Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 24-06-2011, n. 13965 Personale non docente

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Nei confronti di R.B., inserita nella graduatoria provinciale di Messina ad esaurimento personale ATA seconda fascia per il conferimento delle supplenze annuali e temporanee e quindi assunto a tempo determinato dal 1.9.2002 al 31.8.2003, è stata disposta la revoca dell’incarico di supplenza, con recesso dal contratto a tempo determinato con effetto dal 10 gennaio 2003 a seguito di provvedimento cautelare di sospensione della graduatoria adottato dal giudice amministrativo; l’incarico di supplenza è stato poi ripristinato con decorrenza 19 luglio 2003 essendo venuta meno l’ordinanza cautelare.

La R. ha proposto ricorso al Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto nei confronti del Ministero dell’Istruzione, della Direzione didattica statale (OMISSIS) e del Centro Servizi Amministrativi di Messina chiedendo il riconoscimento come periodo utile di servizio quello compreso tra il 10 gennaio 1983 e il 18 luglio 2033, nonchè il risarcimento del danno subito durante il periodo di "vacanza contrattuale" in relazione alla mancata erogazione del trattamento dovuto e al mancato riconoscimento giuridico del periodo di servizio in questione.

Il Tribunale adito ha rigettato la domanda, con decisione che la Corte di Appello di Messina, in accoglimento del gravame della R., ha riformato con la sentenza oggi impugnata, dichiarando il diritto dell’appellante al riconoscimento del periodo in questione quale servizio effettivo e condannando il C.S.A. al risarcimento dei danni conseguenti all’anticipata risoluzione del rapporto, in misura pari alle retribuzioni spettanti per il suddetto periodo.

La Corte territoriale osservava che dal provvedimento cautelare di sospensione della graduatoria disposto dal giudice amministrativo non poteva non conseguire "non essendo ipotizzabile una sospensione sine die, un sostanziale ritiro dell’atto conseguente all’atto presupposto"; il provvedimento di nomina restava legittimo anche all’atto della sua revoca: l’amministrazione avrebbe potuto solo dichiarare sospesi gli effetti della graduatoria e della conseguente nomina per tutto il tempo occorrente alla verifica giudiziale, ma non certo disporre un illegittimo provvedimento di revoca del contratto.

La risoluzione del rapporto stipulato con l’appellante non trovava giustificazione e il conseguente inadempimento radicava l’obbligazione risarcitoria della pubblica amministrazione.

Avverso questa sentenza il Centro Servizi Amministrativi di Messina propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi. L’intimata resiste con controricorso.

I ricorsi sono stati assegnati per la trattazione a questa Sezione Lavoro ai sensi dell’art. 374 cod. proc. civ., comma 1.
Motivi della decisione

1. Sulla materia controversa e su ricorsi che presentano la stessa formulazione delle censure mosse con i tre motivi del ricorso le Sezioni unite si sono già pronunciate con le sentenze nn. 8466, 8467, 8468, 8469, 8470 del 2 aprile 2008, nonchè 14194 del 29 maggio 2008. Si riproduce qui la motivazione posta a sostegno della decisione.

2.1. Con il primo motivo si deduce il difetto di giurisdizione del giudice ordinario per violazione della L. 6 dicembre 17971, n. 1034, art. 21, comma 14 e 15, art. 6, comma 2 e successive modificazioni, art. 96 cod. proc. civ., comma 2. Deduce in particolare che a norma dell’art. 96 c.p.c, comma 2, spetta al giudice competente a decidere il merito della controversia pronunciarsi sulla domanda di risarcimento dei danni causati dall’esecuzione di un provvedimento cautelare. E quindi la domanda di risarcimento del danno, per responsabilità processuale aggravata inerente ad un procedimento dinanzi al giudice amministrativo, non può essere proposta davanti al giudice ordinario, perchè non attiene a questione patrimoniale consequenziale alla pronuncia circa la legittimità dell’atto o provvedimento impugnato, ed è conoscibile solo dal medesimo giudice amministrativo, nell’ambito della causa in cui si assumano verificati gli estremi di detta responsabilità.

SI propone il seguente quesito di diritto: se spetti al giudice amministrativo la giurisdizione sulle modalità esecutive delle ordinanze cautelari pronunciate ai sensi della L. n. 1034 del 1971, art. 21, comma 13, 15 e sull’eventuale risarcimento del danno che sia derivato dall’esecuzione di siffatte pronunce cautelari.

2.2. Con il secondo motivo si denuncia un vizio di motivazione della sentenza impugnata, per la mancata indicazione delle ragioni della rilevata illegittimità dell’operato dell’amministrazione nella esecuzione del provvedimento cautelare e l’omesso esame della portata delle ordinanze cautelari del Tar e del Consiglio di Giustizia Amministrativa della Regione Siciliana, sulle base delle quali sono stati emessi i provvedimenti del CSA. Si critica la soluzione adottata dalla C.App., secondo cui le modalità esecutive della sospensiva consistevano nel mantenimento in servizio medio tempore dei controinteressati senza assumere i ricorrenti, restando così inalterata la situazione preesistente senza alcun beneficio in favore dei candidati pretermessi. Dall’accoglimento della sospensiva scaturiva il precetto per l’amministrazione di immettere in servizio i ricorrenti revocando provvisoriamente gli effetti dei contratti stipulati con i controinteressati. L’amministrazione non aveva revocato in via definitiva tali contratti ma si era limitata a dare stretta esecuzione al provvedimento cautelare facendo espressamente salvi gli effetti di una diversa decisione di merito.

La Corte, ritenendo erroneamente la propria giurisdizione, avrebbe dovuto risolvere il merito della controversia stabilendo se era o meno fondata la tesi dei ricorrenti di aver diritto di precedenza assoluta nella collocazione della graduatoria.

2.3. Con il terzo motivo si deduce la violazione dell’art. 96 cod. proc. civ., comma 2 (secondo cui il giudice che accerta l’inesistenza del diritto per cui è stato eseguito un provvedimento cautelare su istanza della parte danneggiata condanna al risarcimento dei danni l’attore o il creditore procedente che ha agito senza la normale prudenza). Si afferma che la responsabilità conseguente all’esecuzione delle ordinanze cautelari non può gravare sull’amministrazione ma su coloro che hanno impugnato la graduatoria dinanzi al TAR. SI propone quindi il seguente quesito di diritto: dica la Corte su quale soggetto incombe la responsabilità derivante dalla esecuzione di un provvedimento cautelare laddove il giudice accerti l’inesistenza del diritto per il quale il provvedimento è stato eseguito.

3. Il ricorso – nel suo primo e terzo motivo che possono essere esaminati congiuntamente – è inammissibile. Infatti il primo ed il terzo motivo deducono il vizio di violazione di legge e quindi richiedono la formulazione del quesito di diritto ex art. 366 bis c.p.c.. Disposizione questa che là dove esìge che l’esposizione del motivo si debba concludere con il quesito di diritto comporta necessariamente che il quesito debba svolgere una propria funzione di individuazione della questione di diritto posta alla Corte, sicchè è necessario che tale individuazione sia assolta da una parte apposita del ricorso, a ciò deputata attraverso espressioni specifiche che siano idonee ad evidenziare alla Corte la questione stessa, restando invece escluso che la questione possa risultare da un’operazione di individuazione delle implicazioni della esposizione del motivo di ricorso come prospettato affidata al lettore di tale esposizione e non rivelata direttamente dal ricorso stesso. Infatti, se il legislatore avesse voluto ammettere tale possibilità, non avrebbe previsto che detta esposizione si concludesse con la formulazione del quesito, espressione che implica palesemente un "quid" che non può coincidere con essa, ma avrebbe previsto solo che quest’ultima deve proporre un quesito di diritto (Cass., Sez. 3^; 18 luglio 2007, n. 16002).

Nella specie entrambi i quesiti di diritto appaiono inammissibili perchè non conferente – il primo – ed attinente al fatto, il terzo.

3.1. Aver chiesto alla Corte, con il primo motivo, di dire "se spetti al giudice amministrativo la giurisdizione sulle modalità esecutive delle ordinanze cautelari pronunciate ai sensi della L. 6 dicembre 1971, n. 1034, art. 21, commi 14 e 15, e sull’eventuale risarcimento del danno che sia derivato all’esecuzione di siffatte pronunce cautelari" è inconferente al fine di decidere la controversia in esame. Il problema che quest’ultima pone non è quello delle modalità di esecuzione delle ordinanze cautelari emesse dal Consiglio di giustizia amministrativa per la regione Sicilia, bensì quello della sussistenza, o meno, di una giusta causa dell’anticipato recesso dal rapporto di impiego pubblico a termine (pacificamente) costituito tra le parti; giusta causa che la Corte d’appello ha ritenuto in concreto insussistente. Talchè il quesito di diritto avrebbe dovuto riguardare la nozione di giusta causa nel caso di recesso ante tempus nel rapporto di pubblico impiego a termine e non già le modalità di esecuzione di un provvedimento cautelare emesso dal giudice amministrativo in favore di altri soggetti.

3.2. Parimenti inammissibile è il terzo motivo che pone all’evidenza una quaestio facti, peraltro prospettata in termini ancipiti e perplessi; e che peraltro risente dell’aberratio del primo motivo di ricorso in quanto insiste sulle modalità di esecuzione del provvedimento cautelare suddetto che – come già detto – non rilevano nella specie.

3.3. Il secondo motivo è infondato, avendo la Corte territoriale motivato sufficientemente e non contraddittoriamente il suo convincimento.

Nella controversia in esame non si poneva alcun problema di modalità esecutive del provvedimento cautelare reso (inizialmente) dal giudice amministrativo in favore di terzi aspiranti alla stessa p supplenza annuale, ma si faceva solo questione della sussistenza, o meno, di una giusta causa di anticipato recesso dal contratto di lavoro a termine stipulato con il ricorrente; contratto che ha costituito un rapporto di impiego pubblico a tempo determinato che, in quanto temporalmente collocato dopo il 30 giugno 1998, radica la giurisdizione del giudice ordinario, come correttamente ritenuto dalla Corte d’appello. La quale poi ha anche ritenuto non sussistere tale allegata giusta causa di anticipato recesso dal rapporto: il Centro Servizi Amministrativi per la provincia di Messina avrebbe potuto solo sospendere il ricorrente in attesa della sorte della graduatoria sul presupposto della quale il ricorrente era stato appunto assunto a termine per una supplenza annuale. Ma in concreto, peraltro, quest’ultimo provvedimento cautelare, che faceva sorgere dubbi sulla legittimità della graduatoria, è poi stato annullato dallo stesso giudice amministrativo e quindi tamquam non esset con la conseguenza che il Centro Servizi Amministrativi per la provincia di Messina -come appunto ha ritenuto la Corte d’appello – era comunque tenuto alla ricostituzione del rapporto sotto ogni aspetto, giuridico ed economico, e al pagamento delle retribuzioni arretrate in favore del ricorrente.

5. Il ricorso deve essere quindi respinto con la condanna della parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente a pagamento delle spese del presente giudizio liquidate in Euro 21,00, nonchè 2.000,00 Euro per onorari, oltre IVA, CPA e spese generali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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