T.A.R. Emilia-Romagna Parma Sez. I, Sent., 28-03-2011, n. 84 Amministrazione Pubblica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il ricorrente, proprietario di un fondo della superficie di circa 12 ettari sito nel Comune di Ligonchio, otteneva dalla Provincia di Reggio Emilia l’autorizzazione al movimento di terra necessario alla costruzione di una recinzione, asseritamente finalizzata alla realizzazione di un’azienda agricola per l’allevamento di animali in semilibertà.

Il progetto in questione si poneva, secondo la prospettazione del deducente, anche in funzione della realizzazione di un’azienda agrituristica attraverso l’ampliamento e lo sfruttamento, anche come albergo, di un immobile di proprietà del medesimo già adibito ad attività di ristorazione.

Con istanza del 30 gennaio 1998 il ricorrente chiedeva l’autorizzazione edilizia necessaria per la recinzione, ma con provvedimento n. 1193/98 il Comune di Ligonchio rigettava l’istanza sul presupposto dell’esistenza sul fondo di una strada vicinale di uso pubblico il cui percorso sarebbe risultato interrotto dall’opera progettata dall’interessato.

Il ricorrente impugnava dinanzi a questo Tribunale amministrativo tale atto, unitamente all’ordinanza di sospensione dei lavori emessa 22 aprile 1998 e, nelle more del giudizio si gravava, con ricorso straordinario al Capo dello Stato, anche contro gli ulteriori provvedimenti emessi dall’amministrazione di sospensione dei lavori e rimessa in pristino.

Dopo aver disposto in via istruttoria una consulenza tecnica d’ufficio, il T.A.R., con sentenza n. 742/2002, accoglieva il ricorso annullando tutti gli atti impugnati. La sentenza passava in giudicato il 10 gennaio 2003.

Come già accennato, la recinzione in parola era funzionale al progetto di ampliamento della propria azienda agricola volto alla valorizzazione dei prodotti aziendali attraverso la vendita diretta degli stessi, nonché alla realizzazione di strutture per il ricovero del bestiame e all’ampliamento del corpo fondiario principale posizionato a valle della proprietà e adibito a ristorante/albergo, onde esercitare successivamente un’attività agrituristica.

L’impossibilità di realizzare detta recinzione, a seguito dei menzionati provvedimenti dell’amministrazione comunale, causava al ricorrente ingenti danni, quantificati complessivamente nella somma di Euro 552.645.

Conseguentemente il sig. S. proponeva ricorso chiedendone il risarcimento del danno asseritamente subito, con vittoria di spese.

Si è costituita in giudizio l’Amministrazione intimata opponendosi all’accoglimento del gravame.

Alla pubblica udienza del 23 febbraio 2011 il ricorso è stato trattenuto per la decisione.
Motivi della decisione

Con il ricorso in esame viene domandato il risarcimento dei danni asseritamente subiti per effetto del provvedimento, poi annullato con la sentenza n. 742/02 di questo T.A.R., con cui il Comune di Ligonchio ha negato al ricorrente l’autorizzazione a realizzare una recinzione lungo tutto il confine del suo fondo, finalizzata a consentire l’allevamento di animali in semilibertà e, successivamente, l’ampliamento di un immobile di proprietà del medesimo, già adibito ad esercizio di ristorazione, per dare inizio ad un’attività agrituristica.

Preliminarmente il Collegio rileva che, vertendosi in materia di urbanistica ed edilizia, affidata alla cognizione esclusiva del giudice amministrativo a mente dell’art. 34 del d.lgs. n. 80/98, la posizione di diritto o interesse dedotta risulta comunque connessa all’esercizio di un potere amministrativo tipico, essendo l’evento lesivo, nella prospettazione della parte ricorrente, chiaramente riconducibile alla sussistenza di un interesse legittimo a contenuto pretensivo, connesso in via immediata e diretta alla causa tipica del potere amministrativo, ossia allo svolgimento di funzioni pubblicistiche amministrative, come tali esulanti dai meri "comportamenti" della p.a.

Ne discende che, contrariamente a quanto ritenuto in via di eccezione dalla controparte, la cognizione della controversia è ascritta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (Cons. Stato, Ad. Plen., 15 settembre 2005, n. 7; TAR Lazio, Sez. III quater, 31 marzo 2008, n. 2704; T.A.R. Puglia Bari, sez. III, 14 gennaio 2009, n. 48).

Nel merito il ricorso non è, tuttavia, suscettibile di accoglimento.

Giova in primo luogo rammentare che, per pacifica giurisprudenza, l’azione di risarcimento del danno da lesione di interessi legittimi, in ossequio al principio di atipicità dell’illecito civile, deve essere ricondotta alle previsioni di cui all’art. 2043 c.c., per l’identificazione degli elementi costitutivi dell’illecito, ed a quello dell’art. 2236 c.c., per l’individuazione dei confini della responsabilità.

Ne consegue che l’azione di risarcimento del danno richiede comunque la prova della quantificazione dei danni stessi con riferimento sia al danno emergente che al lucro cessante in quanto elementi costitutivi della relativa domanda, ai sensi dell’art. 2697 c.c. (Cons. Stato, Sez. IV, 15 novembre 2004, n. 7449; TAR Puglia, Bari, Sez. I, 26 giugno 2008, n. 1555; T.A.R. Piemonte, sez. I, 20 novembre 2008, n. 2901).

Costituisce, inoltre, principio cardine della responsabilità da fatto illecito, cui soggiace anche la pubblica amministrazione, che l’ingiustizia del fatto, nella specie il provvedimento amministrativo illegittimo, non è requisito sufficiente a fondare il diritto al risarcimento.

Esaminando partitamente i singoli profili sopra accennati il Collegio giunge alla conclusione che non sono ravvisabili, nella fattispecie, i presupposti per dare ingresso alla pretesa risarcitoria azionata dal ricorrente.

Quanto all’elemento soggettivo è noto che l’imputazione della responsabilità nei confronti della p.a. non può avvenire sulla base del mero dato obiettivo dell’illegittimità dell’azione amministrativa, poiché ciò si risolverebbe in un’inammissibile presunzione di colpa, ma comporta, invece, l’accertamento in concreto della colpa dell’amministrazione, configurabile quando l’esecuzione dell’atto illegittimo sia avvenuta in violazione delle regole proprie dell’azione amministrativa, desumibili sia dai principi costituzionali d’imparzialità e buon andamento, sia dalle norme di legge ordinaria in materia di celerità, efficienza, efficacia e trasparenza, sia dai principi generali dell’ordinamento, quanto a ragionevolezza, proporzionalità ed adeguatezza (cfr. Cons. Stato sez. V, 18 novembre 2010, n. 8091, id., 8 settembre 2008 n. 4242; id., sez. VI, 23 giugno 2006, n. 3981).

Ad ulteriore specificazione di tale criterio, la giurisprudenza ha ritenuto necessario che sia provata l’insussistenza di circostanze idonee ad elidere il profilo della colpa in capo all’Amministrazione con riferimento all’errore scusabile, che è riscontrabile in presenza di difficoltà di interpretazione della normativa applicata, contrasti giurisprudenziali, entrata in vigore di normativa poco perspicua, o complessità del fatto (T.A.R. Toscana, sez. II, 24 agosto 2010, n. 4880; T.A.R. Lazio Roma, sez. III, 16 febbraio 2010, n. 2277; in senso contrario, T.A.R. Lombardia Milano, sez. II, 15 aprile 2010, n. 1092, che addossa tale onere probatorio alla stessa Amministrazione).

Nel caso che ne occupa non pare che la condotta del Comune possa essere configurata come posta in essere in violazione dei canoni di legalità sopra accennati.

Invero, l’Amministrazione, negando l’autorizzazione richiesta dall’attore, si è limitata a constatare che la recinzione progettata avrebbe determinato l’interruzione di quella che, allo stato e secondo gli atti a disposizione della medesima, appariva essere una strada vicinale di uso pubblico. Che la questione fosse controversa e non evidente per tabulas è dimostrato dal fatto che solo all’esito della consulenza tecnica disposta d’ufficio dal T.A.R. è stato possibile accertare che le condizioni di manutenzione del tracciato e il protratto non uso della strada conducevano ad una conclusione di segno diverso.

Con riferimento al nesso di causalità tra l’evento dannoso e l’attività provvedimentale dell’Amministrazione mette conto, in primo luogo, evidenziare che, nonostante il mancato rilascio del titolo autorizzatorio, il ricorrente ha ugualmente proceduto alla realizzazione dell’opera, sia pure non giungendo al suo completamento, tanto che il Comune è dovuto intervenire con due ordinanze, ingiungendo prima la sospensione dei lavori e poi la demolizione di quanto già compiuto (provvedimenti, non eseguiti, e impugnati con ricorso straordinario al Presidente della Repubblica di cui è ancora impregiudicato l’esito).

Ciò pone un primo interrogativo in ordine all’idoneità della parte realizzata della recinzione ad assolvere alle finalità divisate dal ricorrente e, per converso, dell’effetto pregiudizievole sortito dall’incompiutezza dell’opera.

Ma ciò che maggiormente suscita perplessità è il carattere meramente ipotetico del progetto complessivo di creazione di un’azienda agrituristica che sarebbe risultato impedito dall’impossibilità di condurre a compimento la costruzione della recinzione.

Negli atti di causa, infatti, non vi è traccia di un progetto o di altro indizio documentale dal quale dedurre inequivocabilmente la serietà dell’intento di dar vita all’attività agrituristica e, soprattutto, la preesistenza di tale intendimento rispetto al diniego di autorizzazione annullato dal T.A.R..

Anzi, dagli atti versati in causa dallo stesso ricorrente il 12 gennaio 2011, risulta che solo nell’ottobre del 2008, ossia dopo oltre cinque anni dal passaggio in giudicato della sentenza, è stato intrapreso l’iter amministrativo necessario ad avviare l’attività in parola con la richiesta del permesso di costruire e delle necessarie autorizzazioni sanitarie e ambientali.

Se ne deve concludere che, se pure non può negarsi l’esistenza di una connessione, in punto di fatto, tra il confinamento del fondo e l’intrapresa economica progettata, questa si risolve in un nesso di natura probabilistica legato a soggettive ed eventuali determinazioni dell’interessato, inidoneo, perciò, ad assumere quel carattere di certezza necessario a dare corpo alla pretesa giuridica azionata.

Tale conclusione introduce all’esame dell’ultimo aspetto che occorre esaminare, vale a dire la quantificazione del danno.

Anche in questo caso non è superfluo rammentare che, secondo consolidata elaborazione giurisprudenziale, spetta al ricorrente fornire in modo rigoroso la prova dell’esistenza del danno, non potendosi invocare il c.d. principio acquisitivo perché tale principio attiene allo svolgimento dell’istruttoria e non all’allegazione dei fatti, nè può ammettersi il ricorso alle presunzioni semplici ex art. 2729 c.c. per fornire la prova del danno subito e della sua entità, essendo comunque ineludibile l’obbligo di allegazione di circostanze di fatto precise e, quando il soggetto onerato della allegazione e della prova dei fatti non vi adempie, non può darsi ingresso alla valutazione equitativa del danno ex art. 1226 c.c., perché tale norma presuppone l’impossibilità di provare l’ammontare preciso del pregiudizio subito (cfr., ex multis, Cons. Stato sez. V, 28 febbraio 2011, n. 1271).

D’altro canto, la stessa consulenza tecnica d’ufficio non può essere diretta a supplire al mancato assolvimento dell’onere probatorio da parte del privato, atteso che essa non è certo destinata ad esonerare la parte dalla prova dei fatti dalla stessa dedotti e posti a base delle proprie richieste, fatti che devono essere dimostrati dalla medesima parte alla stregua dei criteri di ripartizione dell’onere della prova posti dall’art. 2697 c.c., ma ha la funzione di fornire all’attività valutativa del giudice l’apporto di cognizioni tecniche non possedute (Cons. Stato, sez. V, 13 giugno 2008 n. 2967; id., sez. VI, 12 marzo 2004, n. 1261).

Il ricorrente ha quantificato il danno subito nella somma complessiva di Euro 552.645,64 attraverso una consulenza tecnica redatta dall’agronomo, dott. Enrico Bonazzi.

Il perito di parte ha articolato l’importo di cui sopra in differenti voci di danno alcune riconducibili alle perdite relative alla produzione agricola e zootecnica ed altre riferibili alla attività agrituristica (ristorazione e ospitalità alberghiera) che non avrebbe potuto convenientemente esercitare giungendo a determinare una perdita annua di Euro 104.093,33, per il periodo 1998 – 2003.

Poiché nella circostanza il danno è riferito unicamente al lucro cessante conviene rammentare che, secondo quanto stabilito dall’art. 1223 cod. civ., il mancato guadagno deve essere conseguenza immediata e diretta del fatto illecito.

Orbene, l”accoglimento della domanda di risarcimento del danno da lucro cessante esige la prova, anche presuntiva, dell’esistenza di elementi oggettivi dai quali desumere, in termini di certezza o di elevata probabilità e non di mera potenzialità, l’esistenza di un pregiudizio economicamente valutabile (Cass. civ., sez. III, 11 maggio 2010, n. 11353; Cons. Stato sez. V, 6 dicembre 2010, n. 8549).

Nel caso in esame, oltre a quanto già in precedenza rilevato, è proprio tale profilo a precludere il favorevole apprezzamento della pretesa risarcitoria

Invero, la tesi del ricorrente è sorretta unicamente da un’ipotesi, senza alcun riscontro obiettivo che ne inveri l’argomentazione. L’attività agrituristica, infatti, non era in precedenza effettivamente esercitata dall’interessato, di talchè non si rende possibile alcun vero raffronto con un elemento reale che consenta di misurare tangibilmente i minori introiti conseguenti all’impossibilità di confinamento del fondo di proprietà.

Non vi è traccia, infatti, di un progetto o, comunque, di elementi che, seppure presuntivamente, possano fornire la prova che, al di là delle mere affermazioni dell’interessato, il provvedimento del Comune abbia potuto determinare le conseguenze pregiudizievoli evidenziate dal perito di parte.

Sfugge, inoltre, o appare debolmente argomentato, il nesso logico e causale tra la realizzazione della recinzione e l’esercizio dell’attività agrituristica, atteso che questa poteva essere al più mitigata nella sua potenziale redditività, ma non completamente esclusa dall’assenza del recinzione.

Se ne deve concludere che non sussistono gli elementi soggettivi ed oggettivi idonei a configurare, in ordine alla pretesa risarcitoria dedotta, una responsabilità dell’Amministrazione nei termini prospettati dal ricorrente

Per le considerazioni che precedono il ricorso deve pertanto essere rigettato.

Le spese di giudizio seguono la soccombenza come da liquidazione fattane in dispositivo.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’EmiliaRomagna, sezione staccata di Parma, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che si liquidano forfettariamente in Euro 3.000,00, oltre IVA e CPA.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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