T.A.R. Lazio Roma Sez. II ter, Sent., 28-03-2011, n. 2720 Amministrazione pubblica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

La ricorrente signora S.Y.A. è iscritta al Registro Esercenti il Commercio (REC) della provincia di Roma al n. 260793 per la somministrazione di alimenti e bevande e conduce il locale, sito nel Comune di Roma, in via Botta n. 7/A, di "laboratorio pizza al taglio e preparazione pasto da asporto"; la stessa ha presentato al Comune di Roma, in data 22.7.1999, l’istanza per il rilascio dell’autorizzazione per la somministrazione di alimenti e bevande per la tipologia di cui all’art. 5, lett. B), della legge 25 agosto 1991, n. 287.

Con la determinazione dirigenziale n. 2200 del 29.7.1999, il Comune ha rigettato l’istanza per mancanza di disponibilità dei parametri numerici ex art. 3, co. 4, della L. n. 287 del 1991, come determinati con l’ordinanza sindacale n. 390 del 1998, nella parte in cui dispone che, nel centro storico della città di Roma, non è consentito il rilascio di nuove autorizzazioni per la tipologia di cui all’art. 5 della L. n. 287/1991 lett. A), B) e C).

Con il ricorso di cui in epigrafe, notificato e depositato nei termini, la ricorrente ha impugnato il rigetto, nonché le presupposte ordinanze sindacali nn. 390 del 1998 e 110 del 1999deducendone l’illegittimità per violazione e falsa applicazione di legge ed eccesso di potere sotto molteplici profili.

Il Comune di Roma si è costituito in giudizio in data 14.1.2000 ed ha depositato documentazione concernente la vicenda di cui trattasi in data 15.10.2010 e memoria difensiva in data 4.11.2010, con la quale ha argomentatamene dedotto l’infondatezza nel merito del ricorso, del quale ha chiesto il rigetto.

Alla pubblica udienza del 7.12.2010 il ricorso è stato trattenuto in decisione alla presenza degli avvocati delle parti come da separato verbale di causa.

Con un primo motivo di censura la ricorrente ha dedotto l’incompetenza del Sindaco del Comune di Roma all’adozione dell’ordinanza n. 390/1998 – atto presupposto del diniego – sostenendo la competenza del Consiglio comunale ai sensi dell’art. 32, co. 2, lett. b), della L. 7 agosto 1990, n. 241, trattandosi di materia programmatoria.

La censura non merita accoglimento.

Sul punto, è sufficiente il richiamo all’art. 3 del D.L. 18 settembre 1995, n. 381, ai sensi del quale: "1. Fino alla data di entrata in vigore del regolamento di esecuzione della legge 25 agosto 1991, n. 287,… l’autorizzazione di cui ai commi 1 e 4 dall’art. 3 della citata legge è rilasciata dai sindaci, previa fissazione da parte degli stessi, su conforme parere delle commissioni previste dall’art. 6 della medesima legge, di un parametro numerico che assicuri, in relazione alla tipologia degli esercizi, la migliore funzionalità e produttività del servizio da rendere al consumatore ed il più equilibrato rapporto tra gli esercizi e la popolazione residente e fluttuante, tenuto anche conto del reddito di tale popolazione, dei flussi turistici e delle abitudini di consumo extradomestico….".

L’art. 36 della L. 8 giugno 1990 n. 142 dispone poi che il sindaco e il presidente della provincia "esercitano le funzioni loro attribuite dalle leggi, dallo statuto e dai regolamenti e sovrintendono altresì all’espletamento delle funzioni statali e regionali attribuite o delegate al comune e alla provincia…".

Nella specie è incontestato che, al momento dell’adozione dell’ordinanza n. 390/1998, il regolamento di esecuzione della L. n. 287 del 1991 non era stato ancora adottato.

Con un secondo profilo di censura la ricorrente, ancora con riguardo alll’ordinanza n. 390/1998, ha dedotto la violazione dell’allegato A della Deliberazione del Consiglio regionale del 16 dicembre 1998, n. 475, con il quale sono stati individuati i criteri ed i parametri di determinazione del numero delle autorizzazioni rilasciabili da parte dei comuni, per avere individuato parametri numerici immotivatamente più restrittivi, prevedendo, altresì, il divieto di nuovi rilasci per il centro storico.

La censura merita accoglimento per le considerazioni che seguono.

L’art. 3, co. 4, della L. n. 287 del 1991 prevede, infatti, che "…le regioni – sentite le organizzazioni di categoria maggiormente rappresentative, a livello regionale – fissano periodicamente criteri e parametri atti a determinare il numero delle autorizzazioni rilasciabili nelle aree interessate. I criteri e i parametri sono fissati in relazione alla tipologia degli esercizi tenuto conto anche del reddito della popolazione residente e di quella fluttuante, dei flussi turistici e delle abitudini di consumo extradomestico".

Il co. 5 dello stesso art. 3 dispone poi che "Il comune, in conformità ai criteri e ai parametri di cui al comma 4, sentita la commissione competente ai sensi dell’articolo 6, stabilisce, eventualmente anche per singole zone del territorio comunale, le condizioni per il rilascio delle autorizzazioni".

Da ciò deriva che l’amministrazione comunale non può immotivatamente discostarsi dai parametri numerici fissati dalla Regione, pena l’illegittimità del provvedimento adottato in contrasto con quanto deliberato dall’amministrazione regionale.

E l’ordinanza n. 390/1998 del 25.11.1998 è entrata in vigore dopo l’emanazione della citata deliberazione regionale, atteso che la suddetta ordinanza prevedeva l’entrata in vigore delle disposizioni in essa contenute decorsi 60 giorni dalla data di repertorio, e, pertanto, dal 23.1.1999.

Dall’altro lato, l’ordinanza sindacale n. 390/1998 risulta inficiata da un ulteriore vizio di legittimità in quanto, nel suddividere il territorio comunale in varie zone e settori, ha disposto, per la zona interessata, il divieto assoluto di rilasciare nuove licenze di cui alle lett. a), b) e c) del citato art. 5.

In sostanza, l’amministrazione comunale ha irragionevolmente privilegiato l’attuale numero delle autorizzazioni in essere, creando ostacoli ingiustificati alla concorrenza e condizioni di privilegio per gli esercizi esistenti con la ulteriore conseguenza di non tutelare a sufficienza gli interessi generali degli scambi e dei consumatori, della popolazione residente e fluttuante di cui – peraltro – era prevedibile la crescita esponenziale sin dalla vigilia dell’anno Giubilare, come in realtà verificatosi a causa della prevista insufficienza e del sovraffollamento dei punti di ristorazione nel centro di Roma (T.A.R. Lazio- Roma, sez. II, 15 febbraio 2008, n. 1390).

La suddetta ordinanza è comunque illegittima anche in quanto il Comune ne ha prorogato l’efficacia – dapprima stabilita fino alla data del 30 giugno 1999 – senza peraltro prevedere alcuna modifica e/o integrazione in relazione ai criteri e ai parametri nel frattempo adottati dalla Regione.

La determinazione dirigenziale del Comune di Roma n. 2200 del 29.7.1999 di diniego del rilascio della richiesta autorizzazione alla somministrazione, pertanto, per le considerazioni che precedono, è illegittima in via derivata dall’illegittimità della presupposta ordinanza n. 390/1998.

Con un ulteriore profilo di censura la ricorrente contesta la legittimità dell’ordinanza sindacale n. 110/1999, con la quale il dirigente della circoscrizione I è stato autorizzato ad emettere la determinazione dirigenziale di il diniego del rilascio di nuove autorizzazioni alla somministrazione di alimenti e bevande: avverso questa ordinanza – assunta a presupposto dell’impugnata determinazione dirigenziale – la ricorrente deduce i vizi di illegittimità derivata e di incompetenza del sindaco all’adozione di atti aventi un tale contenuto, in relazione a quanto disposto dall’art. 27, co. 2 dello statuto del Comune di Roma, trattandosi di provvedimento discrezionale e non invece di provvedimento vincolato.

Il dedotto profilo di censura non merita condivisione atteso che già l’art. 51, co. 2 e 3, della L. n. 241 del 90, all’epoca vigente, attribuiva ai dirigenti, oltre alla direzione degli uffici e dei servizi, ogni aspetto della gestione amministrativa degli enti locali, ivi compresa l’adozione degli atti idonei ad impegnare l’amministrazione verso l’esterno, fatti salvi quelli espressamente riservati dalla legge o dallo statuto ad altri organi di governo dell’ente locale: e non constando nella fattispecie alcuna delle suddette tassative eccezioni alla generale competenza sopra delineata, deve ritenersi che legittimamente il diniego in parola sia stata adottato da parte del dirigente. Vale, peraltro, osservare come, dal succitato art. 51, non si ricavi affatto la distinzione, patrocinata dalla difesa della ricorrente, tra atti vincolati (asseritamente rientranti nei compiti dei dirigenti) e discrezionali (esorbitanti da tale ambito), dovendosi, piuttosto, rinvenire la linea di confine tra l’alveo della competenza dirigenziale e quello delle altre riservate a differenti organi dell’ente locale proprio nelle esplicite previsioni di legge o di statuto: in mancanza di puntuali indicazioni difformi non v’è dunque ragione alcuna per negare la riconducibilità dello specifico provvedimento impugnato alla generale potestà gestoria ordinariamente rimessa ai dirigenti.

Del resto, nello stesso disponeva anche l’art. 27 del (vecchio) Statuto del Comune di Roma, espressamente richiamato nel provvedimento impugnato (T.A.R. Lazio- Roma, sez. II, 28 novembre 2005, n. 12426 e C.d.S, sez. V, 20 ottobre 2004, n. 6800).

La determinazione dirigenziale impugnata in via principale è, tuttavia, illegittima anche di per sé stessa per il dedotto difetto di istruttoria e di motivazione per l’insufficienza del mero richiamo alla mancanza di disponibilità nei parametri numerici ex art. 3, co 4, della L. n. 287 del 1991.

La determinazione dirigenziale impugnata ha negato alla ricorrente il rilascio dell’autorizzazione alla somministrazione di alimenti e bevande della tipologia B) di cui all’art. 5 della L. n. 287 del 1991 sul presupposto che, nel centro storico (ove è ubicato il locale in questione) non si rilasciano nuove autorizzazioni per le tipologie di cui all’art. 5 della legge 287 /91 lett. ABC ed in ragione della mancanza di disponibilità nei parametri numerici ex art. 3, co. 4, della L. n. 287 del 1991 come determinati con l’ordinanza sindacale n. 390/1998.

Dal tenore della predetta motivazione si evince che il diniego opposto alla ricorrente con la determinazione dirigenziale impugnata trova il suo fondamento nell’ordinanza sindacale n. 390/1998 della quale costituisce mera applicazione.

Da ciò deriva che l’amministrazione resistente, a fronte della specifica domanda presentata dalla ricorrente, non si è fatta carico di confermare, in esito all’espletamento di apposita istruttoria, l’attualità dei parametri fissati con la predetta ordinanza comunale.

Sul punto, la giurisprudenza – anche di questo Tribunale (per tutte, TAR Lazio, sez. II Ter, 2 febbraio 2007, n. 804 e 26 giugno 2006, n. 5159) – è costante nell’affermare che, per negare il rilascio di autorizzazioni all’apertura degli esercizi di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande, non può ritenersi sufficiente il mero e generico richiamo a parametri numerici ottimali fissati in un atto generale posto che gli stessi non sono cristallizzati nel tempo, ma sono legati, quanto alla loro determinazione, a fattori per loro natura suscettibili di variazione in relazione alle esigenze di pubblico interesse sopravvenute nel territorio comunale o in singole zone e, quanto alla loro applicazione concreta, alle eventuali cessazioni di altre attività commerciali.

Al riguardo, è necessario infatti che l’autorità amministrativa specifichi, dopo aver espletato idonea istruttoria, che alla data di presentazione della domanda da parte dell’interessato non siano intervenuti mutamenti, rispetto all’epoca di elaborazione dei parametri numerici ottimali ai quali si intende dare esecuzione.

La libertà di commercio, nel cui contesto è inquadrabile l’attività di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande, in quanto espressione del più generale principio della libertà di iniziativa economica garantita dall’art. 41 della Costituzione, esige infatti che, nell’esercizio della potestà riconosciuta dalla L. n. 287 del 1991, le amministrazioni comunali offrano rigorosa motivazione delle concrete e puntuali ragioni ostative al rilascio delle autorizzazioni, che non possono consistere nel mero richiamo a parametri numerici ottimali calcolati con riferimento a periodi pregressi, senza alcuna altra concreta specificazione.

Nel caso di specie, dunque, il Comune avrebbe dovuto indicare se, rispetto alla data di approvazione dei parametri numerici ottimali di cui ha fatto applicazione (cioè quelli fissati con l’O.S. n. 390/1998), non fossero intervenuti, all’epoca di presentazione della domanda della ricorrente, mutamenti o variazioni di sorta, nell’ambito delle singole circoscrizioni o dell’intero territorio comunale, tali da consentire l’accoglimento della richiesta di autorizzazione amministrativa (TAR Abruzzo, L’Aquila, 27 maggio 2003, n. 330): ciò sulla base di apposita istruttoria che avrebbe dovuto tener conto di ogni mutamento avvenuto nella zona interessata, compreso l’eventuale sviluppo commerciale o turistico (non va, al riguardo, sottaciuto che, in effetti, l’anno giubilare ha incrementato in maniera esponenziale il flusso turistico nella capitale ed, in particolare, nel centro storico).

L’amministrazione deve infatti fare riferimento a concrete dimostrazioni del mancato mutamento della distribuzione della popolazione e del mancato incremento commerciale e turistico, effettuate attraverso un’indagine sull’andamento demografico, commerciale e turistico, i cui dati devono poi essere confrontati con quelli rilevati in precedenza (TAR Piemonte, sez. II, 9 dicembre 1993, n. 367).

Ciò posto, le censure dedotte dalla ricorrente con riferimento al difetto di istruttoria e di motivazione della determinazione dirigenziale impugnata si rivelano fondate (T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 15 febbraio 2008, n. 1390).

Con un ultimo motivo di censura la ricorrente ha poi dedotto l’intervenuta formazione del silenzio assenso sull’istanza di rilascio dell’autorizzazione alla somministrazione di cui alla lett. B) del citato art. 5.

Il detto motivo è privo di pregio atteso che, per giurisprudenza consolidata nella materia, l’istituto del silenzio assenso può configurarsi solo quando l’interessato sia in possesso dei requisiti soggettivi ed oggettivi previsti per l’espletamento dell’attività per la quale si richiede l’autorizzazione: pertanto, il provvedimento di autorizzazione per la somministrazione al pubblico di alimenti e bevande non può perfezionarsi in mancanza dell’indispensabile requisito e presupposto legale costituito dal rispetto del limite numerico previsto dal Comune per tale attività (numero che, nella specie, risulta saturo, con conseguente contingentamento del rilascio di tali autorizzazioni) (T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 28 gennaio 2003, n. 500).

Per le considerazioni tutte che precedono, il ricorso deve essere accolto ai sensi che precedono.

Spese compensate.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sez. II ter, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto annulla, nei sensi ed agli effetti di cui in motivazione, i provvedimenti impugnati.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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