Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 27-01-2011) 30-03-2011, n. 13101 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

K.H.P. e K.P. propongono ricorso per cassazione avverso la sentenza in epigrafe con la quale la corte di appello di Catania, in riforma di quella con la quale il tribunale di Ragusa in data 22.1.2009 aveva assolto gli imputati, li condannava entrambi alla pena di giustizia per il reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5 per la coltivazione di piante di cannabis indica in un’area di circa 6000 m2 e di cui all’art. 648 c.p. in relazione al ritrovamento di stecche di sigarette.

Deducono in questa sede i ricorrenti:

1) mancanza, contraddittorietà e/o manifesta illogicità della motivazione assumendo che la decisione di condanna si fonda unicamente sulle dichiarazioni rese dalla teste F.V. delle quali erroneamente sarebbe stata data lettura ai sensi dell’art. 512 c.p.p.. Ciò in quanto era prevedibile che la stessa si sottraesse all’esame in dibattimento avendo sin dall’inizio dichiarato di risiedere in un’abitazione dove in realtà non viveva più da tempo.

I ricorrenti sostengono inoltre non esservi prova che essi, al pari degli altri dipendenti indiani, fossero a conoscenza della natura delle coltivazioni ascrivibili al solo C., proprietario delle serre, con il quale la F. aveva contatti frequenti. Si aggiunge che entrambi gli imputati non conoscevano la lingua italiana in quanto da poco tempo in Italia e che, con riferimento all’ulteriore reato di ricettazione, le sigarette erano state trovate all’interno di una pertinenza dell’azienda ove vi erano anche altri extracomunitari e che l’immobile risulta comunque di proprietà del C..

2) carenza di prove decisive sulla responsabilità in quanto gli imputati avrebbero tenuto un comportamento meramente passivo, inidoneo ad apportare alcun contributo alla realizzazione dei reati.
Motivi della decisione

I ricorsi sono infondati e vanno, pertanto, rigettati.

In ordine al primo motivo si rileva la genericità del rilievo posto che i ricorrenti non indicano da quali elementi si dovesse desumere che la F. risiedeva in un luogo diverso da quello dichiarato, già al momento in cui aveva reso le sommarie informazioni, nè la conoscenza di tale circostanza da parte degli inquirenti.

Inoltre, come più volte affermato da questa Corte, la sopravvenuta irreperibilità del soggetto non può avere il significato presuntivo della volontaria scelta del teste di sottrarsi all’esame dibattimentale non escludendo di per sè la situazione di sopravvenuta impossibilità di ripetizione che giustifica la lettura delle precedenti dichiarazioni (Sez. 5, n. 21877 del 26/03/2010 Rv.

247445).

Va anche aggiunto che il divieto di provare la colpevolezza sulla base delle dichiarazioni di chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto all’esame dell’imputato o del suo difensore non opera nel caso in cui sia incerta o equivoca la volontarietà della sottrazione da parte del dichiarante in quanto, nell’impossibilità di accertare i fattori impeditivi del confronto dibattimentale, non può ritenersi sussistere il requisito della "libera scelta", cui è subordinato dal codice di rito vigente il divieto di utilizzazione. (Sez. 3, n. 12634 del 02/03/2010 Rv.

246814).

E dunque appaiono correttamente valorizzate in sentenza le dichiarazioni della F..

La valutazione della sufficienza delle stesse per comprovare l’ipotesi accusatoria appartiene alla valutazione di merito ed appare pertanto insindacabile in questa sede.

Peraltro la corte di merito correttamente confuta espressamente i dubbi nutriti del primo giudicante rilevando come proprio sulla base delle dichiarazioni della teste era emerso che il C. non consentiva a nessuno l’ingresso nelle serre in cui venivano effettuate le coltivazioni di piante di canapa indiana, ad eccezione degli imputati.

Ugualmente di merito si appalesano i rilievi concernenti il reato di ricettazione a proposito del quale vengono logicamente valorizzate le modalità di custodia e la notorietà dei marchi anche in chiave di malafede e di consapevolezza dell’illecita provenienza delle stecche.

Ai limiti dell’inammissibilità si pone il secondo motivo di ricorso con cui si censura la valutazione di merito della corte di appello che ha ritenuto motivatamente sussistente la consapevolezza degli imputati di recare un contributo causale alla commissione del reato di coltivazione della cannabis, sul rilievo delle modalità di coltivazione delle piante e del divieto generalizzato di ingresso nelle serre ad altri nonchè della elevata quantità di piantine messe a dimora.

Al rigetto del ricorso consegue per i ricorrenti l’onere del pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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