore lamentando che erroneamente il giudice di appello con riferimento alla richiesta applicazione dell’ipotesi attenuata abbia fatto rinvio alla motivazione della prima sentenza; questa, infatti, non ha in alcun modo affrontato la questione dell’applicabilità dell’ipotesi prevista dal D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 5, con la conseguenza che la motivazione della sentenza di appello deve ritenersi carente. Inoltre, avendo riguardo ai parametri fissati dalla giurisprudenza (quantità e quantità della condotta;

modalità della condotta e qualità e quantità dei soggetti coinvolti), appare del tutto illogico negare la richiesta attenuante solo in base alla quantità della sostanza e non considerare che si è in presenza di mera detenzione della sostanza presso il domicilio in assenza di qualsiasi elemento che faccia pensare ad un’attività di cessione a terzi.

Con atto depositato il 2 ottobre 2009 il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Napoli ha proposto ricorso per cassazione avverso la decisione del Giudice dell’udienza preliminare, lamentando l’errata applicazione dell’art. 29 c.p. per avere il Giudice omesso di applicare la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici per la durata di anni cinque, sanzione che consegue obbligatoriamente alla irrigazione di una pena non inferiore ad anni tre di reclusione. Tale ricorso, che in presenza di appello dell’imputato avrebbe dovuto essere trattato in sede di merito congiuntamente a quest’ultimo, non è stato preso in esame dalla Corte di Appello, ma inviato a questa Corte.
Motivi della decisione

1. Il ricorso della parte privata è manifestamente infondato e deve essere dichiarato inammissibile.

La Corte rileva che effettivamente la motivazione della sentenza impugnata è particolarmente sintetica, ma non può dirsi erroneo il rinvio alla motivazione della sentenza di primo grado, posto che il primo giudice aveva affrontato il tema della quantità della sostanza detenuta e concluso per un potenziale giudizio di gravità della condotta che, sul piano logico, costituisce affermazione inconciliabile con l’applicazione dell’ipotesi attenuata prevista dal D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, invocato comma 5.

Muovendo da queste premesse, deve rilevarsi che la Corte di Appello ha ritenuto che la detenzione di quasi 400 grammi di sostanza contenenti oltre 47 grammi di principio attivo – corrispondenti a 1.900 dosi singole – sia connotata da carattere di gravità e non possa essere ricondotta all’ipotesi attenuata richiesta, invece, dalla Sig.ra D.S.. Tale argomento, che attiene ad una valutazione di fatto propria della sede di merito, non appare a questa Corte viziato da manifesta illogicità, con la conseguenza che non sussistono i presupposti previsti dall’art. 606 c.p.p. perchè il giudice di legittimità possa sottoporre a censura la decisione impugnata. Sul punto si rinvia ai principi fissati dalla sentenza delle Sezioni Unite Penali, n. 2120, del 23 novembre 1995-23 febbraio 1996, Fachini (rv 203767) e quindi confermati dalla più recente giurisprudenza, come emerge, tra le altre, dalla sentenza della Seconda Sezione Penale della Corte. 5 maggio-7 giugno 2006, n. 19584, Capri ed altra (rv 233773, rv 233774, rv 233775) e dalla sentenza della Sesta Sezione Penale, 24 marzo-20 aprile 2006, n. 14054, Scazzanti (rv 233454).

2. Quanto al ricorso del Procuratore Generale, che lamenta l’omessa pronuncia in tema di pena accessoria, come rilevato nella parte espositiva si tratta di impugnazione che avrebbe dovuto essere trattata in sede di merito e che solo per errore è stata rimessa all’esame di questa Corte. La circostanza che col presente provvedimento sia definita l’impugnazione della Sig.ra D.S. non consente di superare l’attribuzione del giudizio al giudice competente, con la conseguenza che la sentenza impugnata deve essere annullata sul punto e gli atti trasmessi alla Corte di Appello di Napoli per l’esame del motivo di ricorso del Procuratore Generale.

3. Sulla base delle considerazioni fin qui svolte il ricorso dell’imputata deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna della ricorrente, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese del presente grado di giudizio.

Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data del 13 giugno 2000, n. 186. e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", si dispone che la ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente all’omessa pronuncia sull’impugnazione proposta dal Procuratore Generale e ordina trasmettersi gli atti alla Corte di Appello di Napoli per la trattazione dell’impugnazione del procuratore Generale. Dichiara inammissibile il ricorso della D.S.. che condanna al pagamento delle spese del presente giudizio, nonchè al versamento della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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