T.A.R. Lazio Roma Sez. II ter, Sent., 28-03-2011, n. 2721 Amministrazione pubblica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Le società ricorrenti esercitano da anni l’attività commerciale di vendita di materiali edili, pavimenti, idrosanitari, rivestimenti ed analoghi nella città di Rieti e zone limitrofe.

Avuta notizia dell’apertura da parte della società O.A. s.p.a. (d’ora in poi soltanto O.) di un’attività di commercio all’ingrosso dei medesimi materiali nei locali siti in Rieti, in via E. Greco n. 5, e acquisita da parte del comune la richiesta documentazione relativa alla suddetta attività nel mese di aprile 2009, le ricorrenti, con l’atto del 12.10.2010, notificato in data 2122.10.2010 – previa deduzione delle riscontrate illegittimità del procedimento di rilascio dell’autorizzazione al commercio, nonché degli interventi di trasformazione edilizia effettuati da parte della detta società sia nel piazzale che nell’edificio -, hanno sollecitato il comune di Rieti all’adozione dei provvedimenti di competenza ai fini della revoca dell’autorizzazione al commercio, nonché della rimessione in pristino sia del piazzale che dell’edificio adibito ad attività commerciale.

Il Comune, tuttavia, é rimasto inerte non avendo dato in alcun modo seguito alla predetta istanza e, pertanto, con il ricorso in epigrafe, le società ricorrenti hanno dedotto l’illegittimità del silenzio serbato da parte dell’amministrazione comunale sull’istanza di cui in precedenza, deducendone l’illegittimità per violazione e falsa applicazione degli articoli 2, 19, comma 3, 21, 21 quinquies e 21 nonies della legge 7 agosto 1990, n. 241, degli articoli 3, 10, 22, 31, 32 e 33 del decreto del presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 e degli articoli 7 e 22, commi 2 e 6, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114.

Si è costituita in giudizio la controinteressata società O. che, con memoria del 25.10.2010, ha dedotto l’inammissibilità del ricorso nella parte in cui è stato sollecitato l’esercizio del potere di autotutela per la mancata tempestiva impugnazione dell’autorizzazione comunale al commercio in sede fissa, atto di cui le società ricorrenti sarebbero venute a conoscenza per esplicita ammissione sul punto nel mese di aprile 2009 e, comunque, nella parte in cui è stato sollecitato l’esercizio del potere sanzionatorio e repressivo in materia edilizia, per l’estraneità delle società ricorrenti alle vicende edilizie interessanti l’attività posta in essere dalla O. e la sussistenza di un interesse prettamente commerciale che le anima per la soddisfazione esclusiva del quale le stesse hanno sollecitato in via strumentale l’esercizio del potere di vigilanza edilizia del comune.

Si è, altresì, costituito in giudizio, in data 28.10.2010, il comune di Rieti, depositando memoria, con la quale, dopo avere brevemente ricostruito in punto di fatto la vicenda di cui trattasi (e dato atto degli ulteriori sviluppi medio tempore intercorsi), ha dedotto l’inammissibilità del ricorso per difetto di legittimazione attiva delle società ricorrenti che non sarebbero soggetti formalmente controinteressati rispetto al procedimento sanzionatorio edilizio e sarebbero, invece, portatori di un mero interesso di fatto, nonché l’inammissibilità nella parte in cui è stato sollecitato l’esercizio del potere di autotutela per la mancata tempestiva impugnazione dell’autorizzazione comunale al commercio; peraltro l’istanza di revoca sarebbe stata avanzata nei confronti e con attinenza ad un provvedimento, relativo all’autorizzazione al commercio, già impugnato in sede giurisdizionale (avendo la O. impugnato dinanzi a questo TAR la diffida del comune del 21.11.2008, con la quale la stessa era stata invitata ad attenersi alle indicazioni fornite da parte del Consorzio per lo sviluppo industriale della provincia di Rieti). Infine sarebbe, altresì, inammissibile l’ulteriore richiesta di pronuncia sulla fondatezza sostanziale della pretesa fatta valere da parte delle ricorrenti, in quanto esorbitante dai limiti dell’azione di cui trattasi, nonché la subordinata richiesta di nomina immediata, con la sentenza conclusiva del presente giudizio, del commissario ad acta.

Con la memoria del 19.11.2010, le ricorrenti hanno controdedotto alle difese avversarie con particolare riguardo alle eccezioni preliminari di inammissibilità sotto molteplici profili del ricorso in trattazione.

Con l’ultima memoria del 3.12.2010 la Orsoline ha, a sua volta, controdedotto alla memoria di cui sopra, ribadendo quale fosse l’esatto oggetto dell’istanza di diffida e conseguentemente del presente giudizio.

Alla camera di consiglio del 7.12.2010 il ricorso è stato trattenuto in decisione alla presenza degli avvocati delle parti come da verbale di causa in atti.
Motivi della decisione

Le società ricorrenti, con l’istanza del 12.10.2009, pervenuta in data 21/22.10.2009, hanno presentato formale richiesta al comune di Rieti, per quanto interessa in questa sede, al fine di:

" 1) revocare, ai sensi dell’art. 21 L. 241/1990, l’autorizzazione al commercio rilasciata in favore della Orsoline Amedeo s.p.a. e, in ogni caso, inibire l’esercizio da parte della predetta di attività commerciali di vendita estranee a quelle autorizzate dal P.R.G. Consortile e dal provvedimento Presidenziale n. 6/07;

2) a disporre la rimessione in pristino:

– sia del piazzale attualmente adibito a deposito materiale…;

– sia dell’edificio attualmente in parte adibito ad attività commerciale…".

Ed infatti, sulla base della documentazione concernente la società controinteressata – acquisita a seguito del vittorioso esperimento di un giudizio di accesso ai sensi degli articoli 22 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241, le ricorrenti avrebbero potuto riscontrare plurimi profili di illegittimità nello svolgimento della attività della O., da rinvenirsi, da un lato, nelle caratteristiche dei beni interessati dall’attività di vendita, in quanto ricomprensivi anche della vendita al dettaglio di prodotti non oggetto di attività manifatturiera propria (in violazione dell’esplicito tenore del provvedimento autorizzatorio del Consorzio per lo sviluppo industriale) e, dall’altro, in una serie di interventi edilizi sull’immobile nel suo complesso non previamente autorizzati da parte dell’amministrazione (trasformazione del piazzale antistante l’immobile da area a verde ad area destinata al deposito con sostituzione del manto erboso con la ghiaia; mutamento di destinazione di uso dell’immobile stesso da industriale a commerciale; apposizione sull’edificio principale di strutture metalliche con teli stampati di grande dimensione).

Con il successivo ricorso, presentato ai sensi dell’articolo 21 bis della legge n. 1034 del 1971 (notificato in data 9.9.2010 e depositato il giorno successivo), le società ricorrenti hanno chiesto la dichiarazione dell’illegittimità del silenzio rifiuto formatosi sull’istanza di cui sopra e l’accertamento della pretesa sostanziale fatta valere in giudizio od in via subordinata l’emissione dell’ordine di provvedere sulla detta istanza nel termine massimo dei 30 giorni e la nomina del commissario ad acta nel caso di perdurante inerzia.

Come già rilevato nell’esposizione in fatto che precede, sia la controinteressata che il comune di Rieti, nell’atto di costituzione nel presente giudizio, hanno dedotto l’inammissibilità del ricorso per difetto di legittimazione attiva delle società ricorrenti in quanto non sarebbero soggetti formalmente controinteressati rispetto al procedimento sanzionatorio edilizio (poiché non si trovano in una situazione di " contiguità abitativa" e, pertanto, non sono titolari di " diritti reali inteferenti ed incisi, seppure indirettamente, dall’omessa adozione dei provvedimenti in parola") e sarebbero, invece, portatori di un mero interesso di fatto al riguardo (in quanto svolgenti attività commerciale analoga nelle immediate vicinanze), nonché l’inammissibilità nella parte in cui è stato sollecitato l’esercizio del potere di autotutela (ai fini della revoca da parte del comune dell’autorizzazione commerciale rilasciata alla O.) in conseguenza della mancata tempestiva impugnazione della detta autorizzazione comunale al commercio, rilasciata a suo tempo da parte del comune, della quale le ricorrenti avrebbero avuto piena contezza a seguito dell’accesso alla documentazione amministrativa concernente la controinteressata espletato nel mese di aprile 2009; inoltre soltanto il comune ha ulteriormente rilevato l’inammissibilità del ricorso nella detta ultima parte in conseguenza del giudizio pendente dinanzi a questo tribunale avverso l’atto di diffida del comune indirizzato alla controinteressata di cui al prot. n. 82046 del 21.11.2008, con il quale la detta società è stata appunto diffidata a svolgere la propria attività di vendita conformemente all’autorizzazione rilasciata da parte del Consorzio per lo sviluppo industriale.

Atteso il duplice contenuto dell’istanza di diffida, nonché conseguentemente del presente giudizio, come in precedenza rilevato, appare opportuno, nella trattazione delle censure, scindere i due profili.

Quanto alla prima richiesta, avente ad oggetto la revoca dell’autorizzazione al commercio rilasciata in favore della O. o, in ogni caso, l’inibizione dell’esercizio dell’attività commerciale di vendita di materiali diversi rispetto a quelli specificatamente autorizzati – e fermi i dubbi non ancora risolti circa la qualificazione giuridica sostanziale dell’istituto (Cons. St., sez. IV, ord. 5 gennaio 2011, n. 14) – deve rilevarsi che la tutela del terzo avverso l’attività conseguente a D.I.A. è da considerarsi comunque soggetta al termine decadenziale di 60 giorni, decorrente dalla conoscenza della dichiarazione: la giurisprudenza ritiene infatti che, anche aderendo alla tesi secondo cui la D.I.A. costituisce un atto di natura privata, l’azione di accertamento da parte del terzo circa l’insussistenza dei presupposti per la presentazione della stessa D.I.A. è da considerarsi soggetta al termine decadenziale (Consiglio Stato, sez. IV, 04 maggio 2010, n. 2558), decorrente dalla comunicazione del perfezionamento della D.I.A. o dall’avvenuta conoscenza del titolo (implicito).

Ciò che in ogni caso rileva è che, anche a seguire la tesi secondo cui con il decorso del termine entro cui l’amministrazione può impedire gli effetti della D.I.A., si costituisce un’autorizzazione implicita di natura provvedimentale, deve comunque escludersi, secondo un consolidato orientamento in materia, che l’amministrazione abbia l’obbligo di pronunciarsi su un’istanza volta ad ottenere un provvedimento in via di autotutela: l’attivazione del procedimento di riesame della legittimità dell’atto amministrativo mediante l’istituto del silenziorifiuto non è infatti coercibile ab extra, costituendo l’esercizio del potere di autotutela facoltà ampiamente discrezionale dell’amministrazione, che non ha alcun dovere giuridico di esercitare detto potere; né si può pervenire a diversa conclusione ove sia richiesto l’intervento in via di autotutela nei confronti di atti di cui si affermi il carattere vincolato o dovuto in presenza di individuati presupposti di legge, in quanto, anche in tale ipotesi, non muta, la natura della potestà esercitata, che introduce un procedimento di riesame di legittimità che ha a monte natura ampiamente discrezionale, indipendentemente dalla natura giuridica, vincolata o meno, del provvedimento preso in considerazione (T.A.R. Lazio- Roma, sez. III, 5 luglio 2010, n. 22486).

Peraltro – relativamente alla distinta ed alternativa richiesta di adozione del provvedimento inibitorio della vendita -, come esattamente rilevato da parte della difesa del comune, la questione concernente l’ampiezza dell’oggetto dell’attività di vendita da parte della controinteressata è al momento sub iudice; ed infatti, come è documentato in atti, l’atto del comune, di cui al prot. n. 82046 del 21.11.2008, con il quale la detta società è stata diffidata a svolgere la propria attività di vendita conformemente all’autorizzazione rilasciata da parte del Consorzio per lo sviluppo industriale, è stato impugnato dalla controinteressata dinanzi a questo Tribunale ed il relativo giudizio (contraddistinto con il rg.n. 1326/2009) risulta allo stato pendente e non ancora definito.

E la p.a. non è obbligata a provvedere su un’istanza del privato – non solo nelle ipotesi già tradizionalmente individuate dalla giurisprudenza (istanza di riesame dell’atto divenuto inoppugnabile per inutile decorso del termine di decadenza; istanza manifestamente infondata; istanza di estensione ultra partes del giudicato) -, ma anche nel caso in cui l’istanza volta all’esercizio del potere di autotutela abbia ad oggetto un provvedimento già impugnato in sede giurisdizionale e sub iudice al momento dell’istanza: una simile pretesa finirebbe infatti per tradursi in uno strumento per costringere l’amministrazione ad emettere ulteriori provvedimenti che, se anch’essi di carattere negativo, potrebbero essere nuovamente impugnati, con la conseguenza paradossale che la volontà amministrativa su uno stesso oggetto, sia pure manifestatasi in atti temporalmente diversi, in violazione del principio di certezza delle situazioni giuridiche, non diventerebbe mai inoppugnabile, onde l’obbligo di provvedere non è configurabile né di fronte all’istanza di riesame di un provvedimento rimasto inoppugnato, né di fronte all’istanza di riesame di un provvedimento tempestivamente gravato (T.A.R. Emilia Romagna Parma, sez. I, 10 marzo 2008, n. 135).

Nel caso di specie oggetto sostanziale del richiamato precedente giudizio è proprio la determinazione dell’ampiezza dell’attività di vendita legittimamente esercitabile da parte della controinteressata e, con l’istanza da cui è scaturito il presente giudizio, le ricorrenti hanno richiesto, comunque, l’inibizione dell’attività di vendita della controinteressata anche e soprattutto nella predetta parte.

Quanto, poi, alla seconda richiesta di intervento di cui alla richiamata istanza di diffida, si premette che l’art. 27 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, prevede l’azionabilità del procedimento sanzionatorio edilizio anche sulla scorta di denunzia di soggetti privati, e, pertanto, va ribadito che il proprietario di un’area o di un fabbricato, nella cui sfera giuridica incide dannosamente il mancato esercizio dei poteri ripristinatori e repressivi da parte dell’organo preposto avverso abusi edilizi, è titolare di un interesse legittimo all’esercizio di detti poteri e può pretendere, se non vengono adottate le misure richieste, un provvedimento che ne spieghi esplicitamente le ragioni, con la definitiva conseguenza che il silenzio serbato sull’istanza e sulla successiva diffida dell’interessato integra gli estremi del silenzio rifiuto sindacabile in sede giurisdizionale quanto al mancato adempimento dell’obbligo di provvedere espressamente.

Deve, pertanto, rilevarsi che il titolare di un’autorizzazione amministrativa per l’esercizio di attività commerciale su area contigua a quella interessata dagli interventi ediliziurbanistici, è legittimato ad eccitare i poteri di vigilanza del comune stesso ex articolo 27 del d.P.R. n. 380 del 2001, al fine dell’accertamento di violazioni edilizie ed urbanistiche e di inadempimento di obblighi contratti verso l’amministrazione, in ragione della vicinitas con l’area considerata, con la conseguenza che va dichiarata l’illegittimità del silenzio serbato dall’amministrazione sulla diffida notificata al riguardo.

Ed infatti il riconoscimento di interessi giuridicamente rilevanti in materia urbanisticoedilizia non può circoscriversi ai soli soggetti proprietari di immobili, ma deve essere esteso a tutti coloro che, in ragione di uno stabile collegamento con l’area interessata dalle iniziative edificatorie, debbano considerasi titolari di una posizione giuridicamente differenziata, qual è quella connessa alla titolarità dell’autorizzazione all’esercizio di un’attività commerciale nell’area medesima.

Risolutiva al riguardo non è pertanto la contiguità stretta degli immobili di cui trattasi, quanto l’incidenza degli stessi in una medesima area.

Il ricorso, pertanto, sarebbe infondato nella parte in cui chiedesse il riesame e l’autotutela in relazione a precedenti provvedimenti di rilascio di concessioni edilizie o a D.I.A. divenute definitive per decorso del termine entro il quale l’amministrazione possa intervenire; ma è, invece, fondato nella parte in cui rileva con sufficiente precisione la sussistenza di irregolarità che attengono ad opere abusive in quanto prive di titolo autorizzatorio o non conformi a quanto autorizzato con precedenti concessioni edilizie o D.I.A..

Nel caso di specie le ricorrenti hanno esattamente adempiuto al proprio onere al riguardo, avendo, sulla base della documentazione amministrativa in loro possesso, individuato i presunti abusi edilizi posti in essere da parte della controinteressata e consistenti, appunto, come già in precedenza rilevato, nella trasformazione del piazzale antistante l’immobile da area a verde ad area destinata al deposito con sostituzione del manto erboso con la ghiaia, nel mutamento di destinazione di uso dell’immobile stesso da industriale a commerciale e nell’apposizione sull’edificio principale di strutture metalliche con teli stampati di grande dimensione.

Nei predetti limiti il ricorso deve, pertanto, essere accolto con il conseguente obbligo da parte del comune di provvedere esplicitamente sull’istanza delle ricorrenti nel termine di cui al dispositivo che segue.

Per quanto attiene, poi, all’oggetto del presente giudizio, deve darsi atto che il ricorso introduttivo è stato notificato in data 9.9.2010 ed è stato depositato in data 10.9.2010 e, pertanto, in epoca, sebbene di poco, antecedente all’entrata in vigore del nuovo codice del processo amministrativo di cui al D.lgs. n. 104 del 2010; ne consegue che al giudizio in trattazione deve trovare applicazione al riguardo la previgente disciplina.

Sul punto si premette che appare innovativa la previsione, contenuta nell’art. 31 del c.p.a., secondo cui il G.A. può pronunciarsi sulla fondatezza della pretesa solo qualora non residuino margini di discrezionalità amministrativa; ed infatti la norma chiude il dibattito formatosi all’indomani delle modifiche apportate all’art. 21 bis della Legge n. 1034 del 1971 da parte del D. Lgs. n. 35 del 2005 che aveva indotto una parte della dottrina a ritenere, nella specie, esistente una nuova giurisdizione di merito del G.A. a fronte dell’illegittima inerzia dell’amministrazione.

Deve, peraltro, ritenersi, anche sulla base del precedente testo di cui al richiamato art. 21 bis della legge n. 1034 del 1971, che il rito sul silenziorifiuto della P.A., non tende, in generale, a stabilire la fondatezza della pretesa sostanziale, ma mira ad accertare in astratto se sussistono gli elementi formali minimi perché possa addebitarsi all’Amministrazione l’obbligo di pronuncia e del clare loqui e ciò in considerazione del fatto che, in detto giudizio, il giudice non si sostituisce all’amministrazione, ma si limita ad ordinare a questa di provvedere; conseguentemente deve ritenersi che non sia ammessa la domanda giudiziale preordinata ad una decisione in ordine alla fondatezza sostanziale dell’istanza del privato rimasta inevasa allorché occorra esperire una fase istruttoria più o meno complessa demandata ad un accertamento autonomo e distinto dell’Amministrazione e l’attività sia connotata da elementi suscettibili di apprezzamento discrezionale, quali quelli presenti nella regolamentazione urbanisticoedilizia del territorio.

Ed infatti, nel caso di silenzio della pubblica amministrazione, oggetto della decisione deve essere unicamente l’acclaramento dell’esistenza di un obbligo di provvedere e il giudice può spingersi fino all’accertamento della pretesa sostanziale non semplicemente quando l’amministrazione debba porre in essere un’attività vincolata, ma unicamente nel caso in cui, in presenza di attività vincolata, la fondatezza della pretesa appaia "ictu oculi" di immediata evidenza.

Quanto poi alla richiesta della nomina di un commissario ad acta deve rilevarsi al riguardo che, già con riferimento al testo dell’art. 21 bis della legge n. 1034 del 1971, è stato riconosciuto che " È ben vero che l’art. 21bis comma 2, l. n. 1034 del 1971 prevede due distinte fasi processuali: una relativa all’ordine all’Amministrazione di provvedere ed un’altra, eventuale in caso di inottemperanza della stessa al predetto ordine, avente ad oggetto la nomina di un commissario ad acta. Tuttavia, appare del tutto coerente con la ratio acceleratoria della l. n. 205 del 2000 ritenere che, quando il ricorrente ne faccia esplicita richiesta, in sede di impugnazione del silenzio, si debba provvedere, in caso di accoglimento di detto ricorso, anche alla contestuale nomina del Commissario, al fine di evitare all’interessato l’inutile aggravio di una ulteriore autonoma istanza giurisdizionale." (T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 20 luglio 2009, n. 7153).

Nelle disposizioni di cui al c.p.a. è adesso disposto che la decisione del giudice è assunta in forma semplificata e consiste nell’ordine di provvedere in un termine normalmente non superiore a trenta giorni e che il G.A. può, con la stessa sentenza, procedere alla nomina di un commissario ad acta che si sostituisca all’amministrazione in caso di sua persistente inerzia o può limitarsi a compulsare la PA a provvedere, salva la successiva nomina del commissario ad acta in caso di persistente inerzia.

Il Collegio ritiene sufficiente, nel caso di specie – anche alla luce della documentazione versata in atti da tutte le parti del giudizio, dalla quale emerge come il comune si sia già attivato in precedenza ai fini della verifica della legittimità dell’attività svolta dalla controinteressata sotto i diversi profili dedotti -, di intimare allo stesso l’adozione di un provvedimento di riscontro alla diffida di cui trattasi nel termine indicato e di rinviare ad un secondo momento, nel caso in cui l’inerzia dell’amministrazione prosegua, la richiesta nomina del commissario.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo che segue.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sez. II ter, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, in parte lo dichiara inammissibile e, per la parte che residua, lo accoglie e per l’effetto annulla l’impugnato silenziorifiuto ed ordina al comune di Rieti di dare riscontro all’istanza delle società ricorrenti del 1922.10.2010, nel termine di 30 (trenta) giorni dalla notificazione a cura di parte o dalla comunicazione in via amministrativa della presente sentenza.

Condanna l’amministrazione resistente al pagamento in favore delle ricorrenti, in solido tra di loro, delle spese del presente giudizio che si liquidano in complessivi euro 1.000,00 oltre IVA e CPA..

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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